Avvocato penalista - Il partecipe dell’associazione di stampo mafioso è colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione col tessuto organizzativo del sodalizio criminoso, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale.
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"" Cassazione, ha un ruolo dinamico il partecipe dell’associazione di stampo mafioso
Cassazione, ha un ruolo dinamico il partecipe dell’associazione di stampo mafioso
Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale – Sentenza del 24.1.2013, n. 3823
In materia di associazione di stampo mafioso la Cassazione ha emesso numerose sentenze per distinguere tutte le diverse fattispecie che possono di fatto concretizzarsi e che potrebbero dar vita a una diversa interpretazione da parte dei diversi giudici che quotidianamente trattano la difficile materia.
In questa ultima decisione la Cassazione ha concentrato le proprie motivazioni sulla condotta dell’individuo, sottoponendola ad una scrupolosa analisi per determinare se vi è stata o meno parteipazione attiva nell’organizzazione criminale.
In poche parole, la Corte chiarisce che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, al punto da implicare, più che uno status di appartenenza.
In sostanza, avere nell’organizzazione un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Cassazione penale, Sez. V, sentenza del 24.1.2013, n. 3823
1. Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.
2. Occorre premettere che, alla stregua di un principio condivisibilmente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, alla Corte di Cassazione non compete stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ma soltanto verificare se il discorso giustificativo sia compatibile col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto il controllo sulla motivazione del provvedimento impugnato è limitato alla verifica della consequenzialità logica dei passaggi argomentativi, mentre rimane escluso il sindacato sulla correttezza delle conclusioni raggiunte in rapporto ai dati processuali (Sez. 4, n. 4842/04 del 02/12/2003, Elia, Rv. 229369; v. anche Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214567).
2.1. La modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, non è valsa a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delineato, rimanendone tuttora esclusa la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, così come l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti;
l’attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di rilevare, quale vizio di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata deve intendersi riferita a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene abitualmente definita “travisamento della prova” (e non del fatto): il che si verifica quando l’errore denunciato ricada non già sul significato dell’atto istruttorio (o investigativo), ma sulla percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto.
3. Sulla scorta della suesposta premessa, dal novero delle critiche mosse dall’odierno ricorrente alla motivazione dell’ordinanza impugnata corre l’obbligo di espungere, in quanto non consentite, quelle indirizzate a contrastare l’interpretazione data dal Tribunale al testo del bigliettino sequestrato dalla polizia penitenziaria al momento del passaggio da P.F. a un altro detenuto;
infatti, essendo certa ed incontestata la conformità al suo contenuto del testo riprodotto nell’ordinanza (onde rimane esclusa l’ipotesi di travisamento della prova), non rimane alcun margine per la sindacabilità dell’interpretazione datane dal giudice di merito, trattandosi di questione di fatto (Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724; Sez. 4, n. 117/06 del 28/10/2005, Caruso, Rv.
232626).
L’unica critica possibile è quella che investe, sotto il profilo strettamente logico, la chiave interpretativa adottata dal giudice di merito; ma di essa va rilevata l’infondatezza in quanto la linea argomentativa che struttura l’ordinanza non presenta cadute di consequenzialità, essendo basata sul significato ragionevolmente attribuito al termine “fiore”, alla stregua del suo abituale utilizzo nella simbologia mafiosa (che a sua volta è il risultato di un giudizio di fatto, come tale non soggetto a riesame in questa sede), e sulla collocazione dei nominativi dei soggetti indagati nel contesto, pur frettoloso e schematico, del manoscritto; ciò è a dirsi a maggior ragione in quanto il Tribunale non ha mancato di prendere in considerazione gli argomenti contrapposti dalla difesa ed, in particolare, quello qui riproposto dal ricorrente, secondo cui non sarebbe plausibile che l’elevazione al vertice della cosca del fratello del capo indiscusso dovesse dipendere dalla volontà dei soggetti subordinati: e vi ha dato confutazione col rimarcare che l’autorità dell’investitura promanava da P.F. e che i destinatari della comunicazione erano solo invitati a prenderne atto (pag. 22 dell’ordinanza, primo paragrafo).
4. Il fatto, poi, che i soggetti nominati nel “pizzino” fossero da considerare raggiunti per ciò solo da gravi indizi di reità in ordine alla partecipazione all’associazione mafiosa capeggiata da P.F., è conclusione argomentata dal Tribunale con ineccepibile linearità logica sulla base del rilievo per cui una comunicazione di tal fatta, riguardando la progressione di carica del fratello del capo-cosca, per la sua rilevanza non poteva che essere indirizzata a persone di sicura fiducia, in quanto stabilmente inserite nella gerarchia del gruppo criminale.
Né rileva la mancata individuazione del ruolo specifico rivestito da ciascuno di tali soggetti nell’organigramma associativo, alla luce del principio giurisprudenziale – evocato anche dal Tribunale – a tenore del quale la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).
4.1. Il passo motivazionale dianzi sintetizzato costituisce uno snodo di rilevante importanza nell’apparato giustificativo del provvedimento qui impugnato, poichè da conto dell’autonoma valenza indiziaria dello scritto sequestrato ai fini dell’attribuzione della qualità di affiliati alle persone ivi nominate, una volta che queste siano univocamente identificate; con la conseguenza per cui le restanti fonti indiziarie vengono in considerazione solo per la loro attitudine a consentire tale identificazione: e proprio in funzione di essa sono state utilizzate dal giudice di merito.
Ne emerge l’irrilevanza delle contestazioni mosse dal ricorrente in ordine alla capacità dimostrativa delle propalazioni della collaborante P.G., nell’ottica – eccentrica rispetto alla linea argomentativa del Tribunale – di una loro portata indiziaria circa la sua partecipazione all’associazione criminale.
5. Per quanto riguarda la persona indicata nel bigliettino come ” M.R.”, elemento di primario rilievo è stato considerato l’esito delle indagini anagrafiche, donde è emerso che, fra le nove persone registrate con quel nome e cognome nell’ambito dei Comuni di Rosarno, Gioia Tauro, San Ferdinando, Polistena, Rizziconi e Palmi, su due soltanto l’attenzione poteva cadere per i precedenti di polizia e le frequentazioni; e di queste il solo M.R. nato a (OMISSIS) aveva frequentazioni specificamente riguardanti soggetti contigui o affiliati alla cosca P.
Nei suoi confronti, inoltre, si è constatato il convergere di una molteplicità di altri elementi, puntualmente valorizzati nell’ordinanza impugnata e costituiti: dalla di lui indicazione – confermata da riconoscimento fotografico – quale affiliato, da parte della collaboratrice di giustizia P.G.; dai rapporti di parentela con la consorteria, trattandosi di un nipote di P. V.; dalle risultanze di conversazioni intercettate in carcere, nelle quali egli era stato da altri indicato quale autore di due agguati di mafia; dai numerosi contatti da lui avuti con altri soggetti inclusi nel “pizzino” sequestrato in carcere; dal tenore di una conversazione fra lo stesso M. e M.S., intercettata attraverso un impianto di captazione applicato all’autovettura di costui.
5.1. Relativamente alla conversazione da ultimo menzionata, va subito detto che le contestazioni mosse dal ricorrente si appuntano sia sull’utilizzabilità, sia sull’udibilità stessa del dialogo, per essersi questo svolto all’esterno del veicolo.
Esse, peraltro, sono da disattendere: sotto il primo profilo, in quanto l’autorizzazione ad intercettazione ambientale legittima la captazione di tutte le fonti sonore che giungano – non importa se da un ambiente interno od esterno -alla microspia collocata nel luogo stabilito; sotto il secondo profilo, la valutazione espressa dal Tribunale circa l’udibilità, la comprensibilità e il tenore delle parole pronunciate dagli interlocutori costituisce un giudizio di fatto, che non può essere sottoposto a revisione critica in sede di legittimità: a maggior ragione in quanto ciò richiederebbe la lettura e la valutazione di una relazione tecnica di parte, alla cui disamina la Corte di Cassazione non può accedere per i limiti della funzione giurisdizionale cui essa è chiamata.
5.2. Gli elementi più sopra menzionati sono stati apprezzati dal Tribunale nella loro globalità e convergenza, derivandone un complessivo giudizio di inequivocità dell’identificazione dell’odierno ricorrente quale destinatario della comunicazione contenuta nel “pizzino” sequestrato: giudizio che, per essere conforme ai precetti dell’art. 192 cod. proc. pen. e immune da vizi di carattere logico, resiste al controllo di legittimità e appresta adeguato sostegno al convincimento del Tribunale circa la gravità del compendio indiziario a carico del M. in ordine al delitto di partecipazione ad associazione mafiosa.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6.1. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter. ""
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-ha-un-ruolo-dinamico-il-partecipe-dell-associazione-di-stampo-mafioso/
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Cassazione, ha un ruolo dinamico il partecipe dell’associazione di stampo mafioso
Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale – Sentenza del 24.1.2013, n. 3823
In materia di associazione di stampo mafioso la Cassazione ha emesso numerose sentenze per distinguere tutte le diverse fattispecie che possono di fatto concretizzarsi e che potrebbero dar vita a una diversa interpretazione da parte dei diversi giudici che quotidianamente trattano la difficile materia.
In questa ultima decisione la Cassazione ha concentrato le proprie motivazioni sulla condotta dell’individuo, sottoponendola ad una scrupolosa analisi per determinare se vi è stata o meno parteipazione attiva nell’organizzazione criminale.
In poche parole, la Corte chiarisce che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, al punto da implicare, più che uno status di appartenenza.
In sostanza, avere nell’organizzazione un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
Testo della Sentenza
Cassazione penale, Sez. V, sentenza del 24.1.2013, n. 3823
…omissis…
Motivi della decisione
1. Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.
2. Occorre premettere che, alla stregua di un principio condivisibilmente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, alla Corte di Cassazione non compete stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ma soltanto verificare se il discorso giustificativo sia compatibile col senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto il controllo sulla motivazione del provvedimento impugnato è limitato alla verifica della consequenzialità logica dei passaggi argomentativi, mentre rimane escluso il sindacato sulla correttezza delle conclusioni raggiunte in rapporto ai dati processuali (Sez. 4, n. 4842/04 del 02/12/2003, Elia, Rv. 229369; v. anche Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214567).
2.1. La modifica legislativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, non è valsa a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delineato, rimanendone tuttora esclusa la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, così come l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti;
l’attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di rilevare, quale vizio di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata deve intendersi riferita a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene abitualmente definita “travisamento della prova” (e non del fatto): il che si verifica quando l’errore denunciato ricada non già sul significato dell’atto istruttorio (o investigativo), ma sulla percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto.
3. Sulla scorta della suesposta premessa, dal novero delle critiche mosse dall’odierno ricorrente alla motivazione dell’ordinanza impugnata corre l’obbligo di espungere, in quanto non consentite, quelle indirizzate a contrastare l’interpretazione data dal Tribunale al testo del bigliettino sequestrato dalla polizia penitenziaria al momento del passaggio da P.F. a un altro detenuto;
infatti, essendo certa ed incontestata la conformità al suo contenuto del testo riprodotto nell’ordinanza (onde rimane esclusa l’ipotesi di travisamento della prova), non rimane alcun margine per la sindacabilità dell’interpretazione datane dal giudice di merito, trattandosi di questione di fatto (Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724; Sez. 4, n. 117/06 del 28/10/2005, Caruso, Rv.
232626).
L’unica critica possibile è quella che investe, sotto il profilo strettamente logico, la chiave interpretativa adottata dal giudice di merito; ma di essa va rilevata l’infondatezza in quanto la linea argomentativa che struttura l’ordinanza non presenta cadute di consequenzialità, essendo basata sul significato ragionevolmente attribuito al termine “fiore”, alla stregua del suo abituale utilizzo nella simbologia mafiosa (che a sua volta è il risultato di un giudizio di fatto, come tale non soggetto a riesame in questa sede), e sulla collocazione dei nominativi dei soggetti indagati nel contesto, pur frettoloso e schematico, del manoscritto; ciò è a dirsi a maggior ragione in quanto il Tribunale non ha mancato di prendere in considerazione gli argomenti contrapposti dalla difesa ed, in particolare, quello qui riproposto dal ricorrente, secondo cui non sarebbe plausibile che l’elevazione al vertice della cosca del fratello del capo indiscusso dovesse dipendere dalla volontà dei soggetti subordinati: e vi ha dato confutazione col rimarcare che l’autorità dell’investitura promanava da P.F. e che i destinatari della comunicazione erano solo invitati a prenderne atto (pag. 22 dell’ordinanza, primo paragrafo).
4. Il fatto, poi, che i soggetti nominati nel “pizzino” fossero da considerare raggiunti per ciò solo da gravi indizi di reità in ordine alla partecipazione all’associazione mafiosa capeggiata da P.F., è conclusione argomentata dal Tribunale con ineccepibile linearità logica sulla base del rilievo per cui una comunicazione di tal fatta, riguardando la progressione di carica del fratello del capo-cosca, per la sua rilevanza non poteva che essere indirizzata a persone di sicura fiducia, in quanto stabilmente inserite nella gerarchia del gruppo criminale.
Né rileva la mancata individuazione del ruolo specifico rivestito da ciascuno di tali soggetti nell’organigramma associativo, alla luce del principio giurisprudenziale – evocato anche dal Tribunale – a tenore del quale la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670).
4.1. Il passo motivazionale dianzi sintetizzato costituisce uno snodo di rilevante importanza nell’apparato giustificativo del provvedimento qui impugnato, poichè da conto dell’autonoma valenza indiziaria dello scritto sequestrato ai fini dell’attribuzione della qualità di affiliati alle persone ivi nominate, una volta che queste siano univocamente identificate; con la conseguenza per cui le restanti fonti indiziarie vengono in considerazione solo per la loro attitudine a consentire tale identificazione: e proprio in funzione di essa sono state utilizzate dal giudice di merito.
Ne emerge l’irrilevanza delle contestazioni mosse dal ricorrente in ordine alla capacità dimostrativa delle propalazioni della collaborante P.G., nell’ottica – eccentrica rispetto alla linea argomentativa del Tribunale – di una loro portata indiziaria circa la sua partecipazione all’associazione criminale.
5. Per quanto riguarda la persona indicata nel bigliettino come ” M.R.”, elemento di primario rilievo è stato considerato l’esito delle indagini anagrafiche, donde è emerso che, fra le nove persone registrate con quel nome e cognome nell’ambito dei Comuni di Rosarno, Gioia Tauro, San Ferdinando, Polistena, Rizziconi e Palmi, su due soltanto l’attenzione poteva cadere per i precedenti di polizia e le frequentazioni; e di queste il solo M.R. nato a (OMISSIS) aveva frequentazioni specificamente riguardanti soggetti contigui o affiliati alla cosca P.
Nei suoi confronti, inoltre, si è constatato il convergere di una molteplicità di altri elementi, puntualmente valorizzati nell’ordinanza impugnata e costituiti: dalla di lui indicazione – confermata da riconoscimento fotografico – quale affiliato, da parte della collaboratrice di giustizia P.G.; dai rapporti di parentela con la consorteria, trattandosi di un nipote di P. V.; dalle risultanze di conversazioni intercettate in carcere, nelle quali egli era stato da altri indicato quale autore di due agguati di mafia; dai numerosi contatti da lui avuti con altri soggetti inclusi nel “pizzino” sequestrato in carcere; dal tenore di una conversazione fra lo stesso M. e M.S., intercettata attraverso un impianto di captazione applicato all’autovettura di costui.
5.1. Relativamente alla conversazione da ultimo menzionata, va subito detto che le contestazioni mosse dal ricorrente si appuntano sia sull’utilizzabilità, sia sull’udibilità stessa del dialogo, per essersi questo svolto all’esterno del veicolo.
Esse, peraltro, sono da disattendere: sotto il primo profilo, in quanto l’autorizzazione ad intercettazione ambientale legittima la captazione di tutte le fonti sonore che giungano – non importa se da un ambiente interno od esterno -alla microspia collocata nel luogo stabilito; sotto il secondo profilo, la valutazione espressa dal Tribunale circa l’udibilità, la comprensibilità e il tenore delle parole pronunciate dagli interlocutori costituisce un giudizio di fatto, che non può essere sottoposto a revisione critica in sede di legittimità: a maggior ragione in quanto ciò richiederebbe la lettura e la valutazione di una relazione tecnica di parte, alla cui disamina la Corte di Cassazione non può accedere per i limiti della funzione giurisdizionale cui essa è chiamata.
5.2. Gli elementi più sopra menzionati sono stati apprezzati dal Tribunale nella loro globalità e convergenza, derivandone un complessivo giudizio di inequivocità dell’identificazione dell’odierno ricorrente quale destinatario della comunicazione contenuta nel “pizzino” sequestrato: giudizio che, per essere conforme ai precetti dell’art. 192 cod. proc. pen. e immune da vizi di carattere logico, resiste al controllo di legittimità e appresta adeguato sostegno al convincimento del Tribunale circa la gravità del compendio indiziario a carico del M. in ordine al delitto di partecipazione ad associazione mafiosa.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6.1. La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter. ""
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