Avvocato penalista - Il denunciato o querelato, di poi assolto, non ha diritto al risarcimento, meno che nei casi di denuncia o querela infondate o temerarie.
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" Se vieni denunciato e assolto non puoi chiedere il risarcimento.
La querela o la denuncia sono fonte di responsabilità e di risarcimento solo in caso di calunnia o di azione temeraria, cioè intentata con colpa grave, ma quest’ultima ipotesi è di competenza del solo giudice penale.
L’imputato, prima denunciato per un reato e poi assolto dal giudice, non può chiedere il risarcimento del danno a chi lo ha querelato.
E questo perché la denuncia di un reato (tanto nell’ipotesi in cui esso sia perseguibile d’ufficio, quanto in quella in cui sia procedibile solo su querela di parte) non è mai fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato.
Lo ha chiarito il giudice di Pace di Napoli, dott. Italo Bruno, in una recente sentenza [1] che, peraltro, richiama ampia giurisprudenza conforme della Cassazione [2].
Il denunciante, dunque, salvo che abbia agito con l’intenzione deliberata e consapevole di calunniare, non è tenuto al risarcimento se la sua richiesta di condanna viene rigettata e l’imputato assolto, per due ordini di motivi:
– innanzitutto, ad ogni cittadino è riconosciuto il diritto di agire (in via civile o penale) a tutela dei propri diritti: stabilire una sanzione per l’azione giudiziaria, anche se infondata, equivarrebbe a limitare tale diritto;
– in secondo luogo, nel processo penale, l’azione è portata avanti non dalla parte (come invece avviene nel giudizio civile), ma dallo Stato, nella persona degli organi inquirenti e della Procura della Repubblica;
dunque, a tutto voler concedere potrebbe essere solo quest’ultimo il soggetto responsabile per l’azione penale infondata.
La sentenza però fa poi una distinzione.
Questo principio subisce due deroghe.
Vediamole singolarmente.
LA CALUNNIA.
Il soggetto assolto può chiedere il risarcimento del danno al denunciante solo se questi abbia agito con dolo, ossia con l’intento di calunniare l’altra persona che ben sapeva essere innocente.
Spetta però al denunciante dare prova di ciò, e tuttavia tale dimostrazione non può consistere – come appena detto – nella sola sentenza della sua assoluzione.
La valutazione della calunniosità o meno della denuncia e/o della querela non può discendere solo dall’assoluzione dell’imputato.
Perché scatti la calunnia, che certamente è fonte di responsabilità e di risarcimento (con prescrizione in cinque anni), è necessario che il denunciante fosse a conoscenza della innocenza dell’incolpato e che ciò nonostante lo abbia ugualmente querelato o denunciato.
Inoltre la calunnia scatta solo se il denunciante/querelante abbia effettivamente messo in moto la macchina giudiziaria (quindi, l’accusa infondata deve essere presentata non a un soggetto qualsiasi, ma a un magistrato o a qualsiasi altra autorità obbligata per legge a comunicarlo al magistrato, come per esempio i carabinieri).
Per esempio, non scatta la calunnia su Tizio denuncia Caio di un reato inesistente davanti al datore di lavoro di entrambi;
LA COLPA GRAVE.
Anche se non vi sia stata calunnia, il soggetto assolto può chiedere il rimborso delle spese necessarie per difendersi nel giudizio penale se il querelante/denunciante abbia agito temerariamente, ossia con colpa grave [3].
In tal caso scattano le stesse sanzioni di tipo economiche previste nel giudizio civile con la cosiddetta “responsabilità processuale aggravata” [4].
In tal caso, però, la richiesta del risarcimento non va presentata al giudice civile, con un’autonoma causa, ma allo stesso giudice penale che ha deciso il processo conclusosi con l’assoluzione [5].
Ciò perché è solo il Giudice penale, conoscitore del processo, a poter decidere con cognizione di causa sulla domanda di risarcimento per colpa grave su richiesta dell’imputato, non potendo in alcun modo tali statuizioni essere demandate ad altro Giudice [6].
In definitiva, in presenza di una querela infondata, non spetta alcun risarcimento salvo che venga dimostrato che il denunciante/querelante abbia agito con dolo, ossia con la volontà di addebitare all’imputato un fatto che egli sapeva non essere vero (calunnia).
In tal caso spetta all’attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza dell’innocenza del denunciato.
[1] G.d.P. Napoli, sez. Pozzuoli, sent. n. 7056/15 del 27.11.2015.
[2] Cass. sent. n. 10033 del 25.05.2004; n. 750 del 23.01.2002.
[3] Art. 427 cod. proc. pen.
[4] Art. 96 cod. proc. civ.
[5] Trib. Reggio Calabria sent. n. 241/06.
[6] Cass. sent. n. 1748/2012. "
Fonte laleggepertutti.it, qui:
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Avvocato penalista - Il denunciato o querelato, di poi assolto, non ha diritto al risarcimento, meno che nei casi di denuncia o querela infondate o temerarie. |
" Se vieni denunciato e assolto non puoi chiedere il risarcimento.
La querela o la denuncia sono fonte di responsabilità e di risarcimento solo in caso di calunnia o di azione temeraria, cioè intentata con colpa grave, ma quest’ultima ipotesi è di competenza del solo giudice penale.
L’imputato, prima denunciato per un reato e poi assolto dal giudice, non può chiedere il risarcimento del danno a chi lo ha querelato.
E questo perché la denuncia di un reato (tanto nell’ipotesi in cui esso sia perseguibile d’ufficio, quanto in quella in cui sia procedibile solo su querela di parte) non è mai fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante, anche in caso di proscioglimento o di assoluzione del denunciato.
Lo ha chiarito il giudice di Pace di Napoli, dott. Italo Bruno, in una recente sentenza [1] che, peraltro, richiama ampia giurisprudenza conforme della Cassazione [2].
Il denunciante, dunque, salvo che abbia agito con l’intenzione deliberata e consapevole di calunniare, non è tenuto al risarcimento se la sua richiesta di condanna viene rigettata e l’imputato assolto, per due ordini di motivi:
– innanzitutto, ad ogni cittadino è riconosciuto il diritto di agire (in via civile o penale) a tutela dei propri diritti: stabilire una sanzione per l’azione giudiziaria, anche se infondata, equivarrebbe a limitare tale diritto;
– in secondo luogo, nel processo penale, l’azione è portata avanti non dalla parte (come invece avviene nel giudizio civile), ma dallo Stato, nella persona degli organi inquirenti e della Procura della Repubblica;
dunque, a tutto voler concedere potrebbe essere solo quest’ultimo il soggetto responsabile per l’azione penale infondata.
La sentenza però fa poi una distinzione.
Questo principio subisce due deroghe.
Vediamole singolarmente.
LA CALUNNIA.
Il soggetto assolto può chiedere il risarcimento del danno al denunciante solo se questi abbia agito con dolo, ossia con l’intento di calunniare l’altra persona che ben sapeva essere innocente.
Spetta però al denunciante dare prova di ciò, e tuttavia tale dimostrazione non può consistere – come appena detto – nella sola sentenza della sua assoluzione.
La valutazione della calunniosità o meno della denuncia e/o della querela non può discendere solo dall’assoluzione dell’imputato.
Perché scatti la calunnia, che certamente è fonte di responsabilità e di risarcimento (con prescrizione in cinque anni), è necessario che il denunciante fosse a conoscenza della innocenza dell’incolpato e che ciò nonostante lo abbia ugualmente querelato o denunciato.
Inoltre la calunnia scatta solo se il denunciante/querelante abbia effettivamente messo in moto la macchina giudiziaria (quindi, l’accusa infondata deve essere presentata non a un soggetto qualsiasi, ma a un magistrato o a qualsiasi altra autorità obbligata per legge a comunicarlo al magistrato, come per esempio i carabinieri).
Per esempio, non scatta la calunnia su Tizio denuncia Caio di un reato inesistente davanti al datore di lavoro di entrambi;
LA COLPA GRAVE.
Anche se non vi sia stata calunnia, il soggetto assolto può chiedere il rimborso delle spese necessarie per difendersi nel giudizio penale se il querelante/denunciante abbia agito temerariamente, ossia con colpa grave [3].
In tal caso scattano le stesse sanzioni di tipo economiche previste nel giudizio civile con la cosiddetta “responsabilità processuale aggravata” [4].
In tal caso, però, la richiesta del risarcimento non va presentata al giudice civile, con un’autonoma causa, ma allo stesso giudice penale che ha deciso il processo conclusosi con l’assoluzione [5].
Ciò perché è solo il Giudice penale, conoscitore del processo, a poter decidere con cognizione di causa sulla domanda di risarcimento per colpa grave su richiesta dell’imputato, non potendo in alcun modo tali statuizioni essere demandate ad altro Giudice [6].
In definitiva, in presenza di una querela infondata, non spetta alcun risarcimento salvo che venga dimostrato che il denunciante/querelante abbia agito con dolo, ossia con la volontà di addebitare all’imputato un fatto che egli sapeva non essere vero (calunnia).
In tal caso spetta all’attore, che in sede civile chieda il risarcimento dei danni assumendo che la denuncia era calunniosa, dimostrare che la controparte aveva consapevolezza dell’innocenza del denunciato.
[1] G.d.P. Napoli, sez. Pozzuoli, sent. n. 7056/15 del 27.11.2015.
[2] Cass. sent. n. 10033 del 25.05.2004; n. 750 del 23.01.2002.
[3] Art. 427 cod. proc. pen.
[4] Art. 96 cod. proc. civ.
[5] Trib. Reggio Calabria sent. n. 241/06.
[6] Cass. sent. n. 1748/2012. "
Fonte laleggepertutti.it, qui:
http://www.laleggepertutti.it/105523_se-vieni-denunciato-e-assolto-non-puoi-chiedere-il-risarcimento
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