Avvocato penalista - Il Peculato (Art. 314 del Codice Penale) e la Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (Art. 640 bis del Codice Penale); le condizioni e le differenze secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione.
____________________________________"" Erogazioni pubbliche, differenza tra peculato e truffa aggravata
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 28 maggio – 27 giugno 2014, n. 28020
Presidente Agrò – Relatore Villoni
Articolo 314 Codice Penale
Peculato
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita
Articolo 640 bis Codice Penale
Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche
La pena è della reclusione da uno a sei anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Con la sentenza che di seguito si riporta, la sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire alcuni aspetti dei succitati reati poiché il Tribunale di Catania, (5^ Sezione Penale) in funzione di giudice del riesame, riformava parzialmente l'ordinanza emessa dal GIP presso lo stesso ufficio giudiziario con cui era stata applicata la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un uomo, provvisoriamente accusato in concorso con altri dei reati di associazione per delinquere, peculato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e e dichiarazione tributaria fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.
L'indagato veniva, in definitiva, indicato come colui che aveva consentito che le società da lui rappresentate fungessero da schermo giuridico per fini di esclusivo arricchimento personale, familiare e dei collaboratori.
Avverso l'ordinanza veniva presentato ricorso dall'imputato deducendo plurimi profili di censura: a) vizio di illogicità della motivazione per non essere il Tribunale riuscito a dare conto della partecipazione materiale alle condotte di concorso in peculato provvisoriamente contestate ai capi 62 e 63 dell'ordinanza, risultando per documenti che il movimento finanziario ivi descritto non aveva in alcun momento contemplato una sua ingerenza; le condotte in esame non potevano comunque essere qualificate ai sensi dell'art. 314 cod. pen. dal momento che, poiché il fine del raggiro contestato agli indagati era quello di conseguire i finanziamenti per poi distrarli a proprio vantaggio, la condotta di appropriazione del denaro ivi indicata, lungi dal costituire nuova manifestazione illecita o ulteriore danno per l'ente pubblico, altro non aveva rappresentato che il realizzarsi dell'evento per cui era preordinata l'originaria condotta fraudolenta, senza integrazione di nuova e diversa figura di reato; b) vizio di motivazione in ordine alla condotta di peculato contestata al capo 80 ed attuata, secondo l'accusa, mediante la disponibilità offerta dal ricorrente a figurare come dipendente degli enti previdenziali e come tale apparentemente destinatario di emolumenti retributivi per prestazioni lavorative di fatto mai svolte; ad avviso del ricorrente, la condotta non può integrare il reato in questione ma esplica i suoi effetti nella sfera privatistica del rapporto di lavoro, configurandosi al più come fraudolento inadempimento contrattuale per le prestazione lavorative non svolte; c) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta permanenza di esigenze cautelari sotto i profili del pericolo di inquinamento probatorio e di recidiva nei reati, a motivo del decorso dei tempo dalle condotte contestate, dall'estromissione degli enti di formazione professionale dal novero di quelli ammessi ai finanziamenti regionali, dalla cessazione dell'amministrazione di detti enti da parte di tutti i soggetti indagati.
Secondo i Supremi Giudici "Il ricorso è fondato limitatamente alle condotte provvisoriamente contestate ai capi 62, 63 e 80 dell'ordinanza cautelare genetica, ritenute dal Tribunale integrare il reato di peculato di cui all'art. 314 cod. pen".
Il supremo collegio infatti ha condiviso le valutazioni del Tribunale il quale ha diversamente qualificato le altre condotte di cui ai capi 3, 5, 6, 7, 8 dell'ordinanza cautelare genetica, ravvisando in esse la figura di reato della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cod. pen.) rispetto all'originaria contestazione provvisoria di peculato.
gli ermellini infatti rappresentano che "appare del tutto corretto il rilievo che ai fini della differenziazione dei due illeciti depongono essenzialmente le modalità con cui la condotta di indebita acquisizione del pubblico denaro è attuata, ossia come l'agente in senso penalistico consegue il possesso del denaro costituente l'oggetto materiale del reato.
Sussiste, invero, il delitto di peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si appropria del denaro di cui abbia il possesso o la disponibilità materiale, conseguiti legittimamente per ragione del suo ufficio o servizio ed eventuali artifici eventualmente posti successivamente in essere rilevano esclusivamente al fine di occultare l'illecito impossessamento o per assicurarsi l'impunità.
Si configura, invece, la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, qualora il soggetto attivo del reato si sia fraudolentemente procurato detto possesso, inducendo la parte lesa in errore mediante le condotte tipiche di artificio o raggiro".
Pertanto, ricorda che "La giurisprudenza di questa Corte di legittimità e di questa sezione - del resto puntualmente e appropriatamente richiamata dal Tribunale - fonda infatti la differenza tra le distinte figure di reato proprio sulle modalità del possesso dei denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Cass. Sez. 6, sent. n. 35852 del 06/05/2008, Savorgnano, Rv. 241186 e conformi Sez. 6, sent. n. 32863 del 25/05/2011, PG in proc. Pacciani, Rv. 250901; Sez. 6, sent. n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo e altri, Rv. 256595; Sez. 6 sent. n. 41599 del 17/07/ 2013, PG in proc. Fasoli, Rv. 256867; Sez. 6 sent. n. 5087 del 23/01/2014, PM e Bertolone, Rv. 258051; Sez. 6 sent. del 06/02/2014, Campanile non massimata).
In tale prospettiva ermeneutica, il Tribunale ha escluso la possibilità, ritenuta invece dal GIP, di dare una differente qualificazione giuridica a segmenti della complessiva condotta di fraudolenta acquisizione dei fondi pubblici, a seconda delle fasi del finanziamento in cui essi si erano inseriti, segnatamente di peculato per quelli rientranti nella fase di erogazione dell'acconto integrativo e truffa aggravata per quelli riferiti alla fase di rendicontazione". ""
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