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L'avvocato penalista, la difesa penale ed il rapporto col difeso e con l'oggetto della difesa.
Avvocato Penalista. |
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L'idea di scrivere qualcosa su questi specifici temi mi è venuta a seguito delle tante letture che mi è capitato di farne in più parti (riviste, manuali, siti web, siti giuridici, ecc.), in cui vari autori, spesso anche qualificati od autorevoli, si sono spesi non poco in direzione di una trattazione e di una collocazione di questa peculiare e non trascurabile materia della professione forense che, a mio avviso, è mista di tecnica difensiva e di etica.
Ognuno degli autori che si sono occupati di queste tematiche - invero, molto o del tutto trascurate da chi ci ha preceduto - ne ha visto ed analizzato uno od alcuni aspetti, ma nessuno le ha viste nella loro interezza.
Di qui l'esigenza irrinunciabile di comprenderle, ri-vederle, studiarle e cercare di contribuire, così, ad una loro diversa e migliore intesa o collocazione ideale.
A partire dai paragoni più superficiali o salottieri fattine, secondo cui - tra i tanti, per esempio - l'avvocato sarebbe un pò come il jukebox, in cui basta inserire la moneta e si può ascoltare la canzone o la musica che più ci piace, oppure come un'autovettura da noleggio, che viene chiamata quando se ne ha necessità, si paga la tariffa e, solo per ciò, si acquisisce il diritto di essere portati dove si vuole; per arrivare ai concetti più elevati, quali la necessità che la deontologia (intesa come scienza) non deve limitarsi solo ad enunciare una serie di doveri da osservare nell'esercizio delle professione, ma deve anche spiegare le ragioni ultime della loro imposizione e della loro necessità; od i vari criteri proposti per la determinazione di una o più regole morali; od alla particolare situazione esistenziale dell'avvocato ed alle varie idee proposte per la soluzione dei suoi conflitti esistenziali; od alla deontologia intesa anche come profilassi contro la malattia professionale di cui l'avvocato rischierebbe stabilmente il contagio e che si chiama cinismo; od all'esigenza di evitare in ogni modo di essere contagiati da questa grave malattia professionale, al di là della profillassi, col ricorso ad un sano senso dell'umorismo; od al quesito circa cosa sia in effetti la giustizia, di cui anche l'avvocato è servo, sebbene non sia servo pure del diritto positivo; od all'idea dell'avvocato inteso come vir legibus solutus; od all'avvocato inteso come creatore di un proprio ordinamento; od all'avvocato come mediatore tra il cittadino e l'ordinamento giuridico; od alla necessità che l'avvocato non debba essere anche giudice del suo difeso; od alla necessità del superamento dei condizionamenti sociali; od alle potenzialità analogiche della avvocatura od, infine, all'eterno dilemma circa il se sia superiore l'avvocato od il giudice.
Evidente come tutti gli sforzi od i tentativi di spiegare e configurare in una certa qual misura accettabile la funzione ed il ruolo dell'avvocato, la loro essenzialità e la loro insostituibilità nell'ambito del nostro sistema giustizia, si riferiscano ad / od involgano aspetti diversi della medesima condizione professionale che è unica e poliedrica al tempo stesso e riflettono moltissimo le concezioni e le idee - spesso errate o parziali - che hanno prevalso nei decenni precedenti nella dottrina, a partire dal primo codice penale italiano e fino ai giorni nostri, nei quali, allora ed ancora oggi l'imputato - e solo l'imputato - sembra che sia il centro dell'universo giustizia, attorno a cui dovrebbero ruotare tutti gli altri pianeti, anche quelli degli addetti ai lavori ossia i giudici e gli avvocati.
Le altre parti processuali (vittime del reato, parti offese, responsabili civili, civilmente obbligati, ecc.), allora come ora, sono state e rimangono relegate sempre ad un ruolo secondario ed, a volte, marginale nel processo, sebbene ammessevi.
Evidente che, in un siffatto contesto concettuale od ideale del processo e della giustizia penale, accettato in modo acritico, supino o passivo, la figura professionale che più assume rilievo è quella del difensore del reus, ossia di colui che ha commesso il reato, a scapito di tutti gli altri soggetti del processo, spesso più rilevanti, e la figura che primeggia, anche rispetto ai difensori delle altre parti, è quella del difensore dell'imputato, sia per il ruolo "ingiustamente" assegnatole dall'ordinamento giuridico, sia per l'immaginario collettivo o del pubblico.
Da questa condizione di fatto e dalla coscienza del ruolo primario della figura dell'avvocato penalista, inteso dai più pressocchè esclusivamente come il difensore dell'imputato, nasce l'esigenza di cercare di dare la spiegazione di qualche aspetto intimamente connesso a quella particolare figura defensionale, quale - per esempio - la scelta di difendere determinati casi giudiziari poco od affatto difendibili, che, nella migliore delle ipotesi, creano non poco imbarazzo, se non motivata disapprovazione ed enorme disappunto nell'opinione pubblica, atteso che certe azioni denotano non solo e non tanto la "capacità criminale" di colui che le ha poste in essere, quanto e di più la sua più assoluta carenza di valori morali, per il fatto che certi fatti, di cui quelle azioni sono la concretazione, ripugnano alla coscienza di chiunque, anche dei criminali più incalliti, tanto sono orridi e tali da essere rifiutati a priori, senza neppure saperne i motivi, prima di essere previsti e puniti dal codice penale.
Ed indico ad esempio - poichè credo che gli esempi spieghino meglio di ogni discorso il senso di ciò che vorrei partecipare a chi mi legge - tre notissimi casi (tra i tanti, purtroppo) verificatisi nel nostro Paese e che comprovano, senza alcuna riserva e senza ombra di dubbio, la fondatezza degli argomenti che sostengono il mio modesto pensiero su questo punto:
1. Il caso di Brescia.
Un uomo di mezza età viene fermato ed arrestato dalle forze dell'ordine poichè responsabile di avere indotto ed obbligato la madre sessantenne, con violenze, minacce e percosse, a prostituirsi, al fine di percepire gli utili del meretricio materno, che a lui servivano per acquistare, pagare e procurarsi la droga di cui non poteva fare a meno; è rimasto in carcere solo la prima notte, perchè il giorno seguente al suo arresto è stato trovato morto in cella e sul suo omicidio pare che sia ancora in corso il processo penale a carico dei sospettati ... ;
2. Il caso di Napoli.
Un commando camorristico, avendo ricevuto l'ordine dal proprio capo di attentare alla vita del capo del clan dei Giuliano di Forcella, ritenuto ostico e rivale ai programmi del proprio clan di appartenenza, nel mettere in atto la propria azione criminale non ha badato a spese - ed a vite umane - e, sparando come gli è capitato o, come si dice, all'impazzata, ha ucciso una bambina, poco più che dodicenne, la cui unica colpa è stata quella di trovarsi in strada, a giocare coi suoi coetanei, mentre le belve umane avevano iniziato a mettere in atto ed a portare a compimento la loro azione di morte. Dopo pochissimi giorni, una telefonata anonima ha comunicato alla Questura centrale di Napoli che in un casolare di campagna, nella località tal dei tali della provincia di Frosinone, c'erano 3 o 4 persone che avevano bisogno di aiuto, poichè gravemente ferite.
Ivi giunti gli agenti delle forze dell'ordine non avevano che da constatare la presenza di 3 o 4 cadaveri ... ;
3. Il caso di Palagianello (TA).
Una anziana signora, che viveva sola in casa, si era appena ritirata dall'ufficio postale, dove le era stato da poco pagato il rateo mensile della sua povera pensione di vecchiaia (circa Lire Ottocentomila, al tempo dei fatti), e si accingeva a prepararsi qualcosa da mangiare, visto che si approssimava l'ora del pranzo.
Una persona entra in casa e le chiede di consegnarle i soldi della pensione, che aveva prelevato poco prima all'ufficio postale, ed, al suo netto rifiuto, la aggredisce, colpendola ripetutamente alla testa, fino ad ucciderla. Prima di congedarsi, ovviamente, ha avuto cura di cercare, trovare, prendere e portare via con sè il denaro.
Tre casi giudiziari (gravissimi ed eclatanti), di cui due di competenza della Corte d'Assise e uno del Tribunale.
Chiedo ai sostenitori di certe teorie se mi indicano un solo argomento - uno solo - che potrei sostenere con fondatezza, serietà ed onore, in difesa degli imputati, nel caso, più ipotetico che reale, in cui dovessi essere officiato od accettare la difesa di chi è capace di commettere azioni criminali come quelle che qui sopra ho indicato, spendendolo bene e con dignità, poichè io personalmente, nonostante la mia notoria buona volontà e la mia esperienza, da me, non sono riuscito a trovarne uno, sebbene mi ci sia impegnato, profuso e scervellato parecchio ...
Fatte queste debite ed essenziali premesse, passo all'argomento che più mi preme affrontare in questa sede, in quanto credo che sia quello da cui dovremmo sempre partire - come in una chiave musicale - affinchè tutti gli altri vengano correttamente attesi ed intesi, nonchè ben configurati e "tornino a musica" - come in una bella e buona sinfonia - riservandomi di trattare di ognuno di essi in analoga e successiva sede.
Esso viene presentato dai vari autori che se ne sono occupati, a volte come un'imprescindibile aspirazione, altre volte come un categorico imperativo, altre ancora come un saggio monito od un paterno consiglio, nelle seguenti duplici ed opposte vesti:
" L'avvocato non deve mai essere il giudice del proprio cliente! "
e
" L'avvocato deve sempre essere il giudice del proprio cliente! ".
Personalmente, ho sempre preferito i termini assistito o difeso, a quello di cliente, che credo si addica più ad altri ambiti della società - per esempio, ai mercati ... - che non alla nostra professione, che è ben altro.
Ma, a prescindere dalle mie preferenze, credo che il tema, se così proposto, è indubbiamente mal posto, poichè non si tratta di essere giudici di nessuno e, dunque, neppure dei propri "clienti", in considerazione del fatto che la facoltà di giudicare gli uomini non è data a nessuno su questa terra, nemmeno ai giudici, che, per loro funzione, devono giudicare e decidere, perchè, come è noto, i giudici, quando emettono una sentenza, non giudicano un uomo, ma o una ragione, o un diritto, o un'azione o un fatto di un uomo, richiesti di essere tutelati o da lui commessi, e mai l'uomo.
Non si comprende perchè gli avvocati dovrebbero arrogarsi un diritto che non è consentito a nessuno.
Agli avvocati, piuttosto, è dato un altro tipo di diritti o, se si preferisce, di facoltà - peraltro, dati a chiunque - ossia il diritto o la facoltà di ascoltare le ragioni del proprio difeso, di comprenderle, di valutarle e di muoversi ad agire in un senso, in un altro senso od in nessun senso, a seconda di ciò che ne hanno concluso o desunto, in punto di fondatezza, di logica e, non da meno, di corrispondenza di esse ai canoni della difesa secondo verità, onestà e giustizia.
La professione sicuramente è importante e, se e quando è svolta nell'unica maniera in cui vale la pena di svolgerla, ossia come Dio comanda, e di portare sulle proprie povere spalle il peso di "quel cencio nero", che si chiama toga, insieme all'immenso onore di indossarla, quella dell'avvocato è senza meno la professione più bella, più gratificante e più elevata del mondo, poichè s'incarica di alleviare le pene di chi pena senza essere la causa del proprio penare o senza avere colpa alcuna per il suo patimento.
Ma, prima della professione, viene l'uomo che professa - e questo, si badi, vale per tutte le professioni e per ogni mestiere - coi suoi valori, personali e di vita, con le sue idee, con la sua cultura, col suo essere e con la sua esperienza, il quale porta in sè e mette anche nella professione o nel mestiere che svolge tutto il proprio bagaglio etico, personale ed umano, oltre che culturale, formativo e di esperienza, la quale ultima consiste, come si sa, nella sommatoria dei suoi errori o dei suoi successi o degli uni e degli altri insieme.
Per queste ragioni, è sempre l'uomo a fare buona o non buona la professione e mai quest'ultima a fare l'uomo.
Le ragioni di coloro che ci hanno ammonito circa o consigliato ed insegnato la necessità, che, a loro avviso, sarebbe imprescindibile, quasi quanto un dovere etico, secondo la quale
" L'avvocato non deve mai essere il giudice del proprio cliente! ",
nonchè le ragioni opposte di chi ci ha ammonito, consigliato ed insegnato il principio contrario ossia che
" L'avvocato deve sempre essere il giudice del proprio cliente! ".
e la disamina dei vari argomenti portati a sostegno dell'una o dell'altra tesi dai rispettivi sostenitori saranno analizzate nel contesto di un prossimo scritto dedicato a questi temi.
Prima di proseguire nel discorso, non possiamo esimerci dal considerare un dato fattuale od empirico, quasi una costante fisiologica dell'azione legale, direi, ossia che una controversia od una vicenda legale, prima di arrivare sul tavolo di un giudice - inteso nel senso dell'ufficio giudiziario che, per legge, sarà chiamato e tenuto a deciderne le sorti processuali - necessariamente devono transitare ed essere vagliate o da un ufficio di polizia giudiziaria (per i casi di natura penale) o dallo studio di un avvocato (per ogni tipo di controversia legale) - si prescinde qui dai casi di segnalazioni o di istanze anonime di giustizia, poichè involgono aspetti marginali e speciali rispetto alle ordinarie regole del sistema -.
E, molto spesso, soprattutto quando i contendenti - e, non da meno, i loro avvocati - sono persone di buon senso, certe controversie o certe vicende legali sul tavolo del giudice non ci arriveranno mai, poichè anche nel diritto, come in medicina, se una patologia si può sanare serenamente con una buona cura (nel diritto, le buone cure si chiamano buoni consigli), perchè consigliare alle parti la necessità di eseguire un intervento chirurgico (nel diritto, gli interventi chirurgici si chiamano cause)?
Peraltro, le cause si connotano allegoricamente per essere come sarebbe un intervento chirurgico da eseguire a quattro mani, presso una struttura pubblica che si conosce, ma si ignora chi sarà il medico-chirurgo che verrà designato ad operare in coppia col medico-chirurgo che ha promosso l'intervento (la causa), fin tanto che non si arriva nella sala operatoria, nel giorno ed all'ora stabilita per l'inizio dell'operazione chirurgica e non si può stabilire, dunque, se le quattro mani saranno sintonizzate ed andranno d'accordo nella conduzione o se, per qualunque ragione - per l'analisi e l'approfondimento delle quali basterà consultare un ordinario manuale di Psicologia Giudiziaria - andranno a due a due per conto loro, nella consapevolezza, in capo a due di esse, del fatto di non dover mai rendere conto a nessuno, nè essere chiamate a rispondere od a pagare per ciò che fanno o per i danni che arrecano.
La preoccupazione non è peregrina, ma fondata, visto ciò che accade ogni giorno nei Palazzi di Giustizia e gli strafalcioni che ci è dato leggere in certe sentenze.
E, se la legge conferisce già agli ufficiali e sottoufficiali di p.g. il potere-dovere di verificare bene le istanze di giustizia che vengono presentate presso i loro uffici e, dunque, di conoscerne e valutarne i contenuti, prima di tasmetterle agli uffici di procura, quanto più questo stesso potere-dovere deve intendersi conferito quasi in maniera naturale agli avvocati, poichè intrinseco alla ed intimamente connesso con la loro funzione, atteso che, oltre al dovere generale di fare bene e scrupolosamente il proprio lavoro, come hanno giurato quando gli è stata posta per la prima volta la toga sulle spalle, gli avvocati impegnano anche la loro immagine e la loro credibilità, sia professionale, sia - e non da meno - umana, in ogni atto che svolgono ed in ogni azione che compiono.
Agli avvocati si impone un duplice ordine di doveri, l'uno di natura giuridica, l'altro di natura etica, e di entrambi essi dovranno tenere conto in tutto ciò che faranno.
E, se così è, come indubitabile pare che sia, dipenderà sempre e soltanto dall'uomo che è dentro l'avvocato - e che viene prima di quest'ultimo - stabilire e decidere come meglio regolarsi, quando si trova davanti ad un proprio aspirante "cliente" (come usano definirlo altri) o ad un aspirante "assistito - difeso" (come uso definirlo io), circa il se od il se non accettare la difesa di certe cause o di talune ragioni, quando si tratta di dover perorare gli interessi defensionali di chi ha riferito di aver commesso, per esempio, delitti come:
La calunnia;
La falsa testimonianza;
La pedofilia e/o la pedopornografia;
L'induzione alla prostituzione e/od il favoreggiamento e/o lo sfruttamento della prostituzione;
Lo spaccio e/od il traffico di sostanze stupefacenti;
L'usura;
La violenza fisica sulle donne e/o sui bambini;
La violenza sessuale sulle donne o sui bambini.
Perchè, di fronte a certe azioni od a certi fatti, tutti assolutamente ingiustificabili ed indignanti, si tratta di essere uomini veri, prima ancora che avvocati o bravi avvocati, al di là del se o del se non abbiano ragione coloro che sostengono che non bisogna essere giudici del proprio "cliente" e del se o del se non abbiano ragione coloro che sostengono, invece, che bisogna essere giudici del proprio "cliente"; e certe azioni o certi fatti suscitano semplicemente ripugnanza.
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