Avvocato penalista - Non è reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) - nel caso, nei confronti di un politico - l'offesa diretta verso la sua incapacità od inettitudine rispetto alla funzione od al ruolo che ricopre.
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Lo ha stabilito una recente - e condivisibile - sentenza della nostra Corte Suprema di Cassazione.
Ed è una statuizione corretta e conforme ai principi basilari del diritto penale italiano.
L'Art. 595 del nostro Codice Penale, intitolato alla Diffamazione, infatti stabilisce che:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (ossia nell'Art. 594 del codice penale, che prevede il reato di Ingiuria ovvero il reato commesso da chi offende la reputazione di una persona presente al momento della sua offesa) comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
E' evidente che la norma di cui all'articolo 595 del Codice Penale, esaminata dalla nostra Suprema Corte di Cassazione nel caso specifico, richiede - tra i suoi elementi costitutivi - che l'offesa sia diretta all'altrui reputazione, intesa nel senso di offesa al suo onore e/o al suo decoro (come ha precisato più volte la stessa Corte di Cassazione); e, dunque, un'offesa che non intacca né l'onore, né il decoro del soggetto passivo del reato, non può costituire diffamazione.
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Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (ossia nell'Art. 594 del codice penale, che prevede il reato di Ingiuria ovvero il reato commesso da chi offende la reputazione di una persona presente al momento della sua offesa) comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
E' evidente che la norma di cui all'articolo 595 del Codice Penale, esaminata dalla nostra Suprema Corte di Cassazione nel caso specifico, richiede - tra i suoi elementi costitutivi - che l'offesa sia diretta all'altrui reputazione, intesa nel senso di offesa al suo onore e/o al suo decoro (come ha precisato più volte la stessa Corte di Cassazione); e, dunque, un'offesa che non intacca né l'onore, né il decoro del soggetto passivo del reato, non può costituire diffamazione.
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""" Offendere un politico non (sempre) è reato.
Chi offende un politico non commette diffamazione se le espressioni si riferiscono non alla dignità personale, ma alla incapacità professionale dell’uomo.
È tempo di elezioni. Le promesse dei politici si sprecano; la corsa alle poltrone a volte premia chi “la spara” più grossa degli altri. Ma, dopo le votazioni, i vincitori dimenticano i proclami e le promesse vengono puntualmente disattese. Alzi la mano chi non ha mai avuto voglia di muovere una critica severa e furente nei confronti di chi amministra la cosa pubblica. Beh, …in realtà pare si possa fare molto più di questo!
Si perché, secondo la Cassazione, apostrofare un politico come “dilettante allo sbaraglio, turista della politica, giocoliere della politica” non è un’offesa.
La Suprema Corte, in una recente sentenza [1], ha infatti precisato che tali espressioni, seppur sferzanti, sono del tutto lecite poiché non rappresentano un attacco alla dignità personale, ma mettono in discussione la professionalità nell’esercizio di un ruolo politico.
Per questi motivi, la Cassazione ha assolto un sindaco e un consigliere provinciale dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa, derivante da alcune pungenti critiche sull’operato di un consigliere regionale.
Secondo la Cassazione, infatti, le parole utilizzate non rappresentano un attacco alla sfera morale, ma rientrano nella critica politica, cui un amministratore della cosa pubblica è legittimamente sottoposto.
Fonte La legge per tutti.it
http://www.laleggepertutti.it/24506_offendere-un-politico-non-sempre-e-reato
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