Avvocato penalista - Legittimo il licenziamento del dipendente, se questi patteggia (Art. 444 c.p.p.) la pena nel processo in cui è imputato di violenza sessuale, per i riflessi negativi che tale scelta proietta sulla immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti.
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"" Cassazione, licenziamento legittimo se il dipendente patteggia un processo per violenza sessuale
Cassazione, licenziamento legittimo se il dipendente patteggia un processo per violenza sessuale
Corte di Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza 30 gennaio 2013, n. 2168.
La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione trattando un caso di licenziamento ha concluso stabilendo che in sede civile può legittimamente darsi una piena efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento, nel caso in cui l’imputato non contesti la propria responsabilità ma anzi accetti la condanna chiedendone e permettendone l’applicazione.
Per gli ermellini, nel caso in cui il processo penale sia stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (applicazione della pena su richiesta), le risultanze delle indagini preliminari possono essere valutate dal giudice di merito ai fini del proprio convincimento e, nel caso in cui costituiscano violazione dei doveri fondamentali nascenti dal rapporto di lavoro, possono legittimamente permettere al datore di lavoro di licenziare senza preavviso il dipendente.
Il caso esaminato dalla Corte riguardava un dipendente delle Poste Italiane che era stato licenziato senza preavviso perchè aveva patteggiato un processo in cui era imputato per il delitto di violenza sessuale.
Nel merito il ricorso del lavoratore basava la propria difesa sul fatto che in mancanza dell’accertamento probatorio, le questioni scaturenti dal processo penale non potessero avere valenza probatoria in sede civile poiché, a seguito del patteggiamento, i “fatti penali” restavano congelati in una posizione meramente indiziaria, incapaci pertanto di essere assunti a fondamento di una giusta causa di licenziamento anche per il fatto che i fatti contestati, comunque, non avevano alcun riflesso sul rapporto di lavoro.
Questa tesi non è stata condivisa dai Giudici di Piazza Cavour ma neppure da quelli del merito in quanto il ricorso presentato dal lavoratore avverso il licenziamento senza preavviso era stato rigettato sia in primo grado che in appello.
La Cassazione nel respingere le doglianze del lavoratore ha richiamando la sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 18 dicembre 2009, (la n. 336) dove veniva richiamata a sua volta una sentenza delle S.U. Penali della Corte di Cassazione (17781/06), veniva sottolineata l’erroneità della tesi di chi voglia ritenere che gli effetti del patteggiamento debbano ontologicamente differenziarsi da quelli della sentenza ordinaria e, in cui veniva chiaramente rappresentato dal Collegio che la sentenza penale ex art. 444 c.p.p. costituisce elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegarne le ragioni.
Sulla base di questo principio la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha fondato le motivazioni della sentenza n. 2168 del 30 gennaio 2013 con cui ha respinto le richieste del lavoratore.
Inoltre, la Corte ha precisato che i fatti addebitati al lavoratore nel processo penale, anche se si sono verificati al di fuori del contesto lavorativo, per il forte disvalore sociale che li connota, sono indubbiamente idonei ad avere riflessi negativi sull’immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti. ""
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-licenziamento-legittimo-se-il-dipendente-patteggia-un-processo-per-violenza-sessuale/
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"" Cassazione, licenziamento legittimo se il dipendente patteggia un processo per violenza sessuale
Cassazione, licenziamento legittimo se il dipendente patteggia un processo per violenza sessuale
Corte di Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza 30 gennaio 2013, n. 2168.
La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione trattando un caso di licenziamento ha concluso stabilendo che in sede civile può legittimamente darsi una piena efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento, nel caso in cui l’imputato non contesti la propria responsabilità ma anzi accetti la condanna chiedendone e permettendone l’applicazione.
Per gli ermellini, nel caso in cui il processo penale sia stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (applicazione della pena su richiesta), le risultanze delle indagini preliminari possono essere valutate dal giudice di merito ai fini del proprio convincimento e, nel caso in cui costituiscano violazione dei doveri fondamentali nascenti dal rapporto di lavoro, possono legittimamente permettere al datore di lavoro di licenziare senza preavviso il dipendente.
Il caso esaminato dalla Corte riguardava un dipendente delle Poste Italiane che era stato licenziato senza preavviso perchè aveva patteggiato un processo in cui era imputato per il delitto di violenza sessuale.
Nel merito il ricorso del lavoratore basava la propria difesa sul fatto che in mancanza dell’accertamento probatorio, le questioni scaturenti dal processo penale non potessero avere valenza probatoria in sede civile poiché, a seguito del patteggiamento, i “fatti penali” restavano congelati in una posizione meramente indiziaria, incapaci pertanto di essere assunti a fondamento di una giusta causa di licenziamento anche per il fatto che i fatti contestati, comunque, non avevano alcun riflesso sul rapporto di lavoro.
Questa tesi non è stata condivisa dai Giudici di Piazza Cavour ma neppure da quelli del merito in quanto il ricorso presentato dal lavoratore avverso il licenziamento senza preavviso era stato rigettato sia in primo grado che in appello.
La Cassazione nel respingere le doglianze del lavoratore ha richiamando la sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 18 dicembre 2009, (la n. 336) dove veniva richiamata a sua volta una sentenza delle S.U. Penali della Corte di Cassazione (17781/06), veniva sottolineata l’erroneità della tesi di chi voglia ritenere che gli effetti del patteggiamento debbano ontologicamente differenziarsi da quelli della sentenza ordinaria e, in cui veniva chiaramente rappresentato dal Collegio che la sentenza penale ex art. 444 c.p.p. costituisce elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegarne le ragioni.
Sulla base di questo principio la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha fondato le motivazioni della sentenza n. 2168 del 30 gennaio 2013 con cui ha respinto le richieste del lavoratore.
Inoltre, la Corte ha precisato che i fatti addebitati al lavoratore nel processo penale, anche se si sono verificati al di fuori del contesto lavorativo, per il forte disvalore sociale che li connota, sono indubbiamente idonei ad avere riflessi negativi sull’immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti. ""
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
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