Avvocato penalista - Non commette doping il palestrato che assume sostanze dopanti, se non partecipa a gare sportive e non persegue un fine di profitto.
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"" Cassazione, per i palestrati non c’è doping
Cassazione, per i palestrati non c’è doping
Corte di Cassazione – Sentenza n. 843 depositata il 9 gennaio 2013
Non tutti possono avere un fisico scolpito e molti, amanti dei muscoli e della “tartaruga”, sono pronti a far di tutto per procurarsi un “fisico bestiale”.
Pur di raggiungere quegli obiettivi estetici desiderati molti sono pronti a mettere a repentaglio la propria salute assumendo farmaci e sostanze dopanti.
Sarebbe un controsenso farsi male dentro (assumendo dette sostanze) per apparire meglio fuori ma è proprio questo il “sistema magico” utilizzato da molti palestrati.
L’argomento trattato dalla sentenza in oggetto non parla di sportivi, atleti legati ai profitti dei risultati nelle gare sportive etc., ma solo di “palestrati” cioè coloro che assumono sostanze dopanti solo ed esclusivamente per migliorare esteticamente il loro fisico.
Secondo i giudici della Cassazione i palestrati devono essere assolti dall’accusa di doping perchè, nonostante i rischi per la salute, si tratta di una libertà personale che attiene solo alla sfera privata dell’individuo e non ci sarebbero riflessi di alcun genere sulla collettività.
In questo modo la Cassazione ha annullato la decisione presa dalla corte d’appello dell’Aquila che condannava a 5 mesi e 300 euro di multa 3 ragazzi di pescara dediti all’assunzione di sostanze anabolizzanti acquistati nel circuito illegale col solo scopo di “modificare il proprio aspetto fisico, anche a costo di assumere sostanze tossiche, palesemente dannose per la salute ed il loro benessere psico-fisico”.
Gli ermellini hanno osservato che anche se la legge antidoping punisce sia chi vende o favorisce la vendita di anabolizzanti ma anche chi semplicemente assume queste sostanze nel caso dei suddetti palestrati non è ravvisabile l’elemento del profitto ma soltanto la “fissazione” di avere un fisico fuori dal comune.
Per la Corte territoriale col termine “profitto” deve ricomprendersi «anche la finalità di miglioramento delle proprie prestazioni o aspetto fisico e quindi anche la soddisfazione di un piacere narcisistico».
Tesi non condivisa dai giudici di legittimità che con la sentenza n. 843/2013 affermano che in tal modo si arriverebbe a includere nella nozione di profitto «ogni circostanza che, senza ledere diritti o interessi altrui, si risolva in una mera lesione della sfera soggettiva dell’agente».
Secondo i Supremi Giudici «deve escludersi che il fine di compiere una azione in danno di sé stessi, sia pure perseguendo una utilità meramente immaginaria o fantastica (come in questo caso), possa integrare il fine del profitto».
Inoltre la Corte osserva che ragionando diversamente “si arriverebbe al paradosso di considerare dettata dal fine di profitto anche l’azione di chi si procuri, nel mercato illegale, dei barbiturici allo scopo di suicidarsi».
In questa maniera la Cassazione ha assolto i giovani palestrati con la formula «perché il fatto non costituisce reato» ma speriamo che questa decisione (che farà certamente discutere) non spinga altri “palestrati” verso la rischiosa strada del doping. ""
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-per-i-palestrati-non-ce-doping/
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"" Cassazione, per i palestrati non c’è doping
Cassazione, per i palestrati non c’è doping
Corte di Cassazione – Sentenza n. 843 depositata il 9 gennaio 2013
Non tutti possono avere un fisico scolpito e molti, amanti dei muscoli e della “tartaruga”, sono pronti a far di tutto per procurarsi un “fisico bestiale”.
Pur di raggiungere quegli obiettivi estetici desiderati molti sono pronti a mettere a repentaglio la propria salute assumendo farmaci e sostanze dopanti.
Sarebbe un controsenso farsi male dentro (assumendo dette sostanze) per apparire meglio fuori ma è proprio questo il “sistema magico” utilizzato da molti palestrati.
L’argomento trattato dalla sentenza in oggetto non parla di sportivi, atleti legati ai profitti dei risultati nelle gare sportive etc., ma solo di “palestrati” cioè coloro che assumono sostanze dopanti solo ed esclusivamente per migliorare esteticamente il loro fisico.
Secondo i giudici della Cassazione i palestrati devono essere assolti dall’accusa di doping perchè, nonostante i rischi per la salute, si tratta di una libertà personale che attiene solo alla sfera privata dell’individuo e non ci sarebbero riflessi di alcun genere sulla collettività.
In questo modo la Cassazione ha annullato la decisione presa dalla corte d’appello dell’Aquila che condannava a 5 mesi e 300 euro di multa 3 ragazzi di pescara dediti all’assunzione di sostanze anabolizzanti acquistati nel circuito illegale col solo scopo di “modificare il proprio aspetto fisico, anche a costo di assumere sostanze tossiche, palesemente dannose per la salute ed il loro benessere psico-fisico”.
Gli ermellini hanno osservato che anche se la legge antidoping punisce sia chi vende o favorisce la vendita di anabolizzanti ma anche chi semplicemente assume queste sostanze nel caso dei suddetti palestrati non è ravvisabile l’elemento del profitto ma soltanto la “fissazione” di avere un fisico fuori dal comune.
Per la Corte territoriale col termine “profitto” deve ricomprendersi «anche la finalità di miglioramento delle proprie prestazioni o aspetto fisico e quindi anche la soddisfazione di un piacere narcisistico».
Tesi non condivisa dai giudici di legittimità che con la sentenza n. 843/2013 affermano che in tal modo si arriverebbe a includere nella nozione di profitto «ogni circostanza che, senza ledere diritti o interessi altrui, si risolva in una mera lesione della sfera soggettiva dell’agente».
Secondo i Supremi Giudici «deve escludersi che il fine di compiere una azione in danno di sé stessi, sia pure perseguendo una utilità meramente immaginaria o fantastica (come in questo caso), possa integrare il fine del profitto».
Inoltre la Corte osserva che ragionando diversamente “si arriverebbe al paradosso di considerare dettata dal fine di profitto anche l’azione di chi si procuri, nel mercato illegale, dei barbiturici allo scopo di suicidarsi».
In questa maniera la Cassazione ha assolto i giovani palestrati con la formula «perché il fatto non costituisce reato» ma speriamo che questa decisione (che farà certamente discutere) non spinga altri “palestrati” verso la rischiosa strada del doping. ""
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-per-i-palestrati-non-ce-doping/
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