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domenica 24 luglio 2011

Avvocato penalista - Stalking nel condominio.

Avvocato penalista - Stalking nel condominio.
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Avvocato penalista - Stalking nel condominio.
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Molestare e/o minacciare le vicine di casa o chi altri abita in un condominio costituisce reato di Atti persecutori (art. 612 bis c.p.) condominiali o "stalking condominiale".

Lo ha stabilito ed enunciato la Corte di Cassazione in una recente sentenza secondo cui integrano il reato di Atti persecutori, di cui all'art. 612 bis del Codice Penale, anche le molestie e/o le minacce che siano indiscriminatamente rivolte ai condomini (nel caso al vaglio di legittimità della Corte si trattava di alcune condomine).

Dunque, il reato di atti persecutori allarga la sua sfera di azione e scatta anche quando non c’è un’unica vittima, ma l'azione penalmente illecita risulti rivolta contro una pluralità di persone.

Il delitto di atti persecutori (stalking) si può configurare, dunque, anche in ambito condominiale, laddove uno dei residenti terrorizza le vicine, seguendole, molestandole e/o minacciandole quando le incontra o quando si apposta in attesa di incontrarle o per poterle incontrare nelle parti comuni dell’edificio condominiale.

Con la sentenza n°. 20895 del 2011, emessa dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione quest'ultima ha confermato la sentenza di condanna adottata nei confronti di un uomo che, in un condominio di Torino, braccava alcune condomine, arrivando perfino a bloccare l’ascensore dove le malcapitate si erano rifugiate per proteggersi dalle intimidazioni.

Non c’è dubbio che la condotta dell’uomo, nel caso vagliato dalla Corte, integri il reato di cui all’art. 612 bis C. P., atteso che il persecutore molestava e minacciava  le residenti solo in quanto donne e l’offesa arrecata a una di loro, per l'appartenenza di costei al genere femminile, turba di per sé ogni altra signora che risiede nello stesso luogo di privata dimora,  cagionando ad ognuna di esse gli effetti tipici del delitto di Atti persecutori (stalking) ossia il "perdurante e grave stato di ansia o di paura" ovvero ingenerando il "fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva" ovvero costringendo le stesse "ad alterare le proprie abitudini di vita".
 
Nemmeno l’intervento di un parroco ha fatto desistere il soggetto in questione, che pare fosse un "maniaco" abitante nel palazzo, che ora dov'è avrà tutto il tempo per riflettere bene sulle sue condotte e sui loro effetti verso gli altri, se può o se vuole.

Il Codice Penale, al comma 1 dell’articolo 612 bis, titolato Atti persecutori, prevede, infatti, che:

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".
 
Molto significativi, equi e condivisibili i principi di diritto enucleati dalla Corte Suprema di Cassazione nel caso penale che ha riguardato il persecutore o "stalker" condominiale torinese:

"Se la norma incriminatrice di cui all'art. 612 bis è speciale rispetto a quelle che prevedono reati di minaccia o molestia, non lo è rispetto all'art. 610 CP";

"La violenza privata anzitutto può essere commessa con atti di per sé violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento."

"La previsione dell'art. 610 CP perciò non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell'offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d'onde il quid pluris di cui all’art. 610 CP";

"Lo stesso evento di molestia poi ripetuto è un male ingiusto e la correttezza della motivazione non è inficiata dalla provenienza della minaccia da persona che manifesti comportamento maniacale.

Proprio la relativa consapevolezza può accrescere il turbamento di coloro che si attendono da tale persona un ingiusto male";

"E' riduttiva la lettura della norma nel senso che gli atti molesti debbano essere per forza rivolti ad una sola persona";

"Il fatto può essere costituito anche da due sole "condotte";

"La minaccia rivolta ad una persona può coinvolgerne altre o comunque costituirne molestia";

"Si pensi al caso di colui che minacci d'abitudine qualsiasi persona attenda ogni mattino nel luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi ai lavoro.

La minaccia in tal caso assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle altre persone presenti";

"Può essere decisivo ai fini dell’art. 612 bis, che in diversa occasione altra persona, già molestata, sia oggetto diretto di nuova molestia da parte dell'agente";

"Ineludibile l’implicazione che l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi di per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere";

"Se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionalmente destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza turbamento in entrambe".

La sentenza qui evidenziata costituisce un ulteriore passo in direzione della corretta ermeneutica della norma di cui al nuovo articolo 612 bis C.P. e dell'uniformità e correttezza della sua concreta applicazione ai casi concreti e, sebbene la sua estensione applicativa anche ai casi di parti offese plurime fosse già nella sistematica della norma, nonostante le sue gravi lacune ed imprecisioni di fondo, è sicuramente un fatto positivo che la Corte Suprema di Cassazione abbia fissato i principi di diritto che si evincono dalla sua pronuncia, in quanto costituiranno dei validi ed utili baluardi contro ogni utilitaristica intesa della norma di riferimento, che, è bene ricordarlo, prevede e punisce un delitto particolarmente vile ed odioso, sebbene sia una norma difettosa e mal fatta.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE


Composta dagli Ill. mi Sigg. ri Magistrati:

Dott. GIULIANA FERRUA                                                                             - Presidente -
Dott. ALFONSO AMATO                                                                               - Consigliere -
Dott. MARIO ROTELLA                                                                                 - Rel. Consigliere -
Dott. VITO SCALERA                                                                                     - Consigliere -
Dott. MAURIZIO FUMO                                                                                 - Consigliere -


 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1)                                                                                           N. IL

avverso la sentenza n. 1185/2010 CORTE APPELLO di TORINO, del 26/06/2010 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIO ROTELLA

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gioacchino Greco
che ha concluso per il rigetto

Udito, per la parte civile, l'Avv.

Udit i difensor Avv.

- ritenuto -

1 - Il Tribunale di Torino condannava in giudizio abbreviato                    ad a.2 di reclusione con l'attenuante di cui all'art. 89 CP equivalente ad aggravante e recidiva, e la diminuente di cui all'art. 442 CPP, per atti persecutori e violenza privata (A - B) commessi in libertà e consecutivi danneggiamento ed interruzione di ufficio nella Casa Circondariale (C - D), disponendone la misura di casa di cura e custodia per sei mesi.
Il Tribunale riteneva che l'imputato aveva offeso                  e le sue condomine,                    , anche tramite la figlia minore,                     e sua madre,                    , presso la quale si era dovuta trasferire, e                                , costretta a mutare le proprie abitudini.

La                          era stata minacciata di morte il 30.4.09 in una con il cappellano                  con punteruolo e martello, se non se ne fossero andati lei ed i condomini dall'edificio in cui abitavano. Inoltre l'1.5.09          aveva bloccato l'ascensore a danni di               commessi altri fatti intesi atti persecutori ai danni di donne coabitanti nell'edificio dal febbraio 09 sino al 23 aprile.

Con l'appello si chiedeva l'assoluzione dai reati suindicati, perchè talune condotte valutate dal Tribunale risalivano al 2007 e per esse vi era già stata condanna (giusta sentenza del 17.12.08), e perchè l'esame doveva limitarsi ai fatti successivi all'entrata in vigore dell'art. 612 bis CP (25.2.09, D.L. 11/09), sicchè si confinava ai soli episodi del 24 aprile e del 1° maggio 2009, che dovevano valutarsi separatamente per ciascuna persona offesa.
 
La Corte di Torino ha accolto l'appello relativamente ai fatti di minaccia ed ingiuria alla             , circa i quali l'offesa aveva rimesso la querela, escludendo perciò il delitto di cui all'art. 612 bis nei suoi confronti. Ed ha ritenuto la non punibilità a tale titolo delle condotte precedenti l'entrata in vigore della norma (chiusura in ascensore, per il distacco della corrente elettrica) quanto alla         seppure punibili ai sensi dell'art. 610 CP.

Ha però ritenuto che costituissero unico reato sub A di cui all'art. 612 bis le condotte dell'imputato offensive delle persone di sesso femminile abitanti nello stesso stabile. E, assorbito il reato sub B in quello sub A, ha eliminato l'aumento per continuazione.
 
Il ricorso deduce: erronea applicazione degli artt. 612 bis e 610 CP e vizio di motivazione circa la sussistenza dell'evento. Ripete quanto già sostenuto con l'appello circa il confinamento dei fatti costitutivi  di reato e la necessità di rapportare ciascuna condotta di stalking alla singola persona offesa.

Osserva che nel caso della              il primo episodio precede la norma incriminatrice, sicchè residua solo quello in danno di sua figlia (seguita per istrada). Nel caso della              i due episodi, di ingiuria e deterioramento della porta escludono si tratti di condotte reiterate.

Nel caso della         si tratta di due episodi di ingiuria ed uno di danneggiamento, non costitutivi di condotte violente o aggressive tali da rapportarsi alla fattispecie di cui all'art. 612 bis CP, mentre l'inseguimento della           è da considerarsi fortuito.

Sostiene poi errore nel non ritenere assorbiti i due fatti di cui all'art. 610 CP nella previsione alternativa di cui all'art. 612 bis, giusto il principio di specialità di S.U. 16/95, dunque l'esclusione della procedibilità laddove la querela non sia stata presentata. Afferma inoltre che i due reati di violenza privata vanno assorbiti nello stalking, trattandosi di contotte di intimidazione o moleste che, provenendo da psicolabile, non sarebbero idonee a limitare la libertà di autodeterminazione altrui, per assenza del connotato finalistico, se la condotta è rivolta a richieste generiche (andar via dallo stabile).  

2. Il ricorso è infondato.

La Corte di merito ha accolto l'appello, escludendo la continuazione per il delitto previsto dall'art. 612 bis CP, per remissione di querela della            Ha altresì escluso punibilità dei fatti in danno della         precedenti l'entrata in vigore della norma. E, ferma la violenza privata ai danni di ciascuna persona offesa, ha ritenuto i fatti successivi commessi nei confronti di             e            ,  perché vigente l'art. 612 bis CP.

Ma ha ritenuto riduttiva la lettura della norma nel senso che gli atti molesti debbano essere per forza rivolti ad una sola persona. E, poiché nella specie erano stati commessi ai danni di più persone di sesso femminile residenti nello stabile in alternativa, costituendo per ciascuna motivo d'ansia, ben sapendo di non avere scampo se si fossero incrociate con il prevenuto (pg. 9), concludeva che la condotta contestata al capo B andava sussunta nell'ipotesi di cui al capo A, avendosi riguardo ad unica condotta di violazione dell'art. 612 bis, ferma la continuazione del delitto con quello di violenza privata.

Ma se ogni condotta, pur rivolta ad una persona, ha cagionato l'evento ai danni di altre, perciò più persone offese, non s'intende la ragione di esclusione della continuazione.

Inoltre ferma tale la premessa, per quanto concerne la         , la Corte ha travisato che l'ultimo comma dell'art. 612 bis dispone che si proceda di ufficio se il fatto è connesso con altro delitto per cui si deve procedere d'ufficio. Pertanto la contestata e ritenuta violenza privata ritenuta connessa impediva di prender conto della remissione di querela.

A fronte il ricorso pone in unico contesto questioni diverse, ripete la frammentazione dei fatti ed offre diversa limitata lettura del dettato normativo implicando rilettura della norma.

2.1. L'art. 612 bis CP, introdotto dal D.L. 11/09, punisce a titolo di "atti persecutori” chi con condotte reiterate minacci o molesti taluno, in modo da cagionare un suo perdurante stato dì paura o di ansia o un suo fondato timore di pericolo per l'incolumità propria o di persone prossime o la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.
 

Il fatto può essere costituito anche da due sole "condotte", come ha ritenuto ineccepibilmente (con rif. a Cass., Sez. 5, n. 6417/20120, rv. 245881) la Corte di merito.
 

Tanto premesso è indiscusso che la legge si applichi solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore. Ma all'evidenza la preclusione concerne l'evento da cui dipende l'esistenza del reato. Perciò anzitutto il Giudice di appello si sarebbe dovuto domandare se la reiterazione di atti minatori e molesti, nei confronti di persona già offesa da atti dello stesso genere, attuata dopo l'entrata in vigore della norma integrasse gli estremi del reato.
 

Il mancato rilievo ha avuto in concreto incidenza non per escludere il reato, bensì la continuazione, perché la Corte di merito ha unificato la posizione degli offesi, offrendo la lettura suindicata della norma, travisando come si è visto che gli offesi sono più d'uno.

Va quindi osservato che la locuzione condotte reiterate vuoi dire che si è in presenza di reato complesso, la cui "condotta criminosa", cioè l'azione od omissione di cui è conseguenza l'evento da cui dipende l'esistenza del reato (art. 40 CP) è, nel caso di specie, integrata da atti per sé costitutivi di condotte di minaccia o molestia. Pertanto il carattere decisivo della condotta criminosa consiste nella "ripetizione" di "atti" qualificati "persecutori", in quanto il loro insieme cagiona l'evento ulteriore assorbente del reato sopra indicato.

Il meno grave degli atti previsti integra contravvenzione di "molestia o disturbo alle persone". Ma si tratta di reato di sbarramento (art. 660 CP), assorbibile ad esempio anche dall'ingiuria, perciò letteralmente dalla progressiva minaccia di male ingiusto (612).

Già il rilievo della funzione di sbarramento della molestia consente d'intendere che la lettera "minaccia o molesta taluno" non implica che ogni atto costitutivo della condotta criminosa dell'art. 612 bis debba avere ad oggetto la stessa persona. Difatti, la minaccia rivolta ad una persona può coinvolgerne altre o comunque costituirne molestia. Si pensi al caso di colui che minacci d'abitudine qualsiasi persona attenda ogni mattino nel luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi ai lavoro. La minaccia in tal caso assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle altre persone presenti. Perciò può essere decisivo ai fini dell’art. 612 bis, che in diversa occasione altra persona, già molestata, sia oggetto diretto di nuova molestia da parte dell'agente.

È dunque ineludibile l'implicazione che l'offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi per se ogni altra che faccia parte dello stesso genere. E se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all'evidenza il turbamento di entrambe.

Nella specie la molestia ed ancor più la minaccia, viepiù se accentuata da costrizione, è dimostrata rivolta occasionalmente per la stessa ragione a ciascuna delle persone offese, come ritenuto, al di là del rapporto di famiglia previsto dalla norma (il ricorso, peraltro non contesta la comunicazione motiva tra madre e figlia, rilevato per due volte).

Perciò il Giudice di appello ha anzitutto dato corretto rilievo, già sul piano probatorio, ancorché non costitutivo di reato, alla direzione collettiva; indiscriminata della minaccia occasionalmente rivolta alla          , che si era fatta accompagnare dal sacerdote per dissuaderlo dal reiterare fatti già commessi anche nei confronti di altre persone abitanti nello stesso edificio. Quindi ha incensurabilmente ritenuto che le singole condotte, in quanto ripetute nei confronti di donne di qualsiasi età conviventi nell'edificio (v. il ripetuto arresto dell'ascensore dello stabile, dopo che l'una o l'altra vi si era immessa per sfuggire allo stesso autore dei fatti, ben più del seguirne ostentatamente taluna) le coinvolgesse tutte.

2.2. Risulta inoltre anche manifestamente infondato l'argomento di genericità e perciò inoffensività di qualsiasi minaccia presa in esame nelle sentenze, men che le implicazioni che il ricorso vuol trarre da comportamenti dimostrati di inequivoca valenza. Basti riflettere, si ripete in senso inverso, che lo stesso evento di molestia poi ripetuto è un male ingiusto e che la correttezza della motivazione non è inficiata dalla provenienza della minaccia da persona che manifesti comportamento maniacale. Proprio la relativa consapevolezza può accrescere il turbamento di coloro che si attendono da tale persona un ingiusto male.

È il senso evidente delle sentenze, al di là dalla ratio di previsione della misura di sicurezza nella specie applicata. L'insistere in merito in questa sede, ben più che non essere consentito, travisa l'elemento soggettivo del reato per la capacità dell'imputato.

2.3. Finalmente se la norma incriminatrice di cui all'art. 612 bis è speciale rispetto a quelle che prevedono reati di minaccia o molestia, non lo è rispetto all'art. 610 CP.

La violenza privata anzitutto può essere commessa con atti per sé violenti ed è poi soprattutto finalizzata a costringere la persona offesa a fare, non fare, tollerare o omettere qualche cosa, cioè ad obbligarla ad uno specifico comportamento.

La previsione dell'art. 610 CP perciò non genera solo il turbamento emotivo occasionale dell'offeso per il riferimento ad un male futuro, ma esclude la sua stessa volontà in atto di determinarsi nella propria attività, d'onde il quid pluris di cui all’art. 610 CP.

In questa luce risulta in conclusione incensurabile la sentenza sia nell'aver ravvisato il concorso di reati, sia nel ritenere taluni atti turbativi di persone diverse, oltre il soggetto coinvolto dalla singola condotta, sia nel motivare la responsabilità per i fatti ritenuti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del procedimento.

Roma 7.4.2011.

Il Consigliere estensore                                                                                                        Il Presidente

(Resa pubblica il  25 maggio 2011)
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