Avvocato penalista - La critica irruente, quando verte su fatti veri, non è mai diffamazione.
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" La critica irruente su fatti veri non è diffamazione.
Gli atteggiamenti di critica espressi anche con toni irruenti, non rientrano nella diffamazione, soprattutto se basati su fatti veritieri.
Dove finisce la critica e dove, invece, inizia la diffamazione?
Un confine a volte labile, che più volte la Cassazione ha tentato di definire, da ultimo con una sentenza pubblicata ieri [1].
In generale si può dire che rientra nella diffamazione ogni epiteto sprezzante il cui scopo sia solo quello di denigrare la persona offesa senza ulteriori finalità se non quello della mortificazione pura e semplice; al contrario si ricade nella critica quando la frase ingiuriosa, anche se espressa con toni violenti, viene proferita in un contesto di giudizio critico del soggetto passivo, in particolar modo se tale frase risulta fondata su un fatto vero.
Dunque, la scortesia e l’irruenza nell’espressione verbale, ma finalizzata solo alla critica e non alla denigrazione della persona, non costituisce mai reato.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 luglio – 21 dicembre 2015, n. 50099.
Presidente Lapalorcia – Relatore De Marzo.
1. Con sentenza del 26/06/2014 il Tribunale di Torino ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno T.P. , avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 595, comma primo e secondo, cod. pen., per avere, in una lettera indirizzata a più persone, offeso la reputazione di G.D., funzionario della Direzione Turismo della Regione Piemonte, attribuendogli una prospettazione di fatti ingannevoli con finalità di raggiro, al fine di far desistere il primo dalla richiesta di rettifica di una domanda amministrativa e dalla presentazione di un ricorso al TAR.
2. L’imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano mancata assunzione di una prova decisiva richiesta in fase dibattimentale e inosservanza dell’art. 51 cod. pen., sostenendo:
a) che nel memoriale difensivo depositato presso la cancelleria del giudice di pace il 29/03/2012 aveva richiesto mezzi istruttori finalizzati a chiarire “il fondamento giuridico – normativo del rigido formalismo” che aveva indotto la persona offesa a ritenere insuperabile l’errore materiale nel quale il T. era incorso, omettendo di spuntare, nel modulo della domanda di finanziamento, la casella relativa al contributo principale che pure era sua intenzione richiedere;
b) che in conseguenza era inadeguata la metodologia dell’istruttoria delegata alla Guardia di Finanza;
c) che, in definitiva, sin dall’ordinanza con la quale il G.i.p. aveva ordinato al P.M. la formulazione dell’imputazione, non si era approfondito il fondamento delle ragioni giuridiche a sostegno delle richieste del T., il quale, non trovando interlocutori istituzionali disposti ad affrontare tali questioni, era stato esasperato al punto da scrivere le frasi contestate;
d) che l’accertamento dell’arbitrio del G., nel dare direttive di esasperato formalismo, avrebbe fatto emergere una situazione di conflitto di interessi;
e) che le conclusioni del T., quanto all’affermazione di essere stato vittima di un arbitrio, si fondavano sugli artt. 1431, 1175, 1176, 1362 cod. civ., nonché sull’art. 6, punto 3 della legge regionale n. 18 del 1999, sul punto 2.3. del programma annuale di interventi 2003 e, in generale, sulla I. n. 241 del 1990;
f) che, alla stregua di tali indicazioni, emergeva il carattere errato ed ingannevole dell’accostamento proposto dal G. tra l’errore compiuto dal ricorrente e altri errori, ritenuti non emendabili, quali la mancata sottoscrizione della domanda.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che la Corte territoriale era tenuta ad esaminare, sia pure in via incidentale, la questione della legittimità del rigido formalismo applicato all’istruttoria della domanda presentata, dal momento che la soluzione negativa avrebbe reso palese che la lettera era stata scritta non per il gusto di diffamare il G., ma, nell’esercizio del diritto di critica, per la necessità di trovare un interlocutore istituzionale, al fine di raggiungere una soluzione extra – giudiziale, come del resto ben si intendeva leggendo la missiva nella sua interezza.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione degli art. 42 e 51 cod. pen., richiamando le difese svolte in appello, quanto all’assenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, l’innocuità della frase riportata nel capo di imputazione, peraltro del tutto incomprensibile, e, in generale, l’inoffensività della condotta.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 598, 595, commi primo e secondo cod. pen., nonché dell’art. 9, punto 1 della l. reg. n. 19 del 1999, rilevando che la missiva doveva intendersi come espressione del diritto di difesa, in quanto indirizzata a soggetti svolgenti funzioni pubblicistiche di controllo e vigilanza.
2.5. Con il quinto motivo, si lamenta violazione dell’art. 599 cod. pen., criticando la sentenza impugnata, per non avere considerato che la lettera recava la data del 27/12/2007 ed era stata scritta in uno stato d’ira determinato dal fatto che sette giorni prima il TAR aveva declinato la giurisdizione sul ricorso presentato dal T. contro la Regione Piemonte.
2.6. Con il sesto motivo, si lamentano vizi motivazionali, con riferimento alla liquidazione delle spese della parte civile, in assenza di specificazione delle voci concorrenti nella formazione dell’importo determinato e dei criteri di liquidazione seguiti.
1. Il secondo motivo, da esaminare preliminarmente per ragioni di ordine logico, è fondato.
È certamente esatto che, in tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.
Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale (Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessi, Rv. 250174, che ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la scriminante del diritto di critica nei confronti degli imputati, che avevano affisso nelle bacheche aziendali e diffuso con volantini un comunicato in cui, contestando la posizione dissenziente di un iscritto alla C.G.I.L., lo si definiva notoriamente imbecille).
Così come va ribadito che presupposto imprescindibile per l’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014 – dep. 19/02/2015, Caldarola, Rv. 264064).
Cionondimeno, le affermazioni del ricorrente, il quale, lamentando che una sua domanda di contributo regionale fosse stata accolta solo parzialmente per un mero errore materiale nell’indicazione del finanziamento richiesto, si doleva, sia pure in termini aspri, di essere stato indotto a non insistere nella tutela della proprie ragioni dal comportamento ingannevole serbato dalla persona offesa, senza trasmodare in un gratuito attacco alla persona del destinatario, in quanto tale, rappresentano null’altro che una elaborazione critica della vicenda, certo non limpida, in ragione della specifica condizione dell’imputato, ma non avulsa, quantomeno sul piano soggettivo, dal contesto procedimentale in cui si inserisce.
Del resto, proprio le espressioni altrove più esitanti dell’imputato, rilevate nella missiva della quale si discute dallo stesso Tribunale, danno conto del fatto che il T., lungi dall’attribuire uno specifico interesse fraudolento alla persona offesa, intendeva soltanto rappresentare, si ripete in termini scortesi, ma nel quadro di un contesto di contrapposizione di interessi, di avere trovato un interlocutore solo attento ai profili formalistici della vicenda e non a quelli sostanziali.
In questi termini, va apprezzato il precedente di questa Corte, secondo cui sussiste l’esimente di cui all’art. 51 cod. pen. nel caso in cui un correntista indirizzi una missiva alle autorità sovraordinate delle banche e allo stesso operatore di riferimento attribuendogli, sia pure indirettamente, “meschini comportamenti”, qualora essa si sostanzi in una rimostranza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva dei propri diritti (mancata chiusura del conto corrente), trattandosi di contesto “conflittuale” tra istituto di credito e correntista in cui la missiva di quest’ultimo ha per obiettivo la descrizione della propria versione dei fatti intesa a sollecitare l’intervento delle autorità competenti, mentre le espressioni utilizzate, pur aspre e polemiche, non trasmodano in aggressioni gratuite, essendo preordinate al ripristino di comportamenti corretti (Sez. 5, n. 23579 del 17/02/2014, Marciano, Rv. 260213).
2. L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento delle restanti censure e il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
[1] Cass. sent. n. 50099/15 del 21.12.2015. "
Fonte laleggepertutti.it, qui:
http://www.laleggepertutti.it/107131_la-critica-irruenta-su-fatti-veri-non-e-diffamazione
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Avvocato penalista - La critica irruente, quando verte su fatti veri, non è mai diffamazione. |
" La critica irruente su fatti veri non è diffamazione.
Gli atteggiamenti di critica espressi anche con toni irruenti, non rientrano nella diffamazione, soprattutto se basati su fatti veritieri.
Dove finisce la critica e dove, invece, inizia la diffamazione?
Un confine a volte labile, che più volte la Cassazione ha tentato di definire, da ultimo con una sentenza pubblicata ieri [1].
In generale si può dire che rientra nella diffamazione ogni epiteto sprezzante il cui scopo sia solo quello di denigrare la persona offesa senza ulteriori finalità se non quello della mortificazione pura e semplice; al contrario si ricade nella critica quando la frase ingiuriosa, anche se espressa con toni violenti, viene proferita in un contesto di giudizio critico del soggetto passivo, in particolar modo se tale frase risulta fondata su un fatto vero.
Dunque, la scortesia e l’irruenza nell’espressione verbale, ma finalizzata solo alla critica e non alla denigrazione della persona, non costituisce mai reato.
La sentenza.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 luglio – 21 dicembre 2015, n. 50099.
Presidente Lapalorcia – Relatore De Marzo.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 26/06/2014 il Tribunale di Torino ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno T.P. , avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 595, comma primo e secondo, cod. pen., per avere, in una lettera indirizzata a più persone, offeso la reputazione di G.D., funzionario della Direzione Turismo della Regione Piemonte, attribuendogli una prospettazione di fatti ingannevoli con finalità di raggiro, al fine di far desistere il primo dalla richiesta di rettifica di una domanda amministrativa e dalla presentazione di un ricorso al TAR.
2. L’imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano mancata assunzione di una prova decisiva richiesta in fase dibattimentale e inosservanza dell’art. 51 cod. pen., sostenendo:
a) che nel memoriale difensivo depositato presso la cancelleria del giudice di pace il 29/03/2012 aveva richiesto mezzi istruttori finalizzati a chiarire “il fondamento giuridico – normativo del rigido formalismo” che aveva indotto la persona offesa a ritenere insuperabile l’errore materiale nel quale il T. era incorso, omettendo di spuntare, nel modulo della domanda di finanziamento, la casella relativa al contributo principale che pure era sua intenzione richiedere;
b) che in conseguenza era inadeguata la metodologia dell’istruttoria delegata alla Guardia di Finanza;
c) che, in definitiva, sin dall’ordinanza con la quale il G.i.p. aveva ordinato al P.M. la formulazione dell’imputazione, non si era approfondito il fondamento delle ragioni giuridiche a sostegno delle richieste del T., il quale, non trovando interlocutori istituzionali disposti ad affrontare tali questioni, era stato esasperato al punto da scrivere le frasi contestate;
d) che l’accertamento dell’arbitrio del G., nel dare direttive di esasperato formalismo, avrebbe fatto emergere una situazione di conflitto di interessi;
e) che le conclusioni del T., quanto all’affermazione di essere stato vittima di un arbitrio, si fondavano sugli artt. 1431, 1175, 1176, 1362 cod. civ., nonché sull’art. 6, punto 3 della legge regionale n. 18 del 1999, sul punto 2.3. del programma annuale di interventi 2003 e, in generale, sulla I. n. 241 del 1990;
f) che, alla stregua di tali indicazioni, emergeva il carattere errato ed ingannevole dell’accostamento proposto dal G. tra l’errore compiuto dal ricorrente e altri errori, ritenuti non emendabili, quali la mancata sottoscrizione della domanda.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che la Corte territoriale era tenuta ad esaminare, sia pure in via incidentale, la questione della legittimità del rigido formalismo applicato all’istruttoria della domanda presentata, dal momento che la soluzione negativa avrebbe reso palese che la lettera era stata scritta non per il gusto di diffamare il G., ma, nell’esercizio del diritto di critica, per la necessità di trovare un interlocutore istituzionale, al fine di raggiungere una soluzione extra – giudiziale, come del resto ben si intendeva leggendo la missiva nella sua interezza.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione degli art. 42 e 51 cod. pen., richiamando le difese svolte in appello, quanto all’assenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, l’innocuità della frase riportata nel capo di imputazione, peraltro del tutto incomprensibile, e, in generale, l’inoffensività della condotta.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 598, 595, commi primo e secondo cod. pen., nonché dell’art. 9, punto 1 della l. reg. n. 19 del 1999, rilevando che la missiva doveva intendersi come espressione del diritto di difesa, in quanto indirizzata a soggetti svolgenti funzioni pubblicistiche di controllo e vigilanza.
2.5. Con il quinto motivo, si lamenta violazione dell’art. 599 cod. pen., criticando la sentenza impugnata, per non avere considerato che la lettera recava la data del 27/12/2007 ed era stata scritta in uno stato d’ira determinato dal fatto che sette giorni prima il TAR aveva declinato la giurisdizione sul ricorso presentato dal T. contro la Regione Piemonte.
2.6. Con il sesto motivo, si lamentano vizi motivazionali, con riferimento alla liquidazione delle spese della parte civile, in assenza di specificazione delle voci concorrenti nella formazione dell’importo determinato e dei criteri di liquidazione seguiti.
Considerato in diritto
1. Il secondo motivo, da esaminare preliminarmente per ragioni di ordine logico, è fondato.
È certamente esatto che, in tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato.
Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale (Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessi, Rv. 250174, che ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha escluso la scriminante del diritto di critica nei confronti degli imputati, che avevano affisso nelle bacheche aziendali e diffuso con volantini un comunicato in cui, contestando la posizione dissenziente di un iscritto alla C.G.I.L., lo si definiva notoriamente imbecille).
Così come va ribadito che presupposto imprescindibile per l’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. 5, n. 7715 del 04/11/2014 – dep. 19/02/2015, Caldarola, Rv. 264064).
Cionondimeno, le affermazioni del ricorrente, il quale, lamentando che una sua domanda di contributo regionale fosse stata accolta solo parzialmente per un mero errore materiale nell’indicazione del finanziamento richiesto, si doleva, sia pure in termini aspri, di essere stato indotto a non insistere nella tutela della proprie ragioni dal comportamento ingannevole serbato dalla persona offesa, senza trasmodare in un gratuito attacco alla persona del destinatario, in quanto tale, rappresentano null’altro che una elaborazione critica della vicenda, certo non limpida, in ragione della specifica condizione dell’imputato, ma non avulsa, quantomeno sul piano soggettivo, dal contesto procedimentale in cui si inserisce.
Del resto, proprio le espressioni altrove più esitanti dell’imputato, rilevate nella missiva della quale si discute dallo stesso Tribunale, danno conto del fatto che il T., lungi dall’attribuire uno specifico interesse fraudolento alla persona offesa, intendeva soltanto rappresentare, si ripete in termini scortesi, ma nel quadro di un contesto di contrapposizione di interessi, di avere trovato un interlocutore solo attento ai profili formalistici della vicenda e non a quelli sostanziali.
In questi termini, va apprezzato il precedente di questa Corte, secondo cui sussiste l’esimente di cui all’art. 51 cod. pen. nel caso in cui un correntista indirizzi una missiva alle autorità sovraordinate delle banche e allo stesso operatore di riferimento attribuendogli, sia pure indirettamente, “meschini comportamenti”, qualora essa si sostanzi in una rimostranza rispetto ad una situazione ritenuta ingiustamente lesiva dei propri diritti (mancata chiusura del conto corrente), trattandosi di contesto “conflittuale” tra istituto di credito e correntista in cui la missiva di quest’ultimo ha per obiettivo la descrizione della propria versione dei fatti intesa a sollecitare l’intervento delle autorità competenti, mentre le espressioni utilizzate, pur aspre e polemiche, non trasmodano in aggressioni gratuite, essendo preordinate al ripristino di comportamenti corretti (Sez. 5, n. 23579 del 17/02/2014, Marciano, Rv. 260213).
2. L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento delle restanti censure e il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
[1] Cass. sent. n. 50099/15 del 21.12.2015. "
Fonte laleggepertutti.it, qui:
http://www.laleggepertutti.it/107131_la-critica-irruenta-su-fatti-veri-non-e-diffamazione
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