http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: maggio 2015

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domenica 31 maggio 2015

Avvocato penalista - E' «penalmente irrilevante» il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti.

Avvocato penalista - E' «penalmente irrilevante» il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti.
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Avvocato penalista - E' «penalmente irrilevante» il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti.
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"" Sezioni Unite, l’uso di gruppo è penalmente irrilevante

Sezioni Unite, l’uso di gruppo è penalmente irrilevante

La Cassazione chiarisce una volta per tutte la Legge Fini-Giovanardi e dichiara “penalmente irrilevante” il consumo di gruppo di stupefacenti sia in caso di “mandato all’acquisto”, sia in caso di “acquisto comune”.

E’ dovuta intervenire la Cassazione a sezioni unite per fare chiarezza sull’argomento al fine di stabilire un’unica linea interpretativa della suddetta legge e per evitare che giudizi differenti per la medesima situazione.

Gli ermellini hanno risolto il contrasto giurisprudenziale che andava avanti da tempo grazie al ricorso presentato su una sentenza del GUP di Avellino anche se per le motivazioni bisognerà attendere ancora un mesetto.

Più nello specifico, la Corte ha analizzato il fatto che con l’introduzione della Legge Fini-Giovanardi il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti fosse o meno «penalmente rilevante nella duplice ipotesi di mandato all’acquisto o dell’acquisto comune».

Secondo i Supremi Giudici è «penalmente irrilevante» il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti sia nell’ipotesi di «mandato all’acquisto» sia in quella del «acquisto comune» e, in questo modo ha rigettato il ricorso presentato dalla parte civile avverso una sentenza del gup di Avellino, che aveva dichiarato il 28 giugno 2011 il “non luogo a procedere” nei confronti di un uomo «perché il fatto non sussiste».

Il contrasto con la giurisprudenza del passato perchè prima della Fini-Giovanardi (2006) la Cassazione aveva sempre ritenuto penalmente irrilevante l’uso di gruppo anche se recentemente sull’argomento non erano mancate delle decisioni più severe che inquadravano la vicenda come una fattispecie di reato.

Questa decisione ha ridato credito alle interpretazioni adottare in passato. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-luso-di-gruppo-non-e-reato/
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Avvocato penalista - E' «penalmente irrilevante» il consumo di gruppo di sostanze stupefacenti.
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sabato 30 maggio 2015

Avvocato penalista - Chi è stato illegittimamente danneggiato a causa di una espropriazione per pubblica utilità ha tempo 5 anni per agire prima dell’intervento della prescrizione.

Avvocato penalista - Chi è stato illegittimamente danneggiato a causa di una espropriazione per pubblica utilità ha tempo 5 anni per agire prima dell’intervento della prescrizione.
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Avvocato penalista - Chi è stato illegittimamente danneggiato a causa di una espropriazione per pubblica utilità ha tempo 5 anni per agire prima dell’intervento della prescrizione.
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"" Danni per espropriazione illegittima e gli atti interruttivi della prescrizione

Danni per espropriazione illegittima e gli atti interruttivi della prescrizione

Corte di Cassazione – Sentenza n.923 del 16 Gennaio 2013

La Suprema Corte di Cassazione, ha trattato un caso relativo molto interessante che tratta di indennità, prescrizioni e limiti riguardo all’espropriazione per pubblica utilità.

Chi è stato illegittimamente danneggiato a causa di una espropriazione per pubblica utilità ha tempo 5 anni per agire prima dell’intervento della prescrizione.

Con la sentenza n. 923 del 16 gennaio 2013 la Corte ha stabilito il principio secondo cui l’offerta di una indennità di esproprio da parte dell’Ente espropriante interrompe la prescrizione per il risarcimento del danno da parte del proprietario del fondo espropriato.

La provincia di Benevento, condannata in primo e secondo grado, ha presentato ricorso in Cassazione avverso la decisione presa dai Giudici Territoriali che stabiliva il pagamento in favore del proprietario di un fondo che, nel 1979 (ma ritenuta perfezionata dal Tribunale dal 6 maggio 1981), era stato illegittimamente occupato per costruirvi una strada.

Nell’agosto del 1985 la Provincia notificava al proprietario del fondo una offerta di indennità di esproprio e proprio questa offerta era stata ritenuta nella fase di merito come un evento interruttivo del decorso dei cinque anni utili per prescrizione dell’azione di risarcimento del danno da occupazione illegittima.

La Provincia di Benevento proponeva ricorso avverso queste decisioni ma questo veniva rigettato perchè ritenuto infondato. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/danni-per-espropriazione-illegittima-e-gli-atti-interruttivi-della-prescrizione/
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Avvocato penalista - Chi è stato illegittimamente danneggiato a causa di una espropriazione per pubblica utilità ha tempo 5 anni per agire prima dell’intervento della prescrizione.
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venerdì 29 maggio 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di Ingiuria, Art. 594 c. p., offendere oltremodo una donna.

Avvocato penalista - Integra il reato di Ingiuria, Art. 594 c. p., offendere oltremodo una donna. 
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Avvocato penalista - Integra il reato di Ingiuria, Art. 594 c. p., offendere oltremodo una donna.  
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"" Offendere una donna potrebbe costar caro, parola di Cassazione
 
Offendere una donna potrebbe costar caro, parola di Cassazione
 
Corte di Cassazione – Quinta Sezione Penale
 
Sono gravi le offese rivolte alle donne. Non si parla soltanto di educazione e cavalleria ma è la Cassazione a bacchettare gli uomini.
 
Con la sentenza oggetto d’esame la Corte sottolinea la gravità delle offese rivolte alle donne soprattutto per il fatto che “Ogni volta che si deve offendere una donna è immancabile il riferimento ai presunti comportamenti sessuali della stessa; qualunque sia il ceto sociale di appartenenza, qualunque sia il grado di istruzione, qualunque sia la natura della discussione l’uomo di norma non accusa la sua avversaria donna di dire il falso ma di “essere una pu… o una zo…, con ciò non solo offendendo gravemente la reputazione della donna ma cercando di porla in una condizione di marginalità e minorità”.
 
Sulla base di queste osservazioni gli ermellini della V sezione penale hanno confermato la condanna per ingiuria ad un uomo, colpevole per aver detto ad una collega di lavoro una frase forse troppo forte (“sei una zo…”).
 
I Giudici del Palazzaccio non hanno preso in considerazione la “scusante” avanzata dall’uomo che tra i motivi del ricorso rappresentava che quella frase era venuta fuori durante un diverbio molto acceso tra i due dove addirittura la donna lo aveva accusato di aver “brigato” per ottenere un incarico dal direttore e, pertanto, invocava la “reciprocità” nelle offese chiedendo l’annullamento della decisione presa dai giudici di merito.
 
Niente da fare dunque, i Supremi Giudici hanno respinto il ricorso dell’uomo ritenendo “davvero singolare che un uomo, che si presume di cultura, non si renda conto della gravità di un tale comportamento e invochi la reciprocità delle offese” e sottolineando la “evidente sperequazione” tra quanto aveva detto la donna e quanto invece detto dall’imputato.
 
Nella sentenza si legge che “sovente tra colleghi nascono discussioni, anche aspre e concitate per motivi di lavoro” e accade che per sostenere “le proprie ragioni” spesso “si faccia ricorso anche a ironie e perfino ad accuse di scarsa attenzione, di impreparazione, di eccessiva vicinanza al capo dell’ufficio e simili, che non possono rientrare però nella categoria del fatto ingiusto che legittima l’uso di frasi pesantemente volgari e offensive”.
 
Tuttavia, le parole pronunciate dalla donna, a parer di Giudici, sono “ricorrenti all’esito di concorsi: chi è escluso ritiene, quasi sempre che ciò sia avvenuto ingiustamente e grazie alle ‘manovre piu o meno lecite’ del concorrente vincitore”, ma “insinuare che si siano adottati tali comportamenti, non costituisce una grave provocazione che può legittimare la reazione offensiva perché si tratta di considerazioni e valutazioni che non sono contrarie al vivere civile”.
 
Con queste motivazioni la Cassazione ha convalidato la condanna emessa nei confronti dell’uomo nella precedente fase di giudizio (Giudice di Pace e Tribunale di Messina) condannando l’imputato a risarcire i danni alla collega e pagare le spese processuali. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - Integra il reato di Ingiuria, Art. 594 c. p., offendere oltremodo una donna.  
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giovedì 28 maggio 2015

Avvocato penalista - L'errore medico non è penalmente punibile solo se la colpa è lieve.

Avvocato penalista - L'errore medico non è penalmente punibile solo se la colpa è lieve.
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Avvocato penalista - L'errore medico non è penalmente punibile solo se la colpa è lieve.
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"" Errore medico, la Cassazione depenalizza la colpa lieve

Errore medico, la Cassazione depenalizza la colpa lieve

Corte di Cassazione IV Sezione Penale

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui non ha più rilevanza penale la condotta medica connotata da colpa lieve collocata «all’interno dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica».

Questa è stata la decisione presa dalla IV sezione penale della Cassazione che era stata incaricata di risolvere la questione se l’articolo 3 della legge 189 dell’8 novembre 2012 (la legge Balduzzi o Decreto Sanità) abbia determinato la parziale abrogazione delle fattispecie colpose «commesse dagli esercenti le professioni sanitarie».

Gli ermellini, in base a quest principio, hanno annullato la sentenza di condanna che era stata emessa nei confronti di un chirurgo che, mentre eseguiva un intervento di ernia al disco, provocava una emorragia al paziente provocandone la morte.

Il medico per salvarsi dalla condanna per omicidio colposo porta la questione innanzi alla Corte di Piazza Cavour che, analizzando il caso, ha escluso la rilevanza penale per colpa del clinico.

I giudici di legittimità, nel rispetto del principio del “favor rei”, hanno deciso che non sussiste alcuna una rilevanza penale del comportamento del professionista e, quindi hanno provveduto a cassare la decisione presa nel corso della fase di merito.

Secondo la Cassazione, poichè l’intervento è stato eseguito nel rispetto “dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica”, il chirurgo non è punibile penalmente.

In poche parole, quello che emerge dalla sentenza è che il medico che segue alla lettera le linee guida di riferimento disposte dalla comunità sciantifica per quel determinato intervento, nel caso in cui quest’ultimo vada male, non ne rispondà penalmente.

Lo scopo di questa Legge è quello di permettere ai medici di operare in tranquillità senza pensare a cosa potrebbe accadere nel caso in cui l’operazione andasse male.

Resta immutato comunque il diritto ad ottenere il risarcimento in sede civile. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/errore-medico-la-cassazione-depenalizza-la-colpa-lieve/
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Avvocato penalista - L'errore medico non è penalmente punibile solo se la colpa è lieve.
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mercoledì 27 maggio 2015

Avvocato penalista - In tema di detenzione di stupefacenti la Cassazione sceglie la linea dura.

Avvocato penalista - In tema di detenzione di stupefacenti la Cassazione sceglie la linea dura.
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Avvocato penalista - In tema di detenzione di stupefacenti la Cassazione sceglie la linea dura.
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"" Cassazione, linea dura in tema di detenzione stupefacenti

Cassazione, linea dura in tema di detenzione stupefacenti

Corte di Cassazione – Sentenza n. 4560 del 30 gennaio 2013

La Corte di Cassazione non smette mai di stupirci.

Qualche giorno fa sul web la notizia più cliccata riguardava una decisione presa in materia di uso di gruppo di sostanze stupefacenti e, ciò che in particolare suscitava l’interesse dei lettori stava proprio nel fatto che le Sezioni Unite si erano espresse affermando la cosa come penalmente irrilevante.

Ancora non sono state depositate le motivazioni della succitata sentenza e già vi è un cambiamento di rotta almeno riguardo alla linea da seguire in materia.

Infatti, con la sentenza n. 4560 del 30 gennaio 2013 i supremi giudici hanno accolto il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica contro avverso il provvedimento con cui nei confronti di una donna era stato pronunciato il “non luogo a procedere” per aver ceduto al proprio compagno di uno spinello di hashish.

Cosa ha spinto i giudici a prendere questa decisione?

Ecco la spiegazione «In tema di detenzione stupefacenti ci sono due opposte opzioni interpretative, l’una delle quali ritiene certamente punibile l’uso di gruppo anche dopo le modifiche normative che hanno fatto riferimento all’uso esclusivamente personale, l’altra che afferma che l’innovazione lessicale ha determinato il venire meno della punibilità dell’uso comunitario, sia nella forma del mandato all’acquisto in comune, riconducendosi entrambi le fattispecie all’uso di gruppo e quindi all’uso personale.

Anche ad accedere a quest’ultima tesi occorre pur sempre che l’acquirente mandatario, il quale opera materialmente (o conclude) le trattative di acquisto, sia anche lui uno degli assuntori; che sia certa sin dall’inizio l’identità dei componenti del gruppo, nonché manifesta la comune e condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale e si sia del pari raggiunta un’intesa in ordine al luogo ed ai tempi del relativo consumo; che gli effetti dell’acquisizione traslino direttamente in capo agli interessati, senza passaggi mediati». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

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Avvocato penalista - In tema di detenzione di stupefacenti la Cassazione sceglie la linea dura.
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martedì 26 maggio 2015

Avvocato penalista - E' legittimo il licenziamento del dipendente che ruba ai colleghi, poiché incrina il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore.

Avvocato penalista - E' legittimo il licenziamento del dipendente che ruba ai colleghi, poiché incrina il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore.
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Avvocato penalista - E' legittimo il licenziamento del dipendente che ruba ai colleghi, poiché incrina il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore.
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"" Legittimo il licenziamento del dipendente che ruba ai colleghi
 
Legittimo il licenziamento del dipendente che ruba ai colleghi
 
Corte di Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza 1814/2013
 
La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione recentemente trattato il caso di un uomo licenziato per aver sottratto uno zainetto ad un proprio collega.
 
In poche parole, è stato lo stesso datore di lavoro a fare giustizia sanzionando e punendo il responsabile, costretto a rivolgersi ai Giudici di Piazza Cavour per cercare di mantenere il proprio impiego.
 
Più nello specifico, l’uomo veniva licenziato dalla Società di Forlì per cui lavorava nell’agosto del 2006 per motivi disciplinari.
 
Sono state del tutto inutili le giustificazioni che l’uomo ha cercato di dare anche in sede di legittimità.

Questo sosteneva di non aver sottratto lo zainetto al collega perchè questo era stato abbandonato.
 
In pratica, secondo il proprio modo di vedere le cose non si trattata di furto ma di una semplice appropriazione indebita di oggetti smarriti.
 
La Cassazione, con la sentenza 1814/2013 ha rigettato il ricorso presentato dal lavoratore convalidando quanto era stato deciso dalla Corte di Appello di Bologna nel gennaio del 2010, ovvero confermando il licenziamento del dipendente proprio sulla base del fatto che quest’ultimo, dopo ili furto, aveva tentato di “impedire il pieno accertamento dei fatti e delle sue responsabilità”.
 
I giudici hanno ricordato che “ai fini della valutazione di proporzionalità ” dell’espulsione ” non appare decisiva l’assenza di danno patrimoniale per la società” perchè in un caso come questo appena trattato, al di là del valore del bene sottratto, è l’atto della sottrazione in sé che “incrina il rapporto di fiducia” tra lavoratore e azienda.
 
Questa situazione fa venir meno la fiducia dell’azienda nei confronti del dipendente e, pertanto, anche questo episodio è in grado di legittimare l’applicazione della massima sanzione prevista nei confronti del lavoratore.
 
Più nello specifico i giudici chiariscono come vi sia “giusta causa di licenziamento si deve tenere conto dell’incidenza del fatto sul particolare rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro e il lavoratore, delle esigenze poste dall’organizzazione produttiva e delle finalita’ delle regole di disciplina postulate da questa organizzazione”.
 
Pertanto, “un fatto costituente reato contro il patrimonio, ancorche’ determinato da un danno patrimoniale di speciale tenuità, alla stregua della legge penale, può essere considerato di notevole gravità nel diverso ambito del rapporto di lavoro, tenuto conto della natura del fatto, della sua sintomaticità e delle finalità della regola violata”. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - E' legittimo il licenziamento del dipendente che ruba ai colleghi, poiché incrina il rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore.
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lunedì 25 maggio 2015

Avvocato penalista - Il condominio e l'impresa non rispondono del furto in appartamento, solo quando abbiano adottato tutte le misure necessarie per evitarlo.

Avvocato penalista - Il condominio e l'impresa non rispondono del furto in appartamento, solo quando abbiano adottato tutte le misure necessarie per evitarlo.
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Avvocato penalista - Il condominio e l'impresa non rispondono del furto in appartamento, solo quando abbiano adottato tutte le misure necessarie per evitarlo.
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"" Cassazione, il condominio non risponde del furto agevolato dai ponteggi

Quando il condominio non risponde del furto agevolato dai ponteggi, lo spiega la Cassazione

Corte di Cassazione Terza Sezione Civile – Sentenza 1890/2013

In materia condominiale la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha preso un’importante decisione riguardo alla responsabilità del condominio e delle imprese in caso di furto in appartamento.

Con la sentenza n. 1890/2013 la corte non parla solo del furto in appartamento agevolato dai ponteggi per i lavori in corso ma ne approfitta anche per risolvere alcune questioni di rito per avanzare il ricorso innanzi alla massima corte.

Il ricorrente aveva dato via all’azione giudiziaria per vedere riconosciuta la responsabilità del condominio e dell’impresa.

In primo grado, il Tribunale di Milano, aveva accolto i motivi del ricorrente ma la sentenza, a seguito dell’impugnazione da parte del condominio, era stata riformata in Appello accogliendo i motivi degli appellanti.

Quest’ultima decisione ha aperto la strada per la Cassazione ma anche in questa sede la domanda del ricorrente è stata respinta poichè, al di là del fatto che condominio e impresa, avevano adottato tutte le misure necessarie per evitare i furti, vi era anche una delibera condominiale in cui l’assemblea (compreso anche il ricorrente) avevano rinunciato all’installazione di un sistema di allarme sul ponteggio, a causa dell’elevato costo.

Nella fase di merito, è emerso che l’impresa aveva sollecitato l’installazione del sistema di allarme proprio per evitare situazioni di furto negli appartamenti e che la decisione presa nel corso dell’assemblea (di rinunciare al sistema di allarme) era stata del tutto condivisa dal ricorrente non avendo manifestato nessuna contrarietà a riguardo.

Inoltre, i Giudici della Corte sottolineano anche il fatto che i preziosi che sono stati rubati nell’appartamento del ricorrente, anche se erano di grande valore, erano mal custoditi visto che erano contenuti dentro una semplice scatola posta all’interno dell’armadio e non invece dentro una cassaforte.

Infine, la Corte ha anche riscontrato dei vizi nell’introduzione del ricorso poichè nello stesso non solo non sono state indicate le norme che, a parer del ricorrente, sarebbero state violate ma anche i motivi di censura della motivazione della sentenza di secondo grado appaiono non ben precisati.

La Corte ricorda infatti che la legge richiama una serie di motivi di critica verso la motivazione, ma questi, alternativi tra loro, non possono essere richiamati tutti in contemporanea lasciando poi al giudice la discrezione nello scegliere il vizio.

I vizi previsti sono “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”, ma come ribadiscono gli ermellini, questi possono essere richiamati in uno stesso giudizio solo se si riferiscono a proposizioni diverse della stessa sentenza, ma non possono essere utilizzati in relazione alla stessa situazione poichè si cadrebbe in contraddizione in quanto un’omessa motivazione è in contrasto con un’ insufficiente o contraddittoria motivazione. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/quando-il-condominio-non-risponde-del-furto-agevolato-dai-ponteggi-lo-spiega-la-cassazione/
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Avvocato penalista - Il condominio e l'impresa non rispondono del furto in appartamento, solo quando abbiano adottato tutte le misure necessarie per evitarlo.
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domenica 24 maggio 2015

Avvocato penalista - I rapporti sessuali atipici tra marito e moglie non sono causa di annullamento del matrimonio dinanzi al giudice ordinario civile.

Avvocato penalista - I rapporti sessuali atipici tra marito e moglie non sono causa di annullamento del matrimonio dinanzi al giudice ordinario civile.
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Avvocato penalista - I rapporti sessuali atipici tra marito e moglie non sono causa di annullamento del matrimonio dinanzi al giudice ordinario civile.
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"" Cassazione, imporre “rapporti innaturali” non cancella il matrimonio

Cassazione, imporre “rapporti innaturali” non cancella il matrimonio

Corte di Cassazione – Sentenza n. 3407/2013

I rapporti sessuali atipici tra marito e moglie non sono causa di annullamento del matrimonio.

La Corte di cassazione, trattando il caso di una donna stanca delle richieste sessuali del marito ha precisato che queste situazioni possono essere oggetto di una causa di separazione al fine di addebitare al partner la fine del rapporto coniugale oppure possono portare la donna a denunciare per lesioni il marito ma certamente non possono essere considerati elementi utili per annullare il matrimonio innanzi al giudice civile.

Secondo gli ermellini dunque la donna ha tutto il diritto di chiedere la separazione con addebito al marito «per la insostenibilità del vincolo coniugale» o agire penalmente nei suoi confronti a causa di questo suo «comportamento lesivo della dignità, della integrità fisica e della libertà di autodeterminazione del proprio partner» ma non può chiedere, per questa vicenda, la cancellazione delle “infelici” nozze.
   
La Corte di cassazione con la sentenza n. 3407/2013, condividendo la decisione presa dalla Corte d’Appello di Ascoli Piceno, ha rigettato il ricorso presentato dalla donna in quanto un simile orientamento sessuale del marito non è di «impedimento» alla «vita sessuale compartecipata da parte dei due coniugi».

Sul punto la Corte precisa infatti che i casi di annullamento sono tassativi e legati a fattori «insuperabili», come il «transessualismo» del coniuge o la sua totale impotenza, non bastando l’infertilità, ostacolo superabile con l’inseminazione artificiale.

I giudici della Cassazione inoltre sottolineano il fatto che le norme sulle cause di annullamento si limitano «a prendere in esame e a dare rilevanza alle ipotesi in cui la qualità non conosciuta dell’altro coniuge venga a frapporsi come un impedimento oggettivo e ineludibile».

Secondo la Cassazione «l’impossibilita di pervenire a quell’accordo e rispetto reciproco che costituisce il presupposto di una vita sessuale condivisa non è circoscrivibile a tali ipotesi» e, pertanto, non può avere «alcuna rilevanza sotto il profilo della formazione del consenso».

Dalla fase di merito è emerso che i coniugi non avevano mai fatto sesso durante il periodo “prematrimoniale” e, pertanto, la fase del fidanzamento era andata bene e soltanto durante il periodo matrimoniale la donna aveva scoperto le preferenze sessuali dell’uomo che solo raramente praticava rapporti sessuali naturali. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-imporre-rapporti-innaturali-non-cancella-il-matrimonio/
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Avvocato penalista - I rapporti sessuali atipici tra marito e moglie non sono causa di annullamento del matrimonio dinanzi al giudice ordinario civile.
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sabato 23 maggio 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di occultamento della documentazione contabile nascondere le fatture di un'azienda per eludere la verifica fiscale.

Avvocato penalista - Integra il reato di occultamento della documentazione contabile nascondere le fatture di un'azienda per eludere la verifica fiscale.
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Avvocato penalista - Integra il reato di occultamento della documentazione contabile nascondere le fatture di un'azienda per eludere la verifica fiscale. 
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"" Cassazione, reato occultare le fatture dell’azienda

Cassazione, reato occultare le fatture dell’azienda

Corte di Cassazione Sentenza n. 5974 del 7 febbraio 2013

La Cassazione ha trattato il caso del titolare di una ditta che era stato accusato di aver volutamente occultato le fatture del decennio 1997-2006 col chiaro intento di evadere le imposte sul valore aggiunto.

La Corte, con la sentenza n. 5974/2013 tratta l’argomento relativo al reato di occultamento della documentazione contabile facendo emergere che il trascorrere del tempo non ha alcun valore ai fini della prescrizione del reato nel senso che quando gli organi verificatori chiedono di esaminare la suddetta documentazione, non c’è prescrizione che tenga se la documentazione non esiste.

Inizialmente il GIP aveva confermato la prescrizione del reato con riferimento agli anni che vanno da 1995 al 2005 ma in seguito i giudici di legittimità, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, hanno spiegato che “il reato di occultamento della documentazione contabile (art. 10 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n.74) consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione richiesta dagli organi verificatori, ha natura di reato permanente posto che la condotta di occultamento perdura sino al momento dell’accertamento fiscale.

Infatti il reato si manifesta nel momento dell’ispezione, cioè quando gli agenti chiedono di esaminare quella documentazione che l’imprenditore è tenuto a conservare ed esibire”.

In poche parole, con questa sentenza la Cassazione ha chiarito come deve avvenire “l’individuazione del dies a quo del decorso del termine di prescrizione” e, poiché l’ispezione della guardia di finanza era stata effettuata il 30 maggio 2006 da questa data deve essere computato il decorso del termine di prescrizione del reato commesso e contestato all’imputato.

In base a questo ragionamento il reato non risulta estinto per decorrenza dei termini di prescrizione proprio per il fatto che le scritture contabili e la relativa documentazione non mostrate si riferivano agli anni tra il 1995 ed il 2005.  ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-reato-occultare-le-fatture-dellazienda/
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Avvocato penalista - Integra il reato di occultamento della documentazione contabile nascondere le fatture di un'azienda per eludere la verifica fiscale. 
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venerdì 22 maggio 2015

Avvocato penalista - Anche chi si trova agli arresti domiciliari ha il diritto di lavorare per mantenere la famiglia, se questa non ha altri mezzi di sostentamento.

Avvocato penalista - Anche chi si trova agli arresti domiciliari ha il diritto di lavorare per mantenere la famiglia, se questa non ha altri mezzi di sostentamento.
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Avvocato penalista - Anche chi si trova agli arresti domiciliari ha il diritto di lavorare per mantenere la famiglia, se questa non ha altri mezzi di sostentamento.
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"" Cassazione, anche chi si trova agli arresti domiciliari ha il diritto di lavorare
 
Cassazione, anche chi si trova agli arresti domiciliari ha il diritto di lavorare
 
Corte di cassazione – Sentenza n. 1480/2013
 
La suprema corte di cassazione ha stabilito che un condannato, che sta scontando la pena agli arresti domiciliari, ha diritto di lavorare se la propria famiglia non ha altri mezzi di sostentamento.
 
Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 1480/2013 che ha annullato la decisione del Tribunale che aveva negato al ricorrente la possibilità di poter lasciare la propria abitazione (in cui si trovava agli arresti domiciliari) per potersi recare sul posto di lavoro.
 
Nella richiesta formulata dall’uomo vi era anche allegato un documento in cui il responsabile di un centro ortopedico si dichiarava disposto ad assumerlo ma per i giudici di merito non era stato provato l’assoluto stato di indigenza della famiglia e, pertanto, decidevano di negare il permesso richiesto anche sulla base del fatto che nella domanda non vi era indicato l’orario di lavoro che che il condannato avrebbe dovuto osservare.
 
L’uomo però è stato fortunato perchè la Cassazione ha ribaltato la decisione del Tribunale permettendogli di lavorare e mantenere la propria famiglia. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - Anche chi si trova agli arresti domiciliari ha il diritto di lavorare per mantenere la famiglia, se questa non ha altri mezzi di sostentamento.
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giovedì 21 maggio 2015

Avvocato penalista - Configura il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, e non di istigazione alla corruzione, il fatto di chi offra dieci euro a due agenti di polizia per evitare una multa.

Avvocato penalista - Configura il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, e non di istigazione alla corruzione, il fatto di chi offra dieci euro a due agenti di polizia per evitare una multa.
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Avvocato penalista - Configura il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, e non di istigazione alla corruzione, il fatto di chi offra dieci euro a due agenti di polizia per evitare una multa.
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"" Passa 10 Euro ai Vigili per evitare la multa ma per la Cassazione non c’è reato

Passa 10 Euro ai Vigili per evitare la multa ma per la Cassazione non c’è reato

Corte di Cassazione – Sesta Sezione Penale Sentenza n. 7505/2013

Una storia molto curiosa quella dell’uomo che, per evitare una multa, ha allungato agli Agenti della stradale una banconota da dieci euro.

Sembra una scena da film ma invece è tutto vero e ciò che sorprende ancora di più è la decisione presa dai giudici della Cassazione che, alla fine, hanno assolto l’uomo che era stato condannato nel merito per il reato di istigazione alla corruzione, “perchè il fatto non sussiste“.

Per la Corte, la cifra non è tale da corrompere gli agenti. Secondo quanto ha precisato la Sesta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 7505/2013 la somma che il 39 enne ha dato agli agenti era poco più che un ‘argent de poche‘, spiccioli di “palese irrisorietà” non tali da poter corrompere degli vigili, semmai solo oltraggiarli.

L’uomo, ha tentato di corrompere i due vigili mettendo una banconota da dieci euro dentro la carta di circolazione, dicendo loro ‘lassate stare e pigliatevi nu cafe’.

L’uomo è stato chiaramente denunciato e la vicenda è giunta fino in Tribunale.

L’automobilista è stato assolto in primo grado mentre la Corte d’appello di Napoli ha ritenuto che la condotta debba essere punita in base all’art. 322 c.p. perche’ la sua condotta era certamente volta ad evitare la contravvenzione.

L’uomo è stato quindi costretto a chiedere l’intervento dei Giudici di Piazza Cavour rappresentando loro che il gesto “incriminato” fatto da una persona “semplice” tutt’al piu’ poteva essere qualificato come “segno di disprezzo degli agenti“, giammai come istigazione alla corruzione.

La difesa dell’uomo ha raggiunto lo scopo desiderato e, infatti, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la decisione impugnata.

Secondo Piazza Cavour “l’esibizione di una somma di 10 euro, corrispondenti ad una utilità pari a 5 euro per ciascuno dei pubblici ufficiali operanti e destinatari dell’istigazione, al fine di poter fare loro omettere e quindi in concreto impedire – la preannunciata contravvenzione, per la sua palese irrisorietà, può semmai configurare il reato di oltraggio, per l’offesa all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale destinatario della dazione stessa“.

Dato che i fatti contestati però si sono verificati prima dell’entrata in vigore del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale (luglio 2009), l’uomo non avrà nessuna condanna. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/passa-10-euro-ai-vigili-per-evitare-la-multa-ma-per-la-cassazione-non-ce-reato/
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Avvocato penalista - Configura il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, e non di istigazione alla corruzione, il fatto di chi offra dieci euro a due agenti di polizia per evitare una multa.
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mercoledì 20 maggio 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di abbandono e non quello di maltrattamento di animali, il fatto di chi lasci per oltre cinque ore, ed a luglio, due cani in un veicolo sotto il sole, per andare a fare shopping.

Avvocato penalista - Integra il reato di abbandono e non quello di maltrattamento di animali, il fatto di chi lasci per oltre cinque ore, ed a luglio, due cani in un veicolo sotto il sole, per andare a fare shopping. 
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Avvocato penalista - Integra il reato di abbandono e non quello di maltrattamento di animali, il fatto di chi lasci per oltre cinque ore, ed a luglio, due cani in un veicolo sotto il sole, per andare a fare shopping.  
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"" Cani in macchina causa shopping, imputati condannati per abbandono di animali

Cani in macchina causa shopping, la Cassazione condanna gli imputati per abbandono di animali

Corte di Cassazione Terza Sezione Penale – Sentenza n. 5971 del 7 febbraio 2013

La Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione lo scorso 7 febbraio ha pronunciato una sentenza di condanna nei confronti di due persone perchè colpevoli di aver lasciato in auto due cagnolini (Yorkshire) per più di 5 ore sotto il sole di Luglio.

Secondo quanto è emerso nel corso del processo l’automobile era esposta al sole e dentro era stata lasciata una ciotola per l’acqua e i finestrini erano stati abbassati di qualche centimetro per permettere la circolazione dell’aria.

La sentenza n. 5971/2013 ha confermato che il reato di cui sono colpevoli gli imputati non è quello di maltrattamento ma quello abbandono.

Il Tribunale di Alessandria aveva deciso che gli imputati in concorso tra loro (art. 110 C.P.) erano colpevoli di avere messo in atto comportamenti sanzionati dall’art. 727 del Codice Penale.

Gli imputati si sono difesi facendo notare la mancanza dell’elemento soggettivo quale presupposto del reato in quanto gli stessi avevano cercato (abbassando il finestrino e lasciando la ciotola dell’acqua) di provvedere ai bisogni degli animali per quel periodo di tempo in cui sono stati lasciati dentro l’automobile.

Ma cosa ha spinto gli imputati a lasciare i cagnolini in macchina? Semplice, il Centro commerciale.

La corte ha tagliato corto rigettando il ricorso presentato dagli imputati e richiamando il concetto dei “doveri di custodia e cura”.

La terza sezione già aveva affrontato l’argomento con la Sentenza n. 44902 / 2012 e anche in questa occasione ha motivato la decisione parlando di un “comportamento che è assolutamente incompatibile con la natura dell’animale, potendo provocargli paura e sofferenza e che gli escrementi rinvenuti nell’auto potevano essere stati provocati dallo stato di ansia e paura”

Per i giudici della corte la vicenda rappresenta un chiaro comportamento omissivo che integra l’abbandono sanzionato dal secondo comma dell’art. 727 del Codice Penale.

La Corte nella sentenza ha inoltre messo in risalto la “negligenza” degli imputati, ovvero una condotta di natura colposa e pertanto punibile con il reato contravvenzione di cui all’art. 727 del Codice Penale.

In ogni caso, i giudici precisano che i comportamenti analizzati nel caso di specie rientrano in quelli del reato di abbandono e non in quello di maltrattamento, poichè lasciare oltre cinque ore, ed a luglio, due cani in un veicolo sotto il sole, non è maltrattamento ma semplice abbandono, ovvero un debole reato di contravvenzione. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cani-in-macchina-causa-shopping-la-cassazione-condanna-gli-imputati-per-abbandono-di-animali/
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Avvocato penalista - Integra il reato di abbandono e non quello di maltrattamento di animali, il fatto di chi lasci per oltre cinque ore, ed a luglio, due cani in un veicolo sotto il sole, per andare a fare shopping.  
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martedì 19 maggio 2015

Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia, Art. 572 c. p., chi, anche dopo la cessazione del rapporto di convivenza, violi i doveri di rispetto reciproco, di assistenza e di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale.

Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia, Art. 572 c. p., chi, anche dopo la cessazione del rapporto di convivenza, violi i doveri di rispetto reciproco, di assistenza e di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale.
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Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia, Art. 572 c. p., chi, anche dopo la cessazione del rapporto di convivenza, violi i doveri di rispetto reciproco, di assistenza e di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale.
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"" Anche se cessa la convivenza si può parlare di maltrattamenti in famiglia, lo dice la Cassazione

Anche se cessa la convivenza si può parlare di maltrattamenti in famiglia, lo dice la Cassazione

Corte di Cassazione, sentenza n. 7369 del 14 febbraio 2013

La Corte di Cassazione ha stabilito che “la cessazione del rapporto di convivenza, ad esempio, a seguito di separazione legale o di fatto, non influisce sulla sussistenza del reato di maltrattamenti, rimanendo integri, anche in tal caso, i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale.“

Con la sentenza n. 7369 del 14 febbraio 2013 la Corte ha spiegato inoltre che quello che emerge dalla norma, prima delle modifiche apportate dalla recente L. n. 172/2012, punisce chi maltrattata una persona della famiglia, indipendentemente dalla convivenza o di coabitazione e questo principio vale anche in relazione agli atti di percosse, ingiurie, minacce e molestie fatte da parte del marito nei confronti della moglie separata.

Nel caso analizzato dalla Cassazione l’uomo manteneva delle “condotte integranti il reato di maltrattamenti, dopo la cessazione della convivenza, si verifica una protrazione dell’arco temporale di esplicazione del reato di cui all’art. 572 c.p.“.

Il ricorso che presentato dall’imputato è stato accolto grazie alla clausola di sussidiarietà di cui all’art. 612 bis c.p.

Infatti, questo reato, (come anche quelli di cui agli artt. 594 e 660 c.p.), si deve considerare assorbito nel delitto di maltrattamenti.

Il principio si capisce meglio se si prende come riferimento il fatto che ha spinto la Cassazione a prendere questa decisione, infatti, nel caso di specie non è emerso un “distacco” tra un reato e l’altro, ovvero non si è capito quando i maltrattamenti abbiano lasciato il posto alle percosse, all’ingiuria o alle minacce configurando in questo modo la condotta tipica del reato di maltrattamenti.

Gli ermellini, infine, hanno rigettato l’altro motivo del ricorso dell’uomo ricordando che “se è vero che le dichiarazioni rese dall’imputato, nell’ambito del procedimento penale a suo carico, costituiscono, in linea di principio estrinsecazione del diritto di difesa, è altresì vero che l’animus defendendi non esclude la calunnia ove l’agente non si limiti a contestare i fatti attribuitigli ma finisca con l’incolpare persone che egli sa innocenti.” ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/anche-se-cessa-la-convivenza-si-puo-parlare-di-maltrattamenti-in-famiglia-lo-dice-la-cassazione/
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Avvocato penalista - Commette Maltrattamenti in famiglia, Art. 572 c. p., chi, anche dopo la cessazione del rapporto di convivenza, violi i doveri di rispetto reciproco, di assistenza e di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale.
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lunedì 18 maggio 2015

Avvocato penalista - Non costituisce reato dire ad un politico "dilettante allo sbaraglio " o altra frase che non ne intacchi la sfera morale, ma la sua inidoneità politica.

Avvocato penalista - Non costituisce reato dire ad un politico "dilettante allo sbaraglio " o altra frase che non ne intacchi la sfera morale, ma la sua inidoneità politica.
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Avvocato penalista - Non costituisce reato dire ad un politico "dilettante allo sbaraglio " o altra frase che non ne intacchi la sfera morale, ma la sua inidoneità politica.
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"" Cassazione, dire ad un politico “dilettante allo sbaraglio” non è reato

Cassazione, dire ad un politico “dilettante allo sbaraglio” non è reato

Corte di Cassazione Quinta Sezione Penale – Sentenza n. 7421/2013

La Suprema Corte di Cassazione in una recente sentenza ha precisato che alcune espressioni, anche se possono apparire pungenti e offensive, non costituiscono reato se rivolte ad un personaggio politico specie quando a dirle è proprio il politico avversario che utilizza tali espressioni per criticarne l’operato.

In buona sostanza, secondo quando è stato stabilito dagli ermellini non si commette alcun reato se si dice ad un politico di essere un “dilettante allo sbaraglio” o se ci si rivolve a questo dandogli del “giocoliere” o del “turista della politica“.

In questo particolare momento storico molti vorrebbero rivolgersi ai politici con tali espressioni per “criticare” l’operato ma meglio non rischiare perchè la Corte spiega che ciò che rileva ai fini della non punibilità è che le offese non trasmodino “in gratuita ed immotivata aggressione alla sfera privata del destinatario e non ne attinga l’onore, il decoro e la reputazione, che sono beni giuridici personali, tuttavia non vulnerati quando le espressioni adoperate investono una sua scelta politica“.

La quinta sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7421/2013 ha quindi confermanto la sentenza di assoluzione (dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa) che era stata emessa nel merito nei confronti del sindaco e di un consigliere provinciale, che erano stati querelati perchè avevano usato le predette espressioni per criticare ironicamente l’operato di un consigliere regionale.

Trattasi dunque di critica politica perchè nel corso del procedimento non è emerso nessun attacco alla sfera morale della persona “essendo messa in discussione non gia’ la dignita’ ma la professionalità nell'esercizio di un ruolo politico”.

In politica (o meglio tra politici) gli insulti sono all’ordine del giorno… ecco perchè gli italiani sono sempre indecisi sul voto… come scegliere tra un “Professorino” un “Pifferaio” un “Pagliaccio” e un “Gargamella”  (Ultimi insulti reciproci tra i candidati premier). ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-dire-ad-un-politico-dilettante-allo-sbaraglio-non-e-reato/
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Avvocato penalista - Non costituisce reato dire ad un politico "dilettante allo sbaraglio " o altra frase che non ne intacchi la sfera morale, ma la sua inidoneità politica.
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domenica 17 maggio 2015

Avvocato penalista - Legittimo il licenziamento del dipendente, se questi patteggia (Art. 444 c.p.p.) la pena nel processo in cui è imputato di violenza sessuale, per i riflessi negativi che tale scelta proietta sulla immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti.

Avvocato penalista - Legittimo il licenziamento del dipendente, se questi patteggia (Art. 444 c.p.p.) la pena nel processo in cui è imputato di violenza sessuale, per i  riflessi negativi che tale scelta proietta sulla immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti.
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Avvocato penalista - Legittimo il licenziamento del dipendente, se questi patteggia (Art. 444 c.p.p.) la pena nel processo in cui è imputato di violenza sessuale, per i  riflessi negativi che tale scelta proietta sulla immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti.
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"" Cassazione, licenziamento legittimo se il dipendente patteggia un processo per violenza sessuale

Cassazione, licenziamento legittimo se il dipendente patteggia un processo per violenza sessuale

Corte di Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza 30 gennaio 2013, n. 2168.

La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione trattando un caso di licenziamento ha concluso stabilendo che in sede civile può legittimamente darsi una piena efficacia probatoria alla sentenza di patteggiamento, nel caso in cui l’imputato non contesti la propria responsabilità ma anzi accetti la condanna chiedendone e permettendone l’applicazione.

Per gli ermellini, nel caso in cui il processo penale sia stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (applicazione della pena su richiesta), le risultanze delle indagini preliminari possono essere valutate dal giudice di merito ai fini del proprio convincimento e, nel caso in cui costituiscano violazione dei doveri fondamentali nascenti dal rapporto di lavoro, possono legittimamente permettere al datore di lavoro di licenziare senza preavviso il dipendente.

Il caso esaminato dalla Corte riguardava un dipendente delle Poste Italiane che era stato licenziato senza preavviso perchè aveva patteggiato un processo in cui era imputato per il delitto di violenza sessuale.

Nel merito il ricorso del lavoratore basava la propria difesa sul fatto che in mancanza dell’accertamento probatorio, le questioni scaturenti dal processo penale non potessero avere valenza probatoria in sede civile poiché, a seguito del patteggiamento, i “fatti penali” restavano congelati in una posizione meramente indiziaria, incapaci pertanto di essere assunti a fondamento di una giusta causa di licenziamento anche per il fatto che i fatti contestati, comunque, non avevano alcun riflesso sul rapporto di lavoro.

Questa tesi non è stata condivisa dai Giudici di Piazza Cavour ma neppure da quelli del merito in quanto il ricorso presentato dal lavoratore avverso il licenziamento senza preavviso era stato rigettato sia in primo grado che in appello.

La Cassazione nel respingere le doglianze del lavoratore ha richiamando la sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 18 dicembre 2009, (la n. 336) dove veniva richiamata a sua volta una sentenza delle S.U. Penali della Corte di Cassazione (17781/06), veniva sottolineata l’erroneità della tesi di chi voglia ritenere che gli effetti del patteggiamento debbano ontologicamente differenziarsi da quelli della sentenza ordinaria e, in cui veniva chiaramente rappresentato dal Collegio che la sentenza penale ex art. 444 c.p.p. costituisce elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegarne le ragioni.

Sulla base di questo principio la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione ha fondato le motivazioni della sentenza n. 2168 del 30 gennaio 2013 con cui ha respinto le richieste del lavoratore.

Inoltre, la Corte ha precisato che i fatti addebitati al lavoratore nel processo penale, anche se si sono verificati al di fuori del contesto lavorativo, per il forte disvalore sociale che li connota, sono indubbiamente idonei ad avere riflessi negativi sull’immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-licenziamento-legittimo-se-il-dipendente-patteggia-un-processo-per-violenza-sessuale/
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Avvocato penalista - Legittimo il licenziamento del dipendente, se questi patteggia (Art. 444 c.p.p.) la pena nel processo in cui è imputato di violenza sessuale, per i  riflessi negativi che tale scelta proietta sulla immagine dell’Azienda e sulla fiducia della clientela nella correttezza dei suoi dipendenti.
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sabato 16 maggio 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di Interferenze illecite nella vita privata, Art. 615 bis del Codice Penale, registrare le conversazioni della fidanzata.

Avvocato penalista - Integra il reato di Interferenze illecite nella vita privata, Art. 615 bis del Codice Penale, registrare le conversazioni della fidanzata. 
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Avvocato penalista - Integra il reato di Interferenze illecite nella vita privata, Art. 615 bis del Codice Penale, registrare le conversazioni della fidanzata.  
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"" Interferenze illecite nella vita privata : vietato registrare la fidanzata, lo dice la Cassazione

Cassazione, vietato registrare le conversazioni della fidanzata, anche nella casa comune

Corte di Cassazione – Sentenza n. 8762/2013  (Art. 615 bis – Interferenze illecite nella vita privata)

La Corte di Cassazione ha stabilito che costituisce reato registrare di nascosto le conversazioni della propria fidanzata anche nel caso in cui si vive sotto lo stesso tetto.

Con la sentenza 8762/2013 la Corte ha spiegato che un simile comportamento è sicuramente idoneo a configurare il reato di interferenze illecite nella vita privata.

Nel caso specifico, il convivente aveva messo un registratore nella casa per spiare i colloqui tra la propria compagna e la sorella.

Per i giudici di Piazza Cavour non vi è ragione alcuna per non tutelare anche de facto chi è legato da un rapporto assimilabile a quello coniugale.

Inoltre, la Corte chiarisce che l’articolo 615 bis trova applicazione anche nel caso in cui non sussiste una vera e propria convivenza ma all’interno dell’abitazione si svolgono “fasi significative della vita privata” e, pertanto, registrando la conversazione si lede il diritto alla riservatezza della vittima.

In pratica, l’interpretazione dei fatti di causa hanno portato a tale conclusione sulla base del fatto che la vittima “è di regola fiduciosa della tutela della sua privacy e quindi particolarmente esposta e vulnerabile nei confronti di un comportamento subdolo e sleale da parte della persona a cui è affettivamente legata”.

Articolo di riferimento

LIBRO SECONDO – DEI DELITTI IN PARTICOLARE.

Titolo XII – Dei delitti contro la persona.

Capo III – Dei delitti contro la liberta’ individuale.

Sezione IV – Dei delitti contro la inviolabilita’ del domicilio.

Art. 615 bis – Interferenze illecite nella vita privata

Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, e’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.

Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.

I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena e’ della reclusione da uno a cinque anni se il fatto e’ commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/interferenze-illecite-nella-vita-privata-vietato-registrare-la-fidanzata-lo-dice-la-cassazione/
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Avvocato penalista - Integra il reato di Interferenze illecite nella vita privata, Art. 615 bis del Codice Penale, registrare le conversazioni della fidanzata.  
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venerdì 15 maggio 2015

Avvocato penalista - Chiamare una collega pornodiva integra il reato di Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale), poiché è una offesa alla dignità della persona.

Avvocato penalista - Chiamare una collega pornodiva integra il reato di Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale), poiché è una offesa alla dignità della persona.
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Avvocato penalista - Chiamare una collega pornodiva integra il reato di Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale), poiché è una offesa alla dignità della persona.
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"" Cassazione, è reato chiamare una collega “pornodiva”

Cassazione, è reato chiamare una collega “pornodiva”

Corte di cassazione – Sentenza 22 febbraio 2013 n. 8761

Basta provocare le colleghe di lavoro o si rischia di commettere un reato.

Questo è quello che emerge dalla sentenza 8761 del 22 febbrai 2013 con cui la Corte di Cassazione, esaminando il ricorso presentato da una donna che si è sentita offesa quando un collega l’ha chiamata
“pornodiva”.

In effetti, l’apprezzamento non è certo dei più raffinati e questo è stato anche il pensiero della Cassazione che, accogliendo il ricorso della donna ha “bacchettato” il collega “spiritoso” sulla base del fatto che gli apprezzamenti, nel caso in cui siano accompagnati da epiteti denigratori, non devono essere considerati come delle ‘avances’, ma piuttosto come “un’offesa alla dignità della persona“.

La Corte dunque ha annullato senza rinvio la sentenza che era stata emessa dal Tribunale di Massa con cui l’uomo, un dipendente delle Poste e Telecomunicazioni, veniva assolto perchè “il fatto non costituisce reato“.

La Quinta Sezione Penale però non ha condiviso la decisione presa nella fase di merito e ha accolto il riscorso della donna che si è sentita ingiuriata dalla frase pronunciata dal collega.

Nello specifico, il collega si era rivolto alla donna dicendo “Ah, c’è anche la pornodiva sulla piazza“.

L’uomo, dopo esser stato condannato in primo grado da Giudice di Pace a pagare 400 euro oltre ai danni veniva assolto dal Tribunale (Appello) che inquadrava la vicenda all’interno di una “condotta scherzosa” perchè dalle testimonianze era emerso che alla collega venissero rivolte “avances” da altri colleghi, e che lei le tollerasse sorridendo.

Secondo quanto ha deciso la Suprema Corte il fatto che “una donna possa tollerare delle avances più o meno tra il serio e il faceto non comporta affatto che ella si debba considerare disposta a farsi prendere a male parole“.

Inoltre “l’avere risposto con un sorriso alla condotta scherzosa di un collega non autorizza affatto un altro uomo a ritenere che le sue battute siano altrettanto tollerate, o addirittura gradite“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-e-reato-chiamare-una-collega-pornodiva/
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Avvocato penalista - Chiamare una collega pornodiva integra il reato di Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale), poiché è una offesa alla dignità della persona.
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giovedì 14 maggio 2015

Avvocato penalista - Non è reato offendere l’amministratore di condominio se egli merita gli insulti dei condomini, assumendo un atteggiamento contrario al vivere civile.

Avvocato penalista - Non è reato offendere l’amministratore di condominio se egli merita gli insulti dei condomini, assumendo un atteggiamento contrario al vivere civile.
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Avvocato penalista - Non è reato offendere l’amministratore di condominio se egli merita gli insulti dei condomini, assumendo un atteggiamento contrario al vivere civile.
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"" Cassazione, nessun reato offendere l’amministratore di condominio se questo merita gli insulti dei condomini

Cassazione, nessun reato offendere l’amministratore di condominio se questo merita gli insulti dei condomini

Corte di Cassazione – Sentenza n. 8336/2013

Secondo la Corte di Cassazione la condomina che subisce angherie da parte dell’amministratore dello stabile può inviare a quest’ultimo una lettera offensiva.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 8336/2013 con cui la corte ha trattato il caso di una donna che ha inviato all’amministratrice (e per conoscenza anche a tutti gli altri condomini), una lettera in cui quest’ultima veniva definita “scorretta”, “leggera”, “irrispettosa” ed “egoista”.

Uno sfogo quello della ricorrente perchè, a suo dire ma, dopo alcuni esempi emersi nel corso della causa anche per la Cassazione, la “superficiale” amministratrice non sempre aveva osservato quelle basilari regole della civile convivenza.

Ad esempio, era capitato che la donna non era stata informata che davanti alla sua finestra sarebbe stato montato un ponteggio “che assicurava il transito di macerie e di materiali di risulta provenienti da piani superiori”.

Questo mancato avviso non aveva dato alla ricorrente, che era stata interessata da una grave malattia, di trasferirsi altrove, per non essere disturbata dai lavori.

Inoltre, l’amministratrice, che era anche la proprietaria dell’appartamento superiore a quello della ricorrente, aveva anche lesionato il soffitto del bagno di quest’ultima a causa dei lavori intrapresi nella sua casa.

La Cassazione quindi giustifica l’ira della ricorrente poichè la inquadra dentro un normale comportamento di reazione per un torto subito e, su queste considerazioni, fa cadere nei suoi confronti la condanna per ingiuria e diffamazione inflitta dal giudice di pace.

Per gli ermellini, la ricorrente non va punita perchè la non punibilità prevista nei delitti contro l’onore, dovuta allo stato d’ira provocato da un fatto ingiusto scatta, infatti, non solo quando la “condotta astrattamente offensiva” è scatenata da un atto illecito o illegittimo ma, come nel caso di specie, anche in presenza di un atteggiamento contrario al vivere civile.

Con riferimento ai tempi della reazione, la Cassazione precisa che la legge non richiede che questa segua immediatamente l’offesa, ma soltanto che rientri nel periodo dello stato d’ira e, pertanto, giustifica anche il ritardo dovuto solo allo strumento scelto per “vendicarsi”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-nessun-reato-offendere-lamministratore-di-condominio-se-questo-merita-gli-insulti-dei-condomini/
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Avvocato penalista - Non è reato offendere l’amministratore di condominio se egli merita gli insulti dei condomini, assumendo un atteggiamento contrario al vivere civile.
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mercoledì 13 maggio 2015

Avvocato penalista - La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non possono restare in Italia gli stranieri irregolari per il solo fatto di avere figli minori.

Avvocato penalista - La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non possono restare in Italia gli stranieri irregolari per il solo fatto di avere figli minori.
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Avvocato penalista - La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non possono restare in Italia gli stranieri irregolari per il solo fatto di avere figli minori.
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""  Cassazione, stranieri irregolari fuori dall’Italia, irrilevante il fatto che abbiano dei figli piccoli

Cassazione, stranieri irregolari fuori dall’Italia, irrilevante il fatto che abbiano dei figli piccoli

Corte di Cassazione – Sentenza n. 4721 del 25 febbraio 2013

La Suprema Corte ha stabilito che non possono restare in Italia gli stranieri irregolari per il sol fatto di avere figli minori.

Questo è quanto è stato deciso dalla Sesta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 4721 del 25 febbraio 2013, esaminando il caso di un immigrato irregolare che chiedeva l’annullamento del provvedimento di espulsione e quindi di essere autorizzato di restare nel territorio italiano perchè padre di un figlio minore.

La Corte ha rigettato la domanda dell’immigrato e, come avevano osservato anche i giudici del merito, ha precisato che la richiesta di autorizzazione non può trovare accoglimento in assenza di prove che rappresentino la sussistenza di gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico dei minori, e delle circostanze contingenti ed eccezionali per le quali essi avrebbero dovuto aver bisogno del padre.

In sostanza, non basta dunque rappresentare il semplice bisogno, od opportunità, dei piccoli, di essere educati da entrambi i genitori invece che dalla sola madre, ma ci vuole qualcosa di più.

La Corte, richiamando un precedente delle Sezioni Unite ha osservato che «la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psicofisico non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente legate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile e obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto.

Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi a essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare».

La Corte di legittimità quindi amplia anche le possibilità di ricorrere alla norma di cui all’articolo 31, comma 3, del D. Lgs. 286/1998, ma il ricorso non può essere accolto in mancanza di deduzioni specifiche circa il grave disagio dei minori. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-stranieri-irregolari-fuori-dallitalia-irrilevante-il-fatto-che-abbiano-dei-figli-piccoli/
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Avvocato penalista - La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che non possono restare in Italia gli stranieri irregolari per il solo fatto di avere figli minori.
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