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Da alcune notizie di cronaca gli spunti per una seria riflessione.
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Da alcune recenti notizie di cronaca, apparse su diversi mezzi di comunicazione, sia tradizionali che multimediali e/od internautici, si è appurato di un nuovo fenomeno criminale, che ha interessato più località distinte (Frosinone, una o più località della Puglia, una o più località della Campania, Cosenza, ecc.), di cui si stanno occupando le Procure della Repubblica rispettivamente competenti per territorio e nel quale, secondo le notizie datene, sarebbero coinvolti anche alcuni insospettabili professionisti, che avrebbero partecipato a vario titolo e responsabilità, alla ideazione, alla organizzazione, alla partecipazione o, più semplicemente, alla collaborazione, al fiancheggiamento od al favoreggiamento delle azioni delittuose.
I reati ipotizzati a carico degli indagati, sempre secondo le notizie dei vari giornali, che, nel darle, si sono riferiti alle ordinanze di custodia cautelare notificate agli interessati (dando ad intendere così che le abbiano quanto meno visionate), sono quello di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e/o alla truffa, la truffa, la falsità in atti, l’uso di atto falso ed, in uno o due dei diversi casi assurti agli onori della cronaca, anche l’evasione fiscale. Gli interessati avrebbero ideato, inoltre, un perfetto sistema di reperimento di falsi testimoni.
Secondo l’accusa gli interessati e gli insospettabili professionisti (avvocati, medici, medici legali, periti, ecc.) avrebbero dato vita e/o partecipato ad una associazione a delinquere che organizzava falsi incidenti stradali finalizzati a truffare le compagnie assicurative. Gli avvocati, in particolare, si sarebbero occupati di creare prove e testimonianze false per far ottenere ai loro difesi i risarcimenti da loro pretesi per i finti incidenti stradali; mentre i medici od i medici legali si sarebbero (o sarebbero stati) incaricati di “gonfiare” gli indici dei postumi invalidanti delle patologie o dei danni alle persone presunte danneggiate, variamente e presuntamente, appunto, conseguiti al verificarsi dei falsi sinistri stradali, in cui gli interessati avrebbero riportato lesioni di diversa natura e tipologia.
Secondo quanto riferito dagli inquirenti (per come testualmente riportato dai giornali), nel corso degli arresti e delle contestuali operazioni di perquisizione, che in questi casi usualmente vengono fatte dalle forze dell’ordine incaricate di eseguire l’ordine di custodia cautelare disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari territorialmente competente, sono state trovate nelle disponibilità di alcuni degli indagati, tra l’altro, anche ingentissime somme di denaro in contanti.
Le truffe assicurative perpetrate nelle varie località italiane interessate da queste inchieste, non sono ben viste, né dalle compagnie assicuratrici, né dai cittadini, né dalle Procure della Repubblica, poichè al di là del danno diretto verso le compagnie, c’è anche quello indiretto verso gli automobilisti, che sono poi costretti a pagare le polizze con aumenti fino al 10%.
Questi i fatti di cronaca da cui ha tratto spunto la riflessione che segue e che si partecipa a chi legge, secondo la visione dell’avvocato penalista. Vediamo di riassumere brevemente quali sono i compiti o le funzioni del Pubblico Ministero e dell’ufficio a cui appartiene, la Procura della Repubblica.
L’ufficio della Procura della Repubblica svolge una serie di attività molto diverse tra loro e sinteticamente descritte dall’art.73 dell’ordinamento giudiziario, che è il testo di legge che disciplina in generale l’organizzazione della magistratura e ne descrive le differenti funzioni.
Secondo l’accusa gli interessati e gli insospettabili professionisti (avvocati, medici, medici legali, periti, ecc.) avrebbero dato vita e/o partecipato ad una associazione a delinquere che organizzava falsi incidenti stradali finalizzati a truffare le compagnie assicurative. Gli avvocati, in particolare, si sarebbero occupati di creare prove e testimonianze false per far ottenere ai loro difesi i risarcimenti da loro pretesi per i finti incidenti stradali; mentre i medici od i medici legali si sarebbero (o sarebbero stati) incaricati di “gonfiare” gli indici dei postumi invalidanti delle patologie o dei danni alle persone presunte danneggiate, variamente e presuntamente, appunto, conseguiti al verificarsi dei falsi sinistri stradali, in cui gli interessati avrebbero riportato lesioni di diversa natura e tipologia.
Secondo quanto riferito dagli inquirenti (per come testualmente riportato dai giornali), nel corso degli arresti e delle contestuali operazioni di perquisizione, che in questi casi usualmente vengono fatte dalle forze dell’ordine incaricate di eseguire l’ordine di custodia cautelare disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari territorialmente competente, sono state trovate nelle disponibilità di alcuni degli indagati, tra l’altro, anche ingentissime somme di denaro in contanti.
Le truffe assicurative perpetrate nelle varie località italiane interessate da queste inchieste, non sono ben viste, né dalle compagnie assicuratrici, né dai cittadini, né dalle Procure della Repubblica, poichè al di là del danno diretto verso le compagnie, c’è anche quello indiretto verso gli automobilisti, che sono poi costretti a pagare le polizze con aumenti fino al 10%.
Questi i fatti di cronaca da cui ha tratto spunto la riflessione che segue e che si partecipa a chi legge, secondo la visione dell’avvocato penalista. Vediamo di riassumere brevemente quali sono i compiti o le funzioni del Pubblico Ministero e dell’ufficio a cui appartiene, la Procura della Repubblica.
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L’ufficio della Procura della Repubblica svolge una serie di attività molto diverse tra loro e sinteticamente descritte dall’art.73 dell’ordinamento giudiziario, che è il testo di legge che disciplina in generale l’organizzazione della magistratura e ne descrive le differenti funzioni.
Trattando del pubblico ministero, cioè dei magistrati che, nel loro complesso, compongono la procura della Repubblica (così come i singoli giudici formano il tribunale, la corte d’appello, ecc.), la norma citata affida al p.m. i seguenti compiti:
1)– La sorveglianza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia;
2)– La tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci;
3)– La repressione dei reati;
4)– L’esecuzione dei giudicati.
L’art.73 dell’ordinamento giudiziario recita testualmente:
“” Il pubblico ministero veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci,
richiedendo, nei casi di urgenza, i provvedimenti cautelari che ritiene necessari; promuove la repressione dei reati e l’applicazione delle misure di sicurezza; fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge.”"
Dunque, tra i primi doveri di un pubblico ministero troviamo la “veglia alla osservanza delle leggi” e la veglia “alla pronta e regolare amministrazione della giustizia”.
Il suo dovere di promuovere “la repressione dei reati”, quindi, viene dopo quelli della veglia “alla osservanza delle leggi” e della “pronta e regolare amministrazione della giustizia”.
Il dovere di promuovere la repressione dei reati, a sua volta, si concreta, tra l’altro, nel dovere di esercizio dell’azione penale, che è costituzionalmente previsto dall’art. 112 della Cost.
L’azione penale, infine, si svolge nelle forme per essa prevista dalle disposizioni del codice di procedura penale, le quali stabiliscono se e quando procedere, come procedere e nei confronti di chi procedere, quali atti di indagine e quali non sono validi ai fini di un corretto procedimento penale e come si può o si deve formulare un’imputazione all’esito di essi.
Se ne deve concludere che il p.m., quando svolge un’azione penale è soggetto a più doveri istituzionali su di lui gravanti nel medesimo momento: vegliare all’osservanza della legge (nel caso, poichè ad osservare la legge è chiamato lui stesso, ha il dovere di vegliare su sè stesso e sulla corretta osservanza della legge); tralasciando la “pronta amministrazione della giustizia”, che non c’entra, certamente il p.m. ha anche il dovere di vegliare (sempre su sè stesso) circa la “regolare amministrazione della giustizia”, infine, ha il dovere di formulare il capo di imputazione, conformemente ai dettami del codice di procedura penale e, non da meno, a quelle che sono le risultanze dell’inchiesta penale che lui stesso ha curato e condotto.
A sua volta, anche l’Avvocato, che nella fase preprocessuale ed in quella processuale assume anche il ruolo di Difensore, ha tutta una serie di doveri, per come previsti ed impostigli da un’altra legge ossia il Decreto Ministeriale con cui vengono recepite e normate le regole deontologiche elaborate dal Consiglio Nazionale Forense e formanti il Codice Deontologico, meglio noto come il Codice Deontologico Forense.
Il Codice Deontologico Forense riguarda i principi e la modalità di esercizio dell’Avvocatura, a partire dalla tutela dei diritti e degli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo pienamente all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia (così recita testualmente la sua Introduzione).
CODICE DEONTOLOGICO FORENSE
PREAMBOLO
L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.
Nell’esercizio della sua funzione, l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio.
Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori.
Trasportando questi basilari principi di legge e di diritto al od ai casi narratici dalla cronaca, secondo cui, in uno, due o più di essi, si sarebbe contestata anche la “evasione fiscale”, e prescindendo in questa sede da qualunque riferimento agli altri capi di imputazione (circa i quali sentiamo solo di dire che, se fondate le prospettazioni accusatorie dei distinti p.m., è giusto che i responsabili siano condannati ad una pena adeguata e proporzionata al loro grado di responsabilità delittuosa; mentre, se estranei ai fatti od innocenti, è giusto che siano assolti da ogni addebito penale mosso nei loro confronti e che gli sia restituita l’onorabilità) vediamo di capire se i doveri del p.m. siano stati adempiuti anche nel contestare l’evasione fiscale, se davvero sia stato contestato anche il reato di “evasione fiscale”, in uno o più dei vari casi di cronaca raccontatici da vari nostri media e relativi ai fatti delittuosi sopra citati.
Intanto, va evidenziato preliminarmente che, se contestato anche il delitto di evasione fiscale nei casi in esame, esso avrà potuto riguardare solo le figure dei professionisti coinvolti nelle distinte vicende, a vario titolo, con esclusione, dunque, di ogni altro coindagato, e questo per la ragione che è logico supporre che solo chi è tenuto per legge ad inserire nella propria dichiarazione dei redditi gli utili percepiti nel corso dell’anno precedente, espletando la sua professione, potrebbe essere il destinatario dello specifico capo di imputazione, in quanto, se ha partecipato al consorzio criminoso, sicuramente lo avrà fatto per denaro, facendosi corrispondere la propria quota di profitto criminale sotto forma di laute parcelle non dichiarate.
Certamente questo specifico capo di imputazione non avrà potuto riguardare né i falsi danneggiati risarciti, né i falsi testimoni che si sono prestati al gioco criminale degli altri indagati.
Per i finti danneggiati, a parte quanto qui di seguito si dirà, perchè il risarcimento dei danni non è tassabile per legge, neppure quando è reale, figurarsi se può esserlo quando è falso.
Per i falsi testimoni, perchè, non rientrando in nessuna delle due categorie di partecipanti al sodalizio criminoso in esame, possono avere assunto il ruolo di meri coadiuvanti del crimine.
Dunque, prescindendo qui da un’attenta disamina delle varie ipotesi delittuose previste dalla nostra legislazione tributaria e limitando il discorso alla specifica ipotesi di reato che è presumibile sia stata configurata a carico degli imputati nei casi in questione, vi è da dire che essa non può che identificarsi col reato (la figura classica dell’evasione fiscale), previsto e punito dall’art. 5 del Dec. Lgs. n°. 74/2000, secondo cui è punito con la reclusione, da un minimo di anni 1 ad un massimo di anni 3, chiunque ometta la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, ma soltanto a se ricorre la condizione (cd. di punibilità), rappresentata dal superamento della soglia pari a £. 150 milioni per ogni singola imposta.
Questa norma, a propria volta trova, la sua giustificazione teleologica nei principi di legge e di diritto del nostro Paese, secondo cui l’Amministrazione Finanziaria dello Stato, in base al suo diritto di imporre le tasse ed i tributi ai propri amministrati, cui corrisponde il dovere di questi ultimi di pagarli, secondo le aliquote di legge ed in rapporto alle proprie possibilità, ha inoltre il diritto di coartarne la riscossione mediante una serie di strumenti e misure, amministrativi e penali, necessari perchè anche i cittadini più recalcitranti paghino i propri tributi.
Ma tutto il discorso fin qui svolto può avere un suo fondamento ed un suo senso giuridico nel momento in cui si tratta di reddito imponibile, nel senso più squisitamente fiscale del termine, ossia quando il guadagno o l’utile economico soggetto a tassazione ed al dovere di pagarvi le tasse sia maturato o sorto nel contesto di un’attività economica legittima, ammessa dall’ordinamento giuridico e legittimamente esercitata o svolta dal soggetto preposto alla sua gestione e/o conduzione, sia esso una persona fisica od una persona giuridica.
Solo nella ricorrenza delle condizioni qui da ultimo indicate, può sorgere i diritto alla riscossione del tributo da parte dello Stato, il contestuale dovere di pagare le tasse in capo ai cittadini contribuenti e la possibilità di perseguire questi ultimi per via penale, a seconda del reato che abbia o meno commesso nel caso specifico che lo avrà potuto riguardare.
Quando, invece, come nel caso in esame, le laute fonti di reddito, sia dei professionisti coinvolti, che di ogni altro partecipante al sodalizio criminale, sono il frutto di un’azione criminale (il cd. pretium sceleris) non è alla legislazione tributaria che bisogna richiamarsi, né a quella ordinaria, né tanto meno a quella penale, bensì ad altri istituti giuridici, quali, a puro titolo di esempio, il sequestro penale, la confisca, ecc., perchè i proventi del reato sono illeciti nella stessa misura dell’azione criminale che li ha prodotti e non sono equiparabili ai redditi leciti.
Diversamente ragionando, si arriverà all’assurdo giuridico di imputare e condannare per evasione fiscale, per esempio, il rapinatore che non ha dichiarato nel suo Mod. 740 quanto gli ha fruttato la rapina alla Banca Tal dei Tali; o il mafioso per i proventi annuali della sua linea di racket; od il sequestratore di persone per i miliardi del riscatto; o chi spaccia stupefacenti perchè non dichiara quanto guadagna in un anno o perchè vende senza emettere fattura; o l’usuraio perchè non dichiara gli interessi che percepisce dai suoi usurati e via dicendo.
Il rispetto delle leggi s’impone soprattutto a chi, per legge, è tenuto a farle osservare e rispettare; altrimenti si contribuisce, sia pure inconsapevolemente e nella più perfetta buona fede, a far perdere ulteriormente credibilità ad un sistema giustizia che già in sè è poco credibile parecchio, per tante ragioni diverse.
1)– La sorveglianza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia;
2)– La tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci;
3)– La repressione dei reati;
4)– L’esecuzione dei giudicati.
L’art.73 dell’ordinamento giudiziario recita testualmente:
“” Il pubblico ministero veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci,
richiedendo, nei casi di urgenza, i provvedimenti cautelari che ritiene necessari; promuove la repressione dei reati e l’applicazione delle misure di sicurezza; fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice, nei casi stabiliti dalla legge.”"
Dunque, tra i primi doveri di un pubblico ministero troviamo la “veglia alla osservanza delle leggi” e la veglia “alla pronta e regolare amministrazione della giustizia”.
Il suo dovere di promuovere “la repressione dei reati”, quindi, viene dopo quelli della veglia “alla osservanza delle leggi” e della “pronta e regolare amministrazione della giustizia”.
Il dovere di promuovere la repressione dei reati, a sua volta, si concreta, tra l’altro, nel dovere di esercizio dell’azione penale, che è costituzionalmente previsto dall’art. 112 della Cost.
L’azione penale, infine, si svolge nelle forme per essa prevista dalle disposizioni del codice di procedura penale, le quali stabiliscono se e quando procedere, come procedere e nei confronti di chi procedere, quali atti di indagine e quali non sono validi ai fini di un corretto procedimento penale e come si può o si deve formulare un’imputazione all’esito di essi.
Se ne deve concludere che il p.m., quando svolge un’azione penale è soggetto a più doveri istituzionali su di lui gravanti nel medesimo momento: vegliare all’osservanza della legge (nel caso, poichè ad osservare la legge è chiamato lui stesso, ha il dovere di vegliare su sè stesso e sulla corretta osservanza della legge); tralasciando la “pronta amministrazione della giustizia”, che non c’entra, certamente il p.m. ha anche il dovere di vegliare (sempre su sè stesso) circa la “regolare amministrazione della giustizia”, infine, ha il dovere di formulare il capo di imputazione, conformemente ai dettami del codice di procedura penale e, non da meno, a quelle che sono le risultanze dell’inchiesta penale che lui stesso ha curato e condotto.
A sua volta, anche l’Avvocato, che nella fase preprocessuale ed in quella processuale assume anche il ruolo di Difensore, ha tutta una serie di doveri, per come previsti ed impostigli da un’altra legge ossia il Decreto Ministeriale con cui vengono recepite e normate le regole deontologiche elaborate dal Consiglio Nazionale Forense e formanti il Codice Deontologico, meglio noto come il Codice Deontologico Forense.
Il Codice Deontologico Forense riguarda i principi e la modalità di esercizio dell’Avvocatura, a partire dalla tutela dei diritti e degli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo pienamente all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia (così recita testualmente la sua Introduzione).
CODICE DEONTOLOGICO FORENSE
PREAMBOLO
L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.
Nell’esercizio della sua funzione, l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio.
Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori.
Trasportando questi basilari principi di legge e di diritto al od ai casi narratici dalla cronaca, secondo cui, in uno, due o più di essi, si sarebbe contestata anche la “evasione fiscale”, e prescindendo in questa sede da qualunque riferimento agli altri capi di imputazione (circa i quali sentiamo solo di dire che, se fondate le prospettazioni accusatorie dei distinti p.m., è giusto che i responsabili siano condannati ad una pena adeguata e proporzionata al loro grado di responsabilità delittuosa; mentre, se estranei ai fatti od innocenti, è giusto che siano assolti da ogni addebito penale mosso nei loro confronti e che gli sia restituita l’onorabilità) vediamo di capire se i doveri del p.m. siano stati adempiuti anche nel contestare l’evasione fiscale, se davvero sia stato contestato anche il reato di “evasione fiscale”, in uno o più dei vari casi di cronaca raccontatici da vari nostri media e relativi ai fatti delittuosi sopra citati.
Intanto, va evidenziato preliminarmente che, se contestato anche il delitto di evasione fiscale nei casi in esame, esso avrà potuto riguardare solo le figure dei professionisti coinvolti nelle distinte vicende, a vario titolo, con esclusione, dunque, di ogni altro coindagato, e questo per la ragione che è logico supporre che solo chi è tenuto per legge ad inserire nella propria dichiarazione dei redditi gli utili percepiti nel corso dell’anno precedente, espletando la sua professione, potrebbe essere il destinatario dello specifico capo di imputazione, in quanto, se ha partecipato al consorzio criminoso, sicuramente lo avrà fatto per denaro, facendosi corrispondere la propria quota di profitto criminale sotto forma di laute parcelle non dichiarate.
Certamente questo specifico capo di imputazione non avrà potuto riguardare né i falsi danneggiati risarciti, né i falsi testimoni che si sono prestati al gioco criminale degli altri indagati.
Per i finti danneggiati, a parte quanto qui di seguito si dirà, perchè il risarcimento dei danni non è tassabile per legge, neppure quando è reale, figurarsi se può esserlo quando è falso.
Per i falsi testimoni, perchè, non rientrando in nessuna delle due categorie di partecipanti al sodalizio criminoso in esame, possono avere assunto il ruolo di meri coadiuvanti del crimine.
Dunque, prescindendo qui da un’attenta disamina delle varie ipotesi delittuose previste dalla nostra legislazione tributaria e limitando il discorso alla specifica ipotesi di reato che è presumibile sia stata configurata a carico degli imputati nei casi in questione, vi è da dire che essa non può che identificarsi col reato (la figura classica dell’evasione fiscale), previsto e punito dall’art. 5 del Dec. Lgs. n°. 74/2000, secondo cui è punito con la reclusione, da un minimo di anni 1 ad un massimo di anni 3, chiunque ometta la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, ma soltanto a se ricorre la condizione (cd. di punibilità), rappresentata dal superamento della soglia pari a £. 150 milioni per ogni singola imposta.
Questa norma, a propria volta trova, la sua giustificazione teleologica nei principi di legge e di diritto del nostro Paese, secondo cui l’Amministrazione Finanziaria dello Stato, in base al suo diritto di imporre le tasse ed i tributi ai propri amministrati, cui corrisponde il dovere di questi ultimi di pagarli, secondo le aliquote di legge ed in rapporto alle proprie possibilità, ha inoltre il diritto di coartarne la riscossione mediante una serie di strumenti e misure, amministrativi e penali, necessari perchè anche i cittadini più recalcitranti paghino i propri tributi.
Ma tutto il discorso fin qui svolto può avere un suo fondamento ed un suo senso giuridico nel momento in cui si tratta di reddito imponibile, nel senso più squisitamente fiscale del termine, ossia quando il guadagno o l’utile economico soggetto a tassazione ed al dovere di pagarvi le tasse sia maturato o sorto nel contesto di un’attività economica legittima, ammessa dall’ordinamento giuridico e legittimamente esercitata o svolta dal soggetto preposto alla sua gestione e/o conduzione, sia esso una persona fisica od una persona giuridica.
Solo nella ricorrenza delle condizioni qui da ultimo indicate, può sorgere i diritto alla riscossione del tributo da parte dello Stato, il contestuale dovere di pagare le tasse in capo ai cittadini contribuenti e la possibilità di perseguire questi ultimi per via penale, a seconda del reato che abbia o meno commesso nel caso specifico che lo avrà potuto riguardare.
Quando, invece, come nel caso in esame, le laute fonti di reddito, sia dei professionisti coinvolti, che di ogni altro partecipante al sodalizio criminale, sono il frutto di un’azione criminale (il cd. pretium sceleris) non è alla legislazione tributaria che bisogna richiamarsi, né a quella ordinaria, né tanto meno a quella penale, bensì ad altri istituti giuridici, quali, a puro titolo di esempio, il sequestro penale, la confisca, ecc., perchè i proventi del reato sono illeciti nella stessa misura dell’azione criminale che li ha prodotti e non sono equiparabili ai redditi leciti.
Diversamente ragionando, si arriverà all’assurdo giuridico di imputare e condannare per evasione fiscale, per esempio, il rapinatore che non ha dichiarato nel suo Mod. 740 quanto gli ha fruttato la rapina alla Banca Tal dei Tali; o il mafioso per i proventi annuali della sua linea di racket; od il sequestratore di persone per i miliardi del riscatto; o chi spaccia stupefacenti perchè non dichiara quanto guadagna in un anno o perchè vende senza emettere fattura; o l’usuraio perchè non dichiara gli interessi che percepisce dai suoi usurati e via dicendo.
Il rispetto delle leggi s’impone soprattutto a chi, per legge, è tenuto a farle osservare e rispettare; altrimenti si contribuisce, sia pure inconsapevolemente e nella più perfetta buona fede, a far perdere ulteriormente credibilità ad un sistema giustizia che già in sè è poco credibile parecchio, per tante ragioni diverse.
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