http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: settembre 2015

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mercoledì 30 settembre 2015

Avvocato penalista - Non c'è Violazione di domicilio, Art. 614 C. P., se manca il dolo.

Avvocato penalista - Non c'è Violazione di domicilio, Art. 614 C. P., se manca il dolo.
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Avvocato penalista - Non c'è Violazione di domicilio, Art. 614 C. P., se manca il dolo.
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"" Violazione di domicilio: lavoratore assolto per mancanza del dolo.

Sentenza Cassazione n. 12980/2012 – Violazione di domicilio: assolto per mancanza di dolo.

Una vicenda alquanto strana è stata posta all’attenzione della Suprema Corte.

Il contenzioso tra la proprietaria di alcuni locali e l’Azienda conduttrice degli stessi ha fatto passare un brutto momento ad un impiegato che, un giorno come un altro, per giungere alla propria postazione di lavoro, ha scavalcato il muro dell’azienda e, per questo motivo, si è trovato prima innanzi al GUP e poi  alla Corte di Cassazione per rispondere del reato di violazione di domicilio (art. 614 c. p.).

Infatti, dopo che per il fatto il GUP aveva dichiarato il non luogo a procedere perchè il fatto non costituisce reato, la parte civile, che non ha condiviso la decisione del magistrato, ha presentato ricorso affinché sul punto si esprimesse la Corte di Cassazione.

La proprietaria degli immobili rappresentava che l’imputato  «era consapevole del contenzioso civile in corso tra il proprio datore di lavoro – conduttore dei locali – e la società proprietaria, avente ad oggetto la disponibilità dei locali» e, pertanto, sempre a parer della ricorrente, l’imputato era consapevole «della contrarietà alla legge penale del proprio comportamento».

Per la massima Corte di Roma si tratta di semplice imprudenza e pertanto rigetta il ricorso della donna, condannandola anche al pagamento delle spese processuali.

Per gli ermellini è vero che il fatto di dover scavalcare il muro doveva far intendere al lavoratore della nuova situazione e indurlo a non utilizzare i locali peró, continuano i giudici della Corte nella sentenza n. 12980/12, il comportamento é stato tenuto senza rappresentazione e consapevolezza di tale illiceità.

In poche parole, l’imputato ha tenuto tale condotta in maniera colposa, «connotata da leggerezza e imprudenza». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/violazione-di-domicilio-assolto-per-mancanza-del-dolo/
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Avvocato penalista - Non c'è Violazione di domicilio, Art. 614 C. P., se manca il dolo.
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martedì 29 settembre 2015

Avvocato penalista - Non commette Illecite interferenze nella vita privata, Art. 615 bis C. P., chi filma il vicino dentro la sua abitazione.

Avvocato penalista - Non commette Illecite interferenze nella vita privata, Art. 615 bis C. P., chi filma il vicino dentro la sua abitazione.
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Avvocato penalista - Non commette Illecite interferenze nella vita privata, Art. 615 bis C. P., chi filma il vicino dentro la sua abitazione. 
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"" Violazione della privacy: nessun reato filmare il vicino dentro la sua abitazione.

Sentenza Cassazione V sezione penale n. 18035/2012 – Violazione della privacy: nessun reato filmare il vicino dentro la sua abitazione.

La Cassazione ha stabilito che non è violazione della privacy filmare qualcuno dentro casa se questo tiene aperte le finestre permettendo a chiunque di poterlo vedere.

Una sentenza che delimita gli spazi d’azione della normativa che ci tutela dalle invadenze altrui che farà certamente discutere, visto che di fatto mette in gioco l’intimità personale della gente, che se vuole proteggersi dagli occhi indiscreti dei vicini, e non solo dagli occhi, dovrà barricarsi in casa facendo attenzione a chiudere bene porte e finestre.

Con la sentenza n. 18035 dell’11 maggio 2012 la Corte ha deciso che nel caso in cui qualcuno venga filmato anche all’interno della propria abitazione il “cameraman” non commette nessun reato di illecite interferenze nella vita privata in quanto chi non vuole essere “spiato” deve fare che ciò non accada “schermando” il perimetro della propria casa dagli occhi indiscreti dei terzi.

La vicenda, arrivata al giudizio della massima corte, è nata in conseguenza di una lite tra vicini. In poche parole, uno ha filmato l’altro e da lì è iniziato l’iter giudiziario che ha portato la Cassazione a emettere la sentenza in esame.

La vicenda ha permesso ai giudici delle diverse fasi di sbizzarrirsi nella decisione e, infatti, il querelato è stato condannato per il reato di cui all’art. 615 c. p., in primo grado, e poi assolto in seconda istanza.

Per la Corte territoriale il fatto che il querelante avesse registrato senza nascondersi, quindi in modo visibile a tutti, va venir meno gli elementi costitutivi del reato.

In Cassazione la Corte ha ricordato che la riservatezza degli individui all’interno del proprio domicilio viene tutelata nella misura in cui ciò che avviene dentro il suo perimetro è reso non visibile all’esterno.

Pertanto, se ciò che avviene dentro casa è perfettamente visibile a chi è fuori dall’abitazione, il proprietario del domicilio non avrà nulla da che lamentarsi.

Altra cosa sarebbe stata invece se le riprese con la telecamera fossero state effettuate di nascosto, con particolari tecniche utilizzate dal cameraman per non essere visto oppure per rendere “penetrabili” e “inutili” gli accorgimenti presi dal proprietario di casa per non rendere visibile all’esterno ciò che succede nell’intimità domestica.

In questa maniera il concetto di privacy ristringe il proprio spazio d’azione e potrà identificarsi, riguardo all’ambiente domestico, con quello spazio che ognuno può crearsi preoccupandosi però di renderlo impenetrabile agli altri.

Una sentenza da non sottovalutare. Se l’orientamento della Corte continua a muoversi verso questa direzione saranno tanti a finire in video. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/violazione-della-privacy-nessun-reato-filmare-il-vicino-dentro-la-sua-abitazione/
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Avvocato penalista - Non commette Illecite interferenze nella vita privata, Art. 615 bis C. P., chi filma il vicino dentro la sua abitazione. 
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lunedì 28 settembre 2015

Avvocato penalista - La confisca dei beni ai mafiosi è obbligatoria quando sia stata dimostrata la pericolosità dei soggetti e non provata la legittima provenienza dei beni da confiscare.

Avvocato penalista - La confisca dei beni ai mafiosi è obbligatoria quando sia stata dimostrata la pericolosità dei soggetti e non provata la legittima provenienza dei beni da confiscare.
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Avvocato penalista - La confisca dei beni ai mafiosi è obbligatoria quando sia stata dimostrata la pericolosità dei soggetti e non provata la legittima provenienza dei beni da confiscare.

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"" Cassazione: confisca dei beni ai mafiosi.

Sentenza Cassazione n. 21894/2012 – Confisca dei beni ai mafiosi.

La Cassazione ha deciso che i beni dei mafiosi vanno confiscati senza che vi sia distinzione tra un boss e un semplice affiliato.

Per la Corte tutto ció che eccede il reddito dichiarato deve considerarsi di provenienza illecita e, pertanto, deve essere tolta dalla disponibilità del mafioso.

Con la sentenza n. 21894 del 6 giugno 2012, la Cassazione chiarisce che la confisca “è prevista nell’ambito dello specifico procedimento di prevenzione, e ha per presupposto la pericolosità del soggetto destinatario di misure di prevenzione vere e proprie, ancorché non eseguite o non eseguibili.

E’ però diretta, a differenza della misura di prevenzione personale, a sottrarre “i beni”, in via definitiva, alla disponibilità dell’indiziato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso, ancorché tale risultato sia conseguibile solo all’esito definitivo della prevista procedura”.

Su questi presupposti i giudici di Piazza Cavour precisano che “è corretto affermare che non si può prescindere dalla valutazione obiettiva di una concreta pericolosità, ancorché su base indiziaria, ma è altrettanto vero che, accertato definitivamente che il soggetto che direttamente o indirettamente dispone dei “beni”, ha un reddito o un’attività economica sproporzionati al reddito dichiarato e si ha giustificato motivo di ritenere quindi, anche a seguito delle indagini effettuate, che gli stessi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, la confisca diventa obbligatoria ”.

“La ratio della confisca, invero, comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione in senso proprio, mirando a sottrarre definitivamente i beni di provenienza illecita al circuito economico di origine per inserirli in altro esente da condizionamenti criminali, e dunque si proietta al di là dell’esigenza di prevenzione nei confronti di determinate persone pericolose per sorreggere la misura stessa oltre il perdurare della pericolosità del soggetto al cui patrimonio è applicata.”

In conclusione, la confisca é obbligatoria nel caso in cui sia stata dimostrata la pericolosità del soggetto e non dimostrata la legittima provenienza dei beni a lui riconducibili. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-confisca-dei-beni-ai-mafiosi/
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Avvocato penalista - La confisca dei beni ai mafiosi è obbligatoria quando sia stata dimostrata la pericolosità dei soggetti e non provata la legittima provenienza dei beni da confiscare.
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domenica 27 settembre 2015

Avvocato penalista - Equitalia, rea di Omissione di atti di ufficio, Art. 328, comma 2, c. p., è stata condannata a risarcire il danno morale causato al contribuente.

Avvocato penalista - Equitalia, rea di Omissione di atti di ufficio, Art. 328, comma 2, c. p., è stata condannata a risarcire il danno morale causato al contribuente.
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Avvocato penalista - Equitalia, rea di Omissione di atti di ufficio, Art. 328, comma 2, c. p., è stata condannata a risarcire il danno morale causato al contribuente.
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"" Equitalia condannata a risarcire il danno morale del contribuente.

Sentenza Cassazione n. 9445/2012 – Pignoramento illegittimo: Equitalia condannata a risarcire il danno morale del contribuente.

La sentenza oggi in esame, la n. 9445/2012, riguarda un caso di Equitalia che ha proceduto con l’esecuzione forzata anche dopo l’annullamento giudiziale del credito vantato ma la Cassazione, per tutta risposta, per omissione di atti d’ufficio, ha condannato l’Ente per aver proceduto illegittimamente ad un pignoramento a risarcire il contribuente per il danno morale subito.

Nel caso specirfico, le sanzioni amministrative non erano dovute, infatti vi era stata già una sentenza del Tribunale sulle somme in contestazione e il contribuente ne era uscito vittorioso e lo aveva comunicato ai soggetti interessati (Concessionario del servizio di riscossione e Comune di Roma).

Non avendo risposto alla richiesta d’interruzione del procedimento (nei trenta giorni nè sono state fornite le ragioni del ritardo) si è configurato il reato di omissione di atti d’ufficio di cui all’art. 328, 2 comma, c.p.

La Corte, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha deciso che «in tema di responsabilità civile e di richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale, quando è prospettato un illecito, astrattamente riconducibile a fattispecie penalmente rilevanti, (come nella specie, nella quale il danneggiato assume come causa del danno il pignoramento mobiliare eseguito, per un credito accertato come inesistente, nonostante la espressa richiesta al Comune e al Concessionario di interruzione del procedimento per il recupero del credito, e in mancanza di risposta a tale richiesta per spiegarne le ragioni, ed è ipotizzabile la fattispecie di reato prevista dall’art. 328, secondo comma, cod. pen.) per il quale la risarcibilità del danno non patrimoniale è espressamente prevista dalla legge, ai sensi degli artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen., spetta al giudice accertare, incindenter tantum e secondo la legge penale, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato, indipendentemente dalla norma penale cui l’attore riconduce la fattispecie».

Inoltre ha concluso precisando che «l’Accertamento che è logicamente preliminare all’indagine sull’esistenza di un diritto leso di rilievo costituzionale (cui sia eventualmente ricollegabile il risarcimento del danno non patrimoniale, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità oramai consolidata) potendo quest’ultimo venire in rilievo solo dopo l’esclusione della configurabilità di un reato; accertamenti, entrambi, preliminari alla indagine in ordine alla sussistenza in concreto (alla prova) del pregiudizio patito dal titolare dell’interesse tutelato». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/pignoramento-illegittimo-equitalia-condannata-a-risarcire-il-danno-morale-del-contribuente/
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Avvocato penalista - Equitalia, rea di Omissione di atti di ufficio, Art. 328, comma 2, c. p., è stata condannata a risarcire il danno morale causato al contribuente.
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sabato 26 settembre 2015

Avvocato penalista - L'acquisto di un prodotto contraffatto non è né Ricettazione, Art. 648 C.P., né Acquisto di cose di sospetta provenienza, Art. 712 C.P., ma l’illecito amministrativo di cui alla L. 23 luglio 2009, n°. 99.

Avvocato penalista - L'acquisto di un prodotto contraffatto non è né Ricettazione, Art. 648 C.P., né Acquisto di cose di sospetta provenienza, Art. 712 C.P., ma l’illecito amministrativo di cui alla  L. 23 luglio 2009, n°. 99.
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Avvocato penalista - L'acquisto di un prodotto contraffatto non è né Ricettazione, Art. 648 C.P., né Acquisto di cose di sospetta provenienza, Art. 712 C.P., ma l’illecito amministrativo di cui alla  L. 23 luglio 2009, n°. 99.
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"" Acquistare un prodotto contraffatto non costituisce reato.

Le Sezioni Unite Penali della Suprema Corte di Cassazione, analizzando il testo attuale del comma 7 del decreto legge n. 35 del 2005, hanno stabilito con la sentenza n. 22225 depositata l’8 giugno 2012, la punibilità della condotta imprudente di  compra un bene “taroccato”  soltanto in via amministrativa e non invece sotto l’ambito penale che ricollega tale condotta al reato di ricettazione.

Per i Giudici  “…non può configurarsi una responsabilità penale per il reato di ricettazione (art. 648 cod. pen.) o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 cod. pen.) per l’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata, ma piuttosto l’illecito amministrativo previsto dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35 ( conv. in l. 14 maggio 2005, n. 35, nella versione modificata dalla legge 23 luglio 2009, n. 99).

Quest’ultima fattispecie va infatti considerata prevalente rispetto sia al delitto che alla contravvenzione previsti dal codice penale”.

Nonostante la normativa europea impone l’adozione di mezzi «effettivi, proporzionati e dissuasivi» a protezione dei diritti di proprietà industriale (direttiva 2004/48/CE) la massima Corte ha di fatto depenalizzato la condotta citata facendo venir meno sia la multa nei confronti di colui che commette l’imprudenza di acquistare un bene contraffatto sia il risarcimento del danno alla parte civile, rappresentata dall’azienda produttrice del marchio originale oggetto di contraffazione.

Questa decisione é stata adottata nei confronti di un uomo che in un primo momento, per aver acquistato un rolex contraffatto, era stato condannato per ricettazione al pagamento di una pena pecuniaria e risarcimento del danno alla casa produttrice dell’orologio.

Per i supremi giudici,  ai fini del reato di ricettazione, é irrilevante l’atteggiamento psicologico avuto da parte dell’acquirente (ovvero la consapevolezza dell’illecito) restando invece determinante il profitto.

In conclusione, i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che chi compra merce contraffatta non commette nessun reato e rischia solo una sanzione amministrativa  anche se in Europa non la pensano tutti così. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/acquistare-un-prodotto-contraffatto-non-costituisce-reato/
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Avvocato penalista - L'acquisto di un prodotto contraffatto non è né Ricettazione, Art. 648 C.P., né Acquisto di cose di sospetta provenienza, Art. 712 C.P., ma l’illecito amministrativo di cui alla  L. 23 luglio 2009, n°. 99.
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venerdì 25 settembre 2015

Avvocato penalista - Commette Lesioni personali colpose, Art. 590 C. P., chi, parlando in pubblico, colpisce una persona col suo gesticolare

Avvocato penalista - Commette Lesioni personali colpose, Art. 590 C. P., chi, parlando in pubblico, colpisce una persona col suo gesticolare.
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Avvocato penalista - Commette Lesioni personali colpose, Art. 590 C. P., chi, parlando in pubblico, colpisce una persona col suo gesticolare
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"" Via i “cafoni” dalle Piazze: gesticolare in pubblico potrebbe costar caro.
 
Cassazione Sentenza n. 24993/2012 – Gesticolare quando si parla – risarcimento danno per lesioni colpose.
 
Non è consentito atteggiarsi in maniera sboccata e cafona, in questi termini si è espressa la quarta sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24993/2012, che richiamando l’uso del “bon ton” almeno in pubblico ha precisato che «la pubblica via non è il salotto di casa» e, pertanto, su «di essa ciascuno ha il diritto di godere ma anche il dovere di lasciare godere alla generalita` dei cittadini e dunque di rapportare il proprio comportamento al rispetto dei diritti altrui».
 
Si è giunti a tale decisione in conseguenza della denuncia fatta da una anziana donna (per lesioni colpose per un edema palbebrale marcato – 8 gg. prognosi ) che, inavvertitamente, era stata colpita all’occhio destro da un ragazzo pugliese intento a chiacchierare e gesticolare in piazza insieme ad altri amici.
 
Il Tribunale che si è occupato del caso aveva assolto l’uomo «perche` il fatto non costituisce reato» sulla base del fatto che parlare e gesticolare, specie in Italia, è un’ «abitudine comune» ma sul punto la Suprema Corte ha osservato che «non è la generalizzata diffusione dei comportamenti a rendere lecita una condotta, essendo in ogni caso primario, nell`agire dell`uomo, il rispetto del neminem laedere».
 
Nel caso in specie, non c’è stata nei confronti del ragazzo nessuna condanna penale ma l’anziana signora potrà rifarsi in sede civile richiedendo il risarcimento dei danni subiti.
 
Per gli ermellini infatti il giovane ventottenne proprio perchè si trovava in una piazza «avrebbe dovuto evitare gesti scomposti» anche perchè «l`abitudine di accompagnare con i gesti una conversazione, di per sè certamente lecita, perde il carattere di liceità nel momento in cui essa, per le modalità che caratterizzano la gestualità e per il contesto in cui essa si manifesta, rappresenti una violazione delle ordinarie regole di prudenza e di diligenza che, comunque ed in ogni caso, devono accompagnare qualsiasi comportamento umano».
 
In sostanza, la Cassazione ha stabilito che gli atteggiamenti sboccati in pubblico che provocano un danno a qualcuno vanno risarcirti «a titolo di colpa» pertanto, nonostante il parere contrario della pubblica accusa della Cassazione, tutto sarà inviato al giudice di secondo grado affinchè provveda a quantificare i danni subiti dall’anziana signora. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Commette Lesioni personali colpose, Art. 590 C. P., chi, parlando in pubblico, colpisce una persona col suo gesticolare
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giovedì 24 settembre 2015

Avvocato penalista - Commette omicidio colposo, Art. 589 C. P., l'imprenditore che non dota l'operaio della protezione necessaria per difendersi dall'inalazione delle fibre di amianto.

Avvocato penalista - Commette omicidio colposo, Art. 589 C. P., l'imprenditore che non dota l'operaio della protezione necessaria per difendersi dall'inalazione delle fibre di amianto.
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Avvocato penalista - Commette omicidio colposo, Art. 589 C. P., l'imprenditore che non dota l'operaio della protezione necessaria per difendersi dall'inalazione delle fibre di amianto.
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"" Amianto: omicidio colposo dopo 40 anni.
 
La Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 24997 del 21 giugno 2012) ha condannato per omicidio colposo due imprenditori perché non hanno dotato un loro operaio della protezione necessaria e prevista anche negli anni sessanta (DPR 547/1955 e DPR 303/1956)  per difendersi dall’inalazione delle fibre di amianto.
 
La Sezione Penale che ha esaminato il caso, ha riconosciuto il nesso di causalità tra inalazione di fibre di amianto e malattia (mesetelioma pleurico) anche se i sintomi di quest’ultima sono apparsi dopo 40 anni.
 
L’operaio, morto nel 2004, un anno dopo che gli é stato diagnosticato il mesotelioma, era addetto alla copertura dei tetti dell’azienda, presso la quale ha lavorato dal 1965 al 1990.
 
In Appello i giudici avevano escluso il citato nesso di causalità facendo venir meno anche la responsabilità dell’azienda per la morte del loro ex lavoratore.
 
I Giudici con la toga di ermellino peró ribaltano questa decisione osservando come gli studi sul mesotelioma pleurico avevano chiarito “che il rischio di insorgenza del tumore è proporzionale al tempo e all’intensità di esposizione e che ad un aumentare della dose è stata dimostrata una riduzione del periodo di latenza” e hanno ritenuto “dimostrato che i lavoratori non erano stati informati della pericolosità derivante dalla lavorazione dell’amianto e che nessun controllo veniva fatto dai datori di lavoro sull’uso delle mascherine protettive”.
 
Nel caso in specie i giudici hanno precisato che “il periodo di latenza è stato particolarmente lungo per effetto dell’esposizione non permanente ma limitata a due, tre giorni al mese e quindi di non particolare intensità”.
 
Per la suprema corte “quando la ricerca della legge di copertura debba attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria (integrativa delle conoscenze giudiziali) di quest’ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti.” ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Commette omicidio colposo, Art. 589 C. P., l'imprenditore che non dota l'operaio della protezione necessaria per difendersi dall'inalazione delle fibre di amianto.
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mercoledì 23 settembre 2015

Avvocato penalista - Il perdono giudiziale concesso dal G.U.P. non è ricorribile per Cassazione dal P.M., a meno che non contesti specificatamente i presupposti per la sua concessione.

Avvocato penalista - Il perdono giudiziale concesso dal G.U.P. non è ricorribile per Cassazione dal P.M., a meno che non contesti specificatamente i presupposti per la sua concessione.
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Avvocato penalista - Il perdono giudiziale concesso dal G.U.P. non è ricorribile per Cassazione dal P.M., a meno che non contesti specificatamente i presupposti per la sua concessione.
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"" Il perdono giudiziale concesso dal GUP non è ricorribile dal P.M.

Sentenza Cassazione n. 24357/2012 – Perdono giudiziale concesso dal GUP non ricorribile dal P.M.

Un minorenne, iscritto alla federazione pugilistica, a seguito di alcune analisi, è risultato positivo al doping.

Il GUP di Firenze, valutati i fatti anche alla luce dell’età del minore e delle attenuanti generiche, aveva dichiarato di non doversi procedere e concesso il perdono giudiziale.

La Cassazione ha stabilito con la sentenza n. 24357/2012, che il GIP presso il Tribunale dei minori può pronunciare sentenza di non luogo a procedere (per il perdono giudiziale, ma anche nel caso di irrilevanza del fatto) soltanto se il minore personalmente ovvero il suo difensore (munito di procura speciale) prestano il consenso alla definizione del giudizio all’udienza preliminare rinunciando al dibattimento.

Mentre il provvedimento del GUP è sempre ricorribile in Cassazione dall’imputato, non lo è da parte del P.M., in quanto, a meno che non contesti specificatamente i presupposti per la concessione del perdono giudiziale, viene meno (come è accaduto nel caso in specie) l’interesse a far valere “la lesione di un diritto di difesa dell’imputato di cui quest’ultimo non si duole.” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/il-perdono-giudiziale-concesso-dal-gup-non-e-ricorribile-dal-p-m/
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Avvocato penalista - Il perdono giudiziale concesso dal G.U.P. non è ricorribile per Cassazione dal P.M., a meno che non contesti specificatamente i presupposti per la sua concessione.
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martedì 22 settembre 2015

Avvocato penalista - Non è reo di Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Art. 570 C. P., il padre che versa in ritardo l'assegno di mantenimento per sue contingenti o temporanee difficoltà economiche.

Avvocato penalista - Non è reo di Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Art. 570 C. P., il padre che versa in ritardo l'assegno di mantenimento per sue contingenti o temporanee difficoltà economiche.
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Avvocato penalista - Non è reo di Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Art. 570 C. P., il padre che versa in ritardo l'assegno di mantenimento per sue contingenti o temporanee difficoltà economiche.
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"" Assistenza familiare: nessun reato se l’irregolarità del mantenimento è dovuta a difficoltà economiche.

Per la Cassazione le temporanee difficoltà economiche giustificano il versamento in ritardo dell’assegno di  mantenimento da parte del padre e, per questo motivo, quest’ultimo non può essere condannato.

La Corte giunge a tale decisione dopo aver analizzato il caso di un uomo separato che, a causa della crisi, aveva corrisposto in maniera irregolare l’assegno per  il mantenimento del figlio e, per questo, denunciato dalla ex moglie per sottrazione agli obblighi di assistenza familiare.

Ribaltando la decisione della presa dai giudici d’Appello, la Suprema Corte, con la sentenza n. 25596/2012, ha osservato che il reato previsto dall’art. 570 c. p. non può essere configurato in conseguenza di qualsiasi tipo di inadempimento ma occorre  che sia “serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi di sussistenza che il soggetto obbligato deve fornire”.

Inoltre, continua la Corte, deve essere accertata anche la volontà dolosa di sottrarsi all’adempimento degli obblighi di assistenza cosa che non si è verificata nel caso in specie poiché i ritardi sono stati brevi e dovuti a problemi economici temporanei dell’uomo. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Non è reo di Violazione degli obblighi di assistenza familiare, Art. 570 C. P., il padre che versa in ritardo l'assegno di mantenimento per sue contingenti o temporanee difficoltà economiche.
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lunedì 21 settembre 2015

Avvocato penalista - Il diritto di critica tra colleghi d’ufficio è ammesso e non è Ingiuria, Art. 594 C. P., solo quando non travalichi dai propri compiti e non si ingerisca nell'altrui sfera.

Avvocato penalista - Il diritto di critica tra colleghi d’ufficio è ammesso e non è Ingiuria, Art. 594 C. P., solo quando non travalichi dai propri compiti e non si ingerisca nell'altrui sfera.
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Avvocato penalista - Il diritto di critica tra colleghi d’ufficio è ammesso e non è Ingiuria, Art. 594 C. P., solo quando non travalichi dai propri compiti e non si ingerisca nell'altrui sfera.
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"" Diritto di critica tra colleghi d’ufficio.
 
“ Lei ha l’abitudine di non rispettare i colleghi… se ne deve andare, e’ una vergogna, si permette di andare contro il mio parere…” queste parole hanno scatenato l’iter giudiziario arrivato fino alla massima corte che ha visto dapprima il risarcimento per l’anziana signora a cui era stata rivolta la frase in oggetto e poi, ribaltando la decisione presa della in sede d’appello, la corte di legittimità ha annullato senza rinvio la sentenza “perchè il fatto non costituisce reato”.
 
Per la Corte la frase in questione rientra nel diritto di critica ponendosi “come chiara manifestazione di dissenso per il diverso parere espresso dalla collega piu’ anziana, peraltro in un contesto tale da fare ragionevolemente ritenere che fosse stato reso con travalicamento dei compiti istituzionali da parte della stessa persona offesa ed indebita ingerenza nel proprio ambito lavorativo.” ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Il diritto di critica tra colleghi d’ufficio è ammesso e non è Ingiuria, Art. 594 C. P., solo quando non travalichi dai propri compiti e non si ingerisca nell'altrui sfera.
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domenica 20 settembre 2015

Avvocato penalista - La confisca per equivalente, prevista dall’Articolo 19, comma 2, della Legge n°. 231/2001, non è applicabile reati fiscali.

Avvocato penalista - La confisca per equivalente, prevista dall’Articolo 19, comma 2, della Legge n°. 231/2001, non è applicabile reati fiscali.
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Avvocato penalista - La confisca per equivalente, prevista dall’Articolo 19, comma 2, della Legge n°. 231/2001, non è applicabile reati fiscali.
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"" Reati fiscali: no alla confisca per equivalente.

La Corte di Cassazione ha ricordato che “la confisca per equivalente prevista dall’articolo 19, comma 2, della predetta legge 231/2001 è applicabile esclusivamente con riferimento ai reati previsti dagli articoli 24 e seguenti, tra i quali non rientrano quelli fiscali di cui al Decreto Legislativo 74/2000″.

La terza sezione penale, con la Sentenza del 4 luglio 2012, n.25774, ha precisato che “deve essere in primo luogo affermata l’infondatezza della tesi, sostenuta dalla pubblica accusa ricorrente, che la confisca di beni equivalenti al profitto del reato possa essere disposta nei confronti di una persona giuridica al di fuori delle fattispecie criminose previste dalla legge n.231 del 2001.

Costituisce ormai consolidato principio di diritto che la confisca per equivalente assolve ad una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile.

Tale misura ablatoria, pertanto, si connota per il carattere afflittivo e la consequenzialità con l’illecito proprie della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza.

È stato conseguentemente affermato dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte che l’istituto della confisca per equivalente, di volta in volta esteso dal legislatore a nuove fattispecie di reato, non è applicabile retroattivamente.

Dalla natura di sanzione penale della confisca per equivalente deriva altresì la inapplicabilità dell’istituto nei confronti di un soggetto diverso dall’autore del reato ex articolo 27, comma 1, della Costituzione, a nulla rilevando, con riferimento alle persone giuridiche, il cosiddetto rapporto di immedesimazione organica del reo con l’ente del quale con compiti o poteri vari fa parte.

Del resto la legge 8 giugno 2001, n.231 ha configurato la responsabilità amministrativa della persona giuridica per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio (articolo 5) dagli organi dell’ente o da persone loro sottoposte, sotto il profilo della culpa in eligendo o in vigilando (articoli 6 e 7), per l’ovvia impossibilità di estendere qualsiasi forma del sistema sanzionatorio penale a tale soggetto.

Ne consegue che la confisca per equivalente prevista dall’articolo 19, comma 2, della predetta legge 231/2001 è applicabile esclusivamente con riferimento ai reati previsti dagli articoli 24 e seguenti, tra i quali non rientrano quelli fiscali di cui al Decreto Legislativo 74/2000.

Deve essere solo fatta salva l’ipotesi in cui la struttura societaria costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale o altri illeciti, sicché ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato.” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/reati-fiscali-no-alla-confisca-per-equivalente/
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Avvocato penalista - La confisca per equivalente, prevista dall’Articolo 19, comma 2, della Legge n°. 231/2001, non è applicabile reati fiscali.
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sabato 19 settembre 2015

Avvocato penalista - Scuotere tovaglie o tappeti dal bancone non costituisce reato, per l’impossibilità di causare imbrattamenti e molestie alle persone.

Avvocato penalista - Scuotere tovaglie o tappeti dal bancone non costituisce reato, per l’impossibilità di causare imbrattamenti e molestie alle persone.
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Avvocato penalista - Scuotere tovaglie o tappeti dal bancone non costituisce reato, per l’impossibilità di causare imbrattamenti e molestie alle persone.
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"" Scuotere tovaglie e tappeti dal bancone non costituisce reato.

Con la sentenza n. 27625/2012 la Cassazione ha trattato uno dei motivi più comuni che origina le liti tra condomini ovvero sbattere tappeti e tovaglie dalla finestra infischiandosene del fatto che tutto ciò che si butta giù va a finire nel terrazzo del vicino di casa.

La situazione appena descritta oltre ad essere un comportamento tipicamente italiano è da sempre argomento di discussione all’interno delle riunioni di condominio pertanto, non stupisce che un caso del genere sia giunto per esser definito innanzi alla massima corte.

I Giudici di legittimità sulla questione in oggetto hanno stabilito che non costituisce reato scuotere tappeti e tovaglie fuori dalla finestra del proprio appartamento anche se così facendo si finisce col far cadere briciole e polvere sulle finestre e sul terrazzo di chi vive nell’appartamento al piano di sotto.

Nel caso in specie la prima sezione penale ha esaminato il caso di una donna albanese che, per il comportamento sopra descritto, venne accusata e condannata nella fase di merito per “getto pericoloso di cose” oltre che per rumori molesti.

Per la Cassazione “il fatto non sussiste” e “lo sbattimento di qualche tappeto e lo scuotimento di qualche tovaglia non integra la condotta penalmente rilevante, per l’impossibilità di causare imbrattamenti e molestie alle persone, secondo la formulazione letterale della disposizione incriminatrice”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/scuotere-tovaglie-e-tappeti-dal-bancone-non-costituisce-reato/
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Avvocato penalista - Scuotere tovaglie o tappeti dal bancone non costituisce reato, per l’impossibilità di causare imbrattamenti e molestie alle persone.
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venerdì 18 settembre 2015

Avvocato penalista - Le lesioni personali del lavoratore per infortunio da scippo in itinere sono risarcibili, in quanto evento imprevedibile e atipico.

Avvocato penalista - Le lesioni personali del lavoratore per infortunio da scippo in itinere sono risarcibili, in quanto evento imprevedibile e atipico.
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Avvocato penalista - Le lesioni personali del lavoratore per infortunio da scippo in itinere sono risarcibili, in quanto evento imprevedibile e atipico.
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"" Infortunio in itinere del lavoratore: scippo risarcibile.
 
Per la Cassazione lo scippo è risarcibile come infortunio sul lavoro.
 
Infatti, i giudici della sezione lavoro hanno stabilito che se nel tragitto casa-lavoro si verifica un “evento imprevedibile ed atipico” che procura danni al lavoratore quest’ultimo ha diritto al risarcimento.
 
Il caso in esame riguardava il risarcimento del danno per infortunio accaduto ad una donna sulla strada di casa “a seguito di una aggressione avvenuta a fini di scippo che le aveva provocato varie lesioni”.
 
L’indennizzo le era stato negato sia in primo che in secondo grado ma in sede di legittimità la corte, che ha inviato tutto ad Ancona per riesaminare il caso, ha stabilito che “è indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore ‘in itinere’ ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo”. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Le lesioni personali del lavoratore per infortunio da scippo in itinere sono risarcibili, in quanto evento imprevedibile e atipico.
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giovedì 17 settembre 2015

Avvocato penalista - Commette Estorsione, Art. 629 del Codice Penale, il o la coniuge che pretende dalla moglie o dal marito i soldi per le sigarette.

Avvocato penalista - Commette Estorsione, Art. 629 del Codice Penale, il o la coniuge che pretende dalla moglie o dal marito i soldi per le sigarette.
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Avvocato penalista - Commette Estorsione, Art. 629 del Codice Penale, il o la coniuge che pretende dalla moglie o dal marito i soldi per le sigarette.
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"" E’ estorsione pretendere dal partner i soldi per le sigarette.

La Cassazione ha stabilito che pretendere dal partner i soldi per comprare le sigarette potrebbe far scattare una condanna per estorsione. Infatti la terza sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 25750, ha spiegato che le sigarette non vanno ricomprese nel “novero dei legami di solidarietà familiare” e, pertanto, ottenere dei soldi per l’acquisto verrebbe inquadrato come “ricavo ingiusto”.

La Corte, sulla base di quanto appena esposto, ha condannato per estorsione un salernitano “per avere posto in essere atti di violenza in danno della moglie per ottenere somme di minima entità”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-sentenza-estorsione-soldi-sigarette/
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Avvocato penalista - Commette Estorsione, Art. 629 del Codice Penale, il o la coniuge che pretende dalla moglie o dal marito i soldi per le sigarette.
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mercoledì 16 settembre 2015

Avvocato penalista - La nudità, in luoghi pubblici o esposti al pubblico, costituisce reato.

Avvocato penalista - La nudità, in luoghi pubblici o esposti al pubblico, costituisce reato.
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Avvocato penalista - La nudità, in luoghi pubblici o esposti al pubblico, costituisce reato.
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"" Cassazione: convalidata la multa ad un bagnante nudista.

La terza sezione penale della massima Corte ha convalidato la multa ad un bagnante colpevole di aver preso il sole integrale in una spiaggia di Taormina.

Per la Cassazione “si deve escludere che la nudità integrale, a causa dell’evolversi del comune sentimento, non sia più idonea a provocare turbamento nella comunità attuale”.

La Corte ricorda ancora che i bagnanti senza costume sono ammessi solo “nella particolare situazione di campi di nudisti, riservati a soggetti consenzienti, ma non in luoghi pubblici o esposti al pubblico”.

Dai fatti di causa è emerso che insieme all’uomo multato erano presenti anche altri nudisti spariti subito, non appena sul posto è giunta l’auto dei carabinieri.

L’uomo si è difeso sostenendo che quella spiaggia è “notoriamente frequentata da numerosi anni dai nudisti”, ma è stato tutto inutile; la Corte, con la sentenza n. 28990, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’uomo e convalidato nei suoi confronti la multa di €. 1.200.

Infine, ha osservato che “la spiaggia era frequentata, in maggioranza da bagnanti, adulti e minori, indossanti il costume, mentre i nudisti erano in numero estremamente ridotto e sparso; sicché tali caratteristiche, unitamente al carattere pubblico dello spazio e alla sua non delimitazione, dovevano rendere evidente all’imputato la consapevolezza del proprio anomalo comportamento”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-convalidata-la-multa-ad-un-bagnante-nudista/
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Avvocato penalista - La nudità, in luoghi pubblici o esposti al pubblico, costituisce reato.
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martedì 15 settembre 2015

Avvocato penalista - Nel reato di Maltrattamenti contro familiari o conviventi, Articolo 572 del Codice Penale, la gelosia esclude l'aggravante dei futili motivi.

Avvocato penalista - Nel reato di Maltrattamenti contro familiari o conviventi, Articolo 572 del Codice Penale, la gelosia esclude l'aggravante dei futili motivi.
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Avvocato penalista - Nel reato di Maltrattamenti contro familiari o conviventi, Articolo 572 del Codice Penale, la gelosia esclude l'aggravante dei futili motivi.
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"" Maltrattamenti in famiglia: la gelosia esclude i futili motivi.

La Cassazione accogliendo il ricorso di un cittadino straniero, inizialmente condannato a 2 anni e sei mesi dopo la derubricazione del tentato omicidio in maltrattamenti in famiglia, stabilendo che “la configurabilità della circostanza aggravante dei futili motivi di cui all’art. 61, n. 1, c.p. ricorre quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale”.

Per la Cassazione la corte territoriale non ha preso in considerazione alcuni principi fondamentali relativi a caso e, in particolare, i giudici di Piazza Cavour hanno osservato nella sentenza n. 28111/2012 che il giudizio sulla futilità del motivo debba essere ricondotto agli elementi concreti del caso, considerando le connotazioni culturali del soggetto giudicato, il contesto sociale, il particolare momento in cui il fatto si è verificato e i fattori ambientali che possono avere condizionato la condotta criminosa. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/maltrattamenti-in-famiglia-la-gelosia-esclude-i-futili-motivi/
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Avvocato penalista - Nel reato di Maltrattamenti contro familiari o conviventi, Articolo 572 del Codice Penale, la gelosia esclude l'aggravante dei futili motivi.
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lunedì 14 settembre 2015

Avvocato penalista - La rapina, Art. 628 del Codice Penale, è aggravata se c'è il travisamento.

Avvocato penalista - La rapina, Art. 628 del Codice Penale, è aggravata se c'è il travisamento.
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Avvocato penalista - La rapina, Art. 628 del Codice Penale, è aggravata se c'è il travisamento.
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"" Cassazione: cappellino e visiera aggravano il reato di rapina.

Trattando il caso di un uomo condannato per rapina aggravata, la Cassazione, rigettando il ricorso proposto dall’imputato, ha stabilito che per il reato di cui sopra costituisce aggravante indossare un cappellino con visiera per non essere riconosciuto.

Infatti, con la sentenza n. 26599 del 9 luglio scorso, i giudici hanno deciso che tale elemento è sufficiente per configurare l’aggravante del travisamento”.

Per la Corte “anche una lieve alterazione dell’aspetto della persona, conseguita con qualsiasi mezzo anche rudimentale, purché idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona stessa, può integrare l’aggravante del travisamento”.

Nel caso di specie “è stata rilevata l’utilizzazione da parte dell’imputato di un cappellino con visiera, giudicato idoneo al travisamento con valutazione di fatto scevra da vizi logici e non ulteriormente valutabili, come tale, in questa sede di legittimità”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-cappellino-e-visiera-aggravano-il-reato-di-rapina/
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Avvocato penalista - La rapina, Art. 628 del Codice Penale, è aggravata se c'è il travisamento.
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domenica 13 settembre 2015

Avvocato penalista - Il Furto in un Oratorio non è aggravato, poiché l'Oratorio non è un luogo di culto, né un luogo esposto alla pubblica fede o reverenza.

Avvocato penalista - Il Furto in un Oratorio non è aggravato, poiché l'Oratorio non è un luogo di culto, né un luogo esposto alla pubblica fede o reverenza.
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Avvocato penalista - Il Furto in un Oratorio non è aggravato, poiché l'Oratorio non è un luogo di culto, né un luogo esposto alla pubblica fede o reverenza.
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"" Furto in Oratorio: la Cassazione esclude l’aggravante perché non si tratta di un “luogo di culto.”

La Cassazione ha annullato la condanna per furto aggravato ad un 43enne colpevole di aver sottratto una serie di oggetti dall’oratorio Madonna del Rosario di Pavullo.

Inizialmente il Tribunale aveva deciso di condannare l’uomo con l’aggravante per la sottrazione di cose in luoghi «esposti alla pubblica fede» ma la Cassazione ha mitigato la condanna evidenziando che “deve escludersi che le cose custodite in oratorio siano destinate alla reverenza da parte dei fedeli: infatti, deve ritenersi che siano destinate a pubblica reverenza solo le cose assolutamente rispettate dalla generalità dei consociati, in quanto espressione del sentimento religioso o di elevati ideali civili, per cui non è sufficiente che la cosa si trovi in un luogo destinato alla pubblica reverenza, ma deve avere essa stessa una funzione di culto o di devozione”.

Con la sentenza n. 29820/12 la Corte ha accolto il ricorso dell’uomo (inizialmente condannato a sei mesi di carcere e al pagamento della multa di €. 300,00) ed ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché «l’azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per mancanza di querela.

Per la Corte l’edificio in questione non può essere considerato uno stabilimento pubblico, dal momento che la stessa sentenza riconosce che si trattava di un oratorio privato, che abitualmente non era aperto al pubblico.

Inoltre, non erano stati rubati oggetti votivi, ma un «confessionale, una ginocchiera, una nicchia in legno e due ampolle in vetro, cose che non hanno proprio una funzione di culto trattandosi di oggetti soltanto strumentali all’esercizio del culto». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/furto-in-oratorio-la-cassazione-esclude-laggravante-perche-non-si-tratta-di-un-luogo-di-culto/
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Avvocato penalista - Il Furto in un Oratorio non è aggravato, poiché l'Oratorio non è un luogo di culto, né un luogo esposto alla pubblica fede o reverenza.
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sabato 12 settembre 2015

Avvocato penalista - Commette Diffamazione a mezzo stampa chi offende la reputazione altrui, anche se l'offeso, sebbene non menzionato, può essere individuato o individuabile.

Avvocato penalista - Commette Diffamazione a mezzo stampa chi offende la reputazione altrui, anche se l'offeso, sebbene non menzionato, può essere individuato o individuabile.
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Avvocato penalista - Commette Diffamazione a mezzo stampa chi offende la reputazione altrui, anche se l'offeso, sebbene non menzionato, può essere individuato o individuabile.
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"" Diffamazione a mezzo stampa se l’offeso (non menzionato) può essere individuato.

La Cassazione, trattando un caso relativo ad una denuncia per diffamazione sporta nei confronti di un direttore di giornale, ha stabilito che “ai fini dell’individuabilità dell’offeso, non occorre che l’offensore ne indichi espressamente il nome, ma è sufficiente che l’offeso possa venire individuato per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto l’offeso venga individuato da un ristretto numero di persone”.

L’articolo che ha generato la sentenza n. 30369 del 24 luglio scorso, si riferiva ad una relazione omosessuale tra due soci anche se non vi era riportato esplicitamente il nome della persona a cui si riferiva anche se veniva menzionato il negozio gestito dall’interessato e la zona di riferimento.

Anche se la storia poi è risultata veritiera il ricorrente si è sentito offeso nella sua reputazione e, per questo motivo, ha messo in moto l’azione giudiziaria.

La Corte ha osservato che il fatto che l’omosessualità per alcuni non è più una condizione celare e negare, non giustifica né autorizza il giornalista a pubblicare notizie che in ambienti meno “aperti” potrebbero portare disonore.

Per la Corte, che ha dato ragione al ricorrente, il giudice di merito ha erroneamente applicato la legge penale escludendo il nesso causale tra la condotta e l’evento (diffamazione) ritenendo che terze persone non potessero identificare il soggetto. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/diffamazione-a-mezzo-stampa-se-loffeso-non-menzionato-puo-essere-individuato/
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Avvocato penalista - Commette Diffamazione a mezzo stampa chi offende la reputazione altrui, anche se l'offeso, sebbene non menzionato, può essere individuato o individuabile.
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venerdì 11 settembre 2015

Avvocato penalista - La Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, Articolo 336 del Codice Penale, non si configura se la violenza o la minaccia non precedono e non incidono sulla volontà del pubblico ufficiale.

Avvocato penalista - La Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, Articolo 336 del Codice Penale, non si configura se la violenza o la minaccia non precedono e non incidono sulla volontà del pubblico ufficiale.
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Avvocato penalista - La Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, Articolo 336 del Codice Penale, non si configura se la violenza o la minaccia non precedono e non incidono sulla volontà del pubblico ufficiale. 
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"" Minaccia a pubblico ufficiale, i chiarimenti della Cassazione.

Minaccia a pubblico ufficiale, i chiarimenti della Cassazione.

Corte di Cassazione –  Sentenza n. 28701 del 17 luglio.

La suprema corte di cassazione con una recente sentenza ha chiarito alcuni aspetti importanti relativi all’ipotesi di reato prevista dal codice di cui all’art. 336 c.p.

In particolare, la cassazione ha stabilito che si configura il reato di minacce rivolte ad un pubblico ufficiale soltanto nel caso in cui le violenze o le minacce siano tali da poter costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri ovvero ad omettere un atto d’ufficio.

Per la corte la minaccia (o violenza) deve sempre precedere il compimento dell’atto e il reato non si configurerà se questi elementi non incideranno sulla determinazione del pubblico ufficiale.

La corte nell’emettere la sentenza n. 28701 del 17 luglio, ha sottolineato la differenza esistente tra la condotta minacciosa e/o violenta che può essere tenuta da un individuo e che può concretamente configurare il reato di cui sopra con la diversa situazione che può originarsi da un comportamento volgare ed ingiurioso che rappresenta il tipico atteggiamento usato quando l’atto è già in parte compiuto.

Quest’ultimo caso, per la corte non integra il reato di cui al 336 c.p. ma “quello di oltraggio non più previsto dalla legge come reato, perché abrogato dall’art.18 delle legge n.205 del 1999“.

Nelle motivazioni della sentenza si legge che “per la configurabilità del delitto previsto dall’art. 336 e. p., la violenza o la minaccia deve essere diretta a costringere il pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio e devono precedere il compimento dell’atto.

La condotta realizzata dai due giovani, per come emerge dalla sentenza impugnata, appare all’evidenza espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento parolaio e genericamente minaccioso e usata a causa dell’atto già in parte compiuto, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività che in realtà ebbe a concludersi con il sequestro da parte del agente di polizia municipale“.

“Allorché il comportamento di aggressione all’incolumità fisica del pubblico ufficiale non sia diretta a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione a incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio, la condotta violenta non integra il delitto di cui all’art. 336 c.p., ma – una volta abrogato il delitto di oltraggio di cui all’art. 341 c.p. – i più generali reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/minaccia-a-pubblico-ufficiale-i-chiarimenti-della-cassazione-sulla-configurabilita-del-reato/
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Avvocato penalista - La Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, Articolo 336 del Codice Penale, non si configura se la violenza o la minaccia non precedono e non incidono sulla volontà del pubblico ufficiale. 
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giovedì 10 settembre 2015

Avvocato penalista - Gli agenti penitenziari che maltrattano i detenuti diventano detenuti.

Avvocato penalista - Gli agenti penitenziari che maltrattano i detenuti diventano detenuti.
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Avvocato penalista - Gli agenti penitenziari che maltrattano i detenuti diventano detenuti.
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"" Cassazione condanna gli agenti penitenziari che maltrattavano i detenuti.

La Cassazione ha esaminato il caso di due detenuti che da qualche tempo subivano ripetute violenze da parte di alcuni agenti penitenziari del Carcere di Asti.

La Corte, nel valutare la questione, si è espressa stabilendo che il caso in oggetto configura a tutti gli effetti il reato di maltrattamento.

Gli agenti sottoponevano le loro vittime a continui trattamenti a base di calci e schiaffi e non esitavano neppure di lasciare i detenuti malmenati nudi all’interno di celle prive di finestre, materassi, lavandini, sedie o sgabelli.

Il Tribunale che interpellato prima che si pronunciasse la Suprema Corte aveva affermato che, «se l’Italia non avesse omesso di dare attuazione alla Convezione Onu sulla tortura», era questo il reato da applicare nei confronti degli agenti che hanno praticato gli abusi di cui sopra (che di fatti erano più di due ma gli altri sono rimasi non identificati).

La Cassazione ha stabilito che “la realizzazione di una pluralità di condotte violente, vessatorie, umilianti e degradanti da parte di appartenenti alla polizia penitenziaria ai danni dei detenuti integra il reato di maltrattamenti tutte le volte che le condotte realizzate sono espressione di una pratica reiterata e sistematica”.

Purtroppo però non ci sarà la riapertura del processo in quanto anche nei confronti del reato di maltrattamenti è sopraggiunta la prescrizione. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-condanna-gli-agenti-penitenziari-che-maltrattavano-i-detenuti/
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Avvocato penalista - Gli agenti penitenziari che maltrattano i detenuti diventano detenuti.
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mercoledì 9 settembre 2015

Avvocato penalista - Merita la cancellazione dall’Albo l’avvocato che si rende evasore.

Avvocato penalista - Merita la cancellazione dall’Albo l’avvocato che si rende evasore.
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Avvocato penalista - Merita la cancellazione dall’Albo l’avvocato che si rende evasore.
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"" Cassazione: cancellazione dall’Albo per l’avvocato evasore.

La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un avvocato avverso la decisione presa dal Consiglio Nazionale Forense che riduceva la sanzione della radiazione dall’Albo inflitta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma alla semplice cancelazione ritenendo il professionista responsabile per aver intestato ai propri congiunti assegni dei clienti ma anche di aversi fatto rilasciare da questi, firme su fogli in bianco senza alcuna intestazione etc., oltre che per aversi fatto rilasciare ingenti somme di danaro per l’importo complessivo di circa 4 milioni di euro senza rilasciare le relative fatture.

La Cassazione con sentenza n. 13791 del 1° agosto 2012, ha deciso che “il potere di applicare la sanzione, adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari; pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all’incolpato dal Consiglio nazionale forense non è censurabile in sede di giudizio di legittimità”, inoltre ha precisato che la sanzione applicata è stata correttamente motivata dal CNF che ha sottolineato “la gravità del comportamento tenuto dall’incolpata, avuto riguardo anche alla intenzione, manifestata dal legale con l’accettazione della lettera di incarico, di porre in essere una continuata evasione fiscale, come risulta anche dalla richiesta del cliente, contenuta nella predetta lettera, di non effettuare la fatturazione sulle somme spettanti al legale: richiesta che, come correttamente avvertito dal C.N.F., non poteva costituire una circostanza attenuante della responsabilità dell’avvocato.” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-cancellazione-dallalbo-per-lavvocato-evasore/
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Avvocato penalista - Merita la cancellazione dall’Albo l’avvocato che si rende evasore.
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