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venerdì 20 febbraio 2015

Avvocato penalista - Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.

Avvocato penalista -  Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.
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Avvocato penalista -  Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.
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"" Cassazione, niente carcere duro per i boss gravemente malati
 
Cassazione, niente carcere duro per i boss gravemente malati
 
Suprema Corte di Cassazione Prima Sezione Penale
Sentenza n. 43890/13
 
No al «carcere duro» per i boss affetti da gravissime malattie è questo ciò che emerge dalla decisione della Cassazione che ha affrontato il tema in occasione del ricorso presentato da un 81enne, detenuto nel carcere di Novara e ritenuto essere un boss di ‘ndrangheta.
 
L’uomo, “per gravi motivi di salute” aveva chiesto di modificare la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari ma il tribunale della libertà di Reggio Calabria incaricato di decidere la richiesta, lo scorso 20 marzo, negava la suddetta modifica poiché, a parere dei giudici calabresi, le patologie di cui era affetto, sebbene fossero gravi, potevano comunque essere curate in carcere.
 
Questa decisione ha portato la vicenda dentro le aule di Piazza Cavour dove gli ermellini hanno affermato il principio per cui “il diritto alla salute del detenuto è prevalente anche sulle esigenze di sicurezza”.
 
Secondo i giudici del Palazzaccio «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità» e ciò vale anche quando riguarda esponenti di spicco della criminalità.
 
Per il supremo collegio il ricorrente presenta «un quadro patologico serio caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche» che lo hanno portato anche alla depressione.
 
Accogliendo il ricorso la Cassazione ha ricordato che il nostro «ordinamento penitenziario» prevede che le pene non possano «consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che devono tendere alla rieducazione del condannato», attenendosi sempre al principio che «quello alla salute è diritto fondamentale dell’individuo» e, inoltre, «è nel rispetto di un siffatto quadro normativo che il legislatore, pur nel contesto nazionale di fenomeni diffusi e radicati di criminalità organizzata di estremo allarme socio-economico, fenomeni sconosciuti ai maggiori Paesi occidentali, ha articolato una disciplina della carcerazione preventiva attraverso la quale equilibrare le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione».
 
La Cassazione evidenzia poi che «è fatto divieto di disporre o mantenere la medesima custodia carceraria in costanza di persona affetta da malattia particolarmente grave tale da rendere le sue condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo ovvero non adeguatamente curabili» e, inoltre fa presente che il ricorrente è «persona ultra 80enne affetto da un complesso patologico di sicuro rilievo, di forte incidenza individuale, sicuramente debilitante di essenziali funzioni vitali: l’apparato cardiovascolare, quello articolare deputato alla deambulazione, quella neurologica incidente direttamente sulla percepibilità della funzione emendativa della pena e quella, infine, psicologica, essenziale per la condizione stessa della vivibilità quotidiana».
 
La Cassazione critica l’operato del TDL reggino poiché «nonostante siffatte oggettive premesse ha limitato la sua pur meticolosa disamina alla sola circostanza della compatibilità della detenzione carceraria interinale con lo stato di salute, per poi pervenire, all’esito di un faticosissimo iter procedimentale scandito da perizie e consulenze, ad un giudizio di compatibilità ad avviso del collegio soltanto parziale e non esaustivo».
 
Sulla base di queste considerazioni, Piazza Cavour ha concluso disponendo un nuovo esame davanti al Tribunale della libertà di Reggio Calabria visto che «appare sottovalutato il dato essenziale dell’età del detenuto, ultra ottuagenario, e del pari sottovalutata appare la diagnosticata depressione, l’una e l’altra, nel quadro patologico accertato, complesso e grave, direttamente incidenti sulla normale tollerabilità dello stato detentivo e verosimilmente cagione di una sofferenza aggiuntiva intollerabile per il nostro sistema costituzionale» ricordando al giudice del successivo grado di giudizio che «la valutazione di compatibilità detentiva deve essere particolarmente rigorosa quanto alla sussistenza di una situazione di pericolosità e quanto alla sofferenza ulteriore che in un anziano può provocare lo stato di detenzione». ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista -  Il carcere duro, previsto dall'Art. 41 bis dell'Ordinamento Penitenziario, non può applicarsi ai "boss" anziani o gravemente malati.
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