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giovedì 4 agosto 2011

Avvocato penalista - Il diritto alla privatezza (privacy) ed i suoi limiti.

Avvocato penalista - Il diritto alla privatezza (privacy) ed i suoi limiti. 
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Avvocato penalista - Il diritto alla privatezza (privacy) ed i suoi limiti.
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La Corte Suprema di Cassazione, in materia Penale, ha ri-stabilito un limite al diritto alla nostra privatezza (od alla nostra privacy, come si dice al giorno d'oggi), statuendo che esso non sussiste nei luoghi di privata dimora, se e quando ricorrono deteminate condizioni.
 
Infatti, la Corte di Cassazione a tale proposito ha affermato di recente, riconfermando il suo precedente orientamento giurisprudenziale in materia, che la ripresa fotografica o video di una attività edificatoria in corso nella contigua proprietà della persona ripresa non integra il reato di interferenza illecita nella vita privata, di cui all'art. 615-bis del Codice Penale (1).

In base a questo orientamento giurisprudenziale, infatti, la Corte ha ribadito che "il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza" se l'azione ripresa "pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti" e che, dunque, "la ripresa fotografica da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata ed integra il reato di cui all'art. 615-bis c.p. solo "a condizione che "vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall'esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei".

Per altro, la Corte ha precisato che la tutela apprestata dal legislatore alla riservatezza postula "la liceità dell'attività svolta in ambito privato, potendo, diversamente, l'intrusione nell'altrui privacy ritenersi comunque contestata, tanto più in presenza di un diritto, il cui esercizio si intenda garantire o la cui violazione si voglia accertare o prevenire".

Non da meno, nel caso di specie, il reato di cui all'art. 615-bis C.P. non sussiste in quanto, secondo la Corte, l'esperimento delle azioni civili previste a tutela della proprietà ed anche del possesso ammette "il diritto a documentare, con ogni mezzo (non esclusa appunto la ripresa fotografica o filmata), l'epoca dell'altrui costruzione, essendo, peraltro, risaputo che, ai fini dell'ordinaria azione di nunciazione (denuncia di nuova opera) di cui all'articolo 1170 c.c., è necessario il rispetto del termine di un anno dall'inzio della nuova opera".

Sulla base di tali enunciazioni, la Corte di Cassazione con la citata sentenza ha annullato le precedenti sentenze di merito che avevano giudicato colpevoli del reato di interferenze illecite nella vita privata e molestie, padre e figlia, per avere captato le “immagini della vita privata altrui, (ossia dei vicini di casa) nelle specie esteriorizzatasi attraverso l’iniziativa edificatoria”; i Giudici dei Giudici, nel condividere le tesi della difesa di parte ricorrente, che fondavano il proprio assunto sulla circostanza fattuale che le riprese audiovisive fossero state realizzate per testimoniare un illecito civile perpetrato, hanno cassato senza rinvio la pronuncia impugnata, in quanto il fatto contestato, non sussiste.
 
Di fatti, in un passo molto significativo della sentenza di legittimità si afferma che “anche ad ammettere, sia pure con innegabile forzatura linguistica, che l’attività di costruzione di un muro di confine costituisca, davvero, fatto afferente all’imperscrutabile vita privata altrui, la realizzazione del manufatto in prossimità di un confine postula il rispetto delle prescrizioni civilistiche», ed il cittadino, di fronte ad una eventuale lesione di un proprio diritto, ha il sacrosanto diritto a documentare con ogni strumento, ivi compresi i filmati, l’illegittima costruzione altrui; perciò, nel pieno giudizio di bilanciamento fra interessi contrapposti, si deve privilegiare diritto alla privacy solo e laddove l’eventuale attività di ripresa sia da considerarsi indebita, in quanto tale.
 
(Così, Corte Suprema di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 24 giugno 2011, n°. 25453).

(1) - Il delitto di cui all’articolo 615 bis (intitolato Interferenze illecite nella vita privata) è stato introdotto all’interno del nostro ordinamento giuridico penale ad opera e per l’effetto dell’articolo 1 della legge n. 98 del 1 aprile 1974, e prevede che:
 
“Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
 
“Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo”.

“I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato”.
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