http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: aprile 2015

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giovedì 30 aprile 2015

Avvocato penalista - E' evasione fiscale e dichiarazione fraudolenta mediante artifici versare sul c. c. della colf somme eccessive rispetto al suo comune stipendio.

Avvocato penalista - E' evasione fiscale e dichiarazione fraudolenta mediante artifici versare sul c. c. della colf somme eccessive rispetto al suo comune stipendio.
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Avvocato penalista - E' evasione fiscale e dichiarazione fraudolenta mediante artifici versare sul c. c. della colf somme eccessive rispetto al suo comune stipendio.
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"" Evasione fiscale versare alla colf 200 mila euro

Si commette evasione fiscale se si versano sul C/C della colf 200 mila euro, lo dice la Cassazione

Corte di Cassazione Terza Sezione Penale – Sentenza n. 3438/2013

Attenzione a versare troppo alle collaboratrici domestiche, il Fisco non ci casca e le conseguenze sono molto rischiose.

Con una recente sentenza la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di trattare una vicenda a dir poco fuori dal comune.

Se qualcuno ci avesse chiesto quale fossero le professioni più retribuite avremmo certamente risposto : manager, broker, politico, etc.

Chi lo avrebbe mai detto che anche la categoria delle colf facesse parte di questa classifica.

Ebbene sì.

Il caso che ha esaminato la Cassazione riguardava proprio una collaboratrice domestica che aveva ricevuto dal proprio datore di lavoro un versamento di oltre 200 mila euro.

L’Italia è bella anche per questo. Fino a qualche anno fa erano pochi ad avere una colf messa in regola e adeguatamente retribuita oggi invece le domestiche si portano a fine mese uno stipendio a 4 zeri.

In pratica, si è passati dal lavoro in nero e mal retribuito a quello d’oro, ma è proprio così?

Gli ermellini della terza sezione penale non si sono lasciati convincere dal ricorrente e, con la sentenza n. 3438/2013, hanno confermato il sequestro finalizzato alla confisca a carico del generoso contribuente e hanno dunque affermato il principio per cui i versamenti effettuati sul conto bancario delle collaboratrici domestiche possono essere ritenuti sospetti e se riconducibili al datore di lavoro possono far scattare nei suoi confronti una condanna per evasione fiscale e dichiarazione fraudolenta mediante artifici. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/si-commette-evasione-fiscale-se-si-versano-sul-cc-della-colf-200-mila-euro-lo-dice-la-cassazione/
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Avvocato penalista - E' evasione fiscale e dichiarazione fraudolenta mediante artifici versare sul c. c. della colf somme eccessive rispetto al suo comune stipendio.
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mercoledì 29 aprile 2015

Avvocato penalista - E' colpevole o correo di Violenza sessuale su minorenne, Artt. 609 bis e 609 ter del Codice Penale, il genitore che non impedisce l’evento lesivo ai danni dei figli.

Avvocato penalista - E' colpevole o correo di Violenza sessuale su minorenne, Artt. 609 bis e 609 ter del Codice Penale, il genitore che non impedisce l’evento lesivo ai danni dei figli.
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Avvocato penalista - E' colpevole o correo di Violenza sessuale su minorenne, Artt. 609 bis e 609 ter del Codice Penale, il genitore che non impedisce l’evento lesivo ai danni dei figli.
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"" Cassazione, colpevole la madre che non impedisce le violenze sul figlio minore

Cassazione, colpevole la madre che non impedisce le violenze sul figlio minore

Corte di Cassazione Terza Sezione – Sentenza 4127/2013

Ancora una volta, in materia di violenza sessuale, la Cassazione si scaglia contro quelle madri che non impediscono tali violenze nei confronti dei figli minori.

La Suprema Corte di Cassazione aveva già avuto modo di esprimersi sull’argomento.

Importanti decisioni sul punto sono state due recenti sentenze: la n. 36829 depositata il 12/10/2011 in cui una ragazza ha denunciato i propri genitori perché ha personalmente assistito a degli episodi di violenza subiti dalle sorelle minorenni in cui la Terza Sezione della Cassazione ha riconosciuto la madre responsabile di violenza sessuale e maltrattamenti in quanto doveva agire e non lo ha fatto, doveva impedire tali violenze ma con la sua inattività ha fatto venir meno l’obbligo genitoriale che impone di tutelare i figli; e la sentenza n. 33562 del 2012 in cui la Corte ha ritenuto responsabili a titolo di concorso una coppia di genitori per aver favorito e agevolato o, comunque, per non avere scoraggiato i rapporti sessuali tra un adulto e la figlia di 13 anni.

Con la recente sentenza n.4127/2013, gli ermellini hanno quindi ribadito il principio di diritto che conferma la colpevolezza del genitore che omissivamente non impedisce l’evento lesivo ai danni del figlio.

Ciò che la corte punisce è la condotta omissiva del genitore poiché in tal modo non si è attivato per evitare si materializzassero i suddetti atti di violenza facendo cosi venir meno l’obbligo di garanzia che grava sul genitore e quello di denuncia poiché si è venuti a conoscenza della condotta illecita perpetrata sotto condizione obbligatoriamente garantita. In particolare, la colpevolezza omissiva viene fuori dall’art. 40, comma 2 c.p., per cui “non impedire l’evento che si aveva l’obbligo di impedire, equivale a cagionarlo”.

La problematica sottende la risoluzione di alcuni quesiti giuridici, quali la punibilità penalmente sanzionabile della condotta omissiva, il contenuto dell’obbligo di attivarsi in virtù dell’obbligo di garanzia gravante sul genitore e l’obbligo di denuncia in ragione del fatto che si è venuti a conoscenza della condotta illecita perpetrata sotto condizione obbligatoriamente garantita.

Il fatto analizzato dagli ermellini riguardava un caso di abusi sessuali su un minore da parte di un terzo estraneo alla famiglia avvenuti con la consapevolezza della madre che sapeva degli incontri tra i due. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-colpevole-la-madre-che-non-impedisce-le-violenze-sul-figlio-minore/
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Avvocato penalista - E' colpevole o correo di Violenza sessuale su minorenne, Artt. 609 bis e 609 ter del Codice Penale, il genitore che non impedisce l’evento lesivo ai danni dei figli.
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martedì 28 aprile 2015

Avvocato penalista - In tema di omicidio colposo a seguito di incidente stradale, il colpo di sonno rientra nell'ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non del caso fortuito.

Avvocato penalista - In tema di omicidio colposo a seguito di incidente stradale, il colpo di sonno rientra nell'ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non del caso fortuito.
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Avvocato penalista - In tema di omicidio colposo a seguito di incidente stradale, il colpo di sonno rientra nell'ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non del caso fortuito.
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"" Colpo di sonno, omicidio colposo. Le osservazioni della Cassazione

Colpo di sonno, omicidio colposo. Le osservazioni della Cassazione

Corte di Cassazione Penale Sezione Quarta – Sentenza del 26 febbraio 2013, n. 9172

In materia di omicidio colposo in conseguenza della perdita di controllo del veicolo, la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9172 del 26 febbraio 2013, ha osservato che il giudice che ha trattato la vicenda nel merito può anche disattendere tale ipotesi difensiva se non vi siano degli elementi che concretamente possano renderla plausibile, quale ad esempio l’età e le condizioni psicofisiche dell’imputato, unitamente ad altri fattori idonei a far pensare che la causa della perdita del controllo del veicolo sia dovuta a fattori imprevedibili quale potrebbe essere l’improvviso colpo di sonno.

Le parti salienti della sentenza:

…omissis…
 
 
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

4. E’ opportuno ricordare che la giurisprudenza in materia di circolazione stradale colloca il malore nell’ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non del “caso fortuito”: in tema di circolazione stradale e di responsabilità del conducente di autoveicolo, il malore dello stesso (che è uno scompenso prevalentemente collegato ad una situazione organica, ma che può anche essere espressione di una sindrome funzionale: Cass. sez. un., sent. n. 12093/1980, P.M. in proc. Felloni), repentinamente ed improvvisamente insorto, è pur sempre una infermità, ovvero uno stato morboso, ancorchè transitorio, ascrivibile alla previsione di cui all’art. 88 c.p.: esso non incide sulla potenzialità intellettiva e volitiva del soggetto, ma, con la perdita o il grave perturbamento della coscienza, spezza il collegamento tra il comportamento del soggetto medesimo e le funzioni psichiche che allo stesso presiedono, determinando così “movimenti o stati di inerzia corporei inconsapevoli ed automatici, cioè privi dei caratteri tipici della condotta, secondo lo schema dell’art. 42 c.p.” (Cass. sez. un. citata).

Il malore improvviso, quindi, non è ascrivibile alla categoria del caso fortuito, di cui all’art. 45 cod. pen., giacchè questo – descrivendo “una fattispecie in cui l’uomo, psicologicamente, non 0q risponde per l’intervento del fattore causale imprevedibile” – presuppone pur sempre un’azione umana cosciente e volontaria, mentre il malore improvviso esclude tali connotazioni di coscienza e volontarietà, non realizzando così quelle “condizioni minime” che l’art. 42 cod. pen. richiede perchè un fatto umano, astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante.

Ne consegue che una volta dedotta la circostanza, il giudice deve valutare la configurabilìtà o meno della capacità di intendere e di volere dell’imputato che la eccepisce.

Sul piano della distribuzione degli oneri probatori, questa Corte ha da tempo un orientamento univoco: “in tema di reati colposi conseguenti ad incidenti stradali, non è sufficiente che vengano formulate delle ipotesi circa le cause della perdita di controllo del veicolo perchè il giudice sia tenuto a svolgere accertamenti complessi sulle effettive condizioni fisio-psichiche dell’imputato al momento del fatto e sullo stato di efficienza del veicolo.

In mancanza di allegazione di elementi precisi e specifici e in presenza di risultanze inequivoche confortanti la colpevolezza, deve presumersi che la condotta del soggetto, normalmente capace, sia
riferibile ad un’azione cosciente e volontaria e, quindi, liberamente determinata” (Cass. sez. 4, sent. n. 12149 del 12/06/1991, Esposti, Rv. 188689).

In altra decisione si è ulteriormente precisato che “in tema di omicidio colposo determinato dalla perdita di controllo di un autoveicolo, qualora venga prospettata dall’imputato la tesi difensiva del malore improvviso – … – il giudice di merito può correttamente disattenderla in assenza di elementi concreti capaci di renderla plausibile (ad esempio l’età e le condizioni psicofisiche dell’imputato) ed in presenza, peraltro, di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo sia stata determinata da altro fattore non imprevedibile, quale un improvviso colpo di sonno (Cass. sez. 4, sent. n. 41097 del 30.10.2001, Bonanno, rv. 220859; l’orientamento è stato ribadito da Cass. sez. 4, sent.n. 32931 del 20/05/2004, Oddo, rv. 229082).

5. Il Giudice di pace non ha fatto corretto governo dei principi appena ricordati.

Le circostanze di fatto prese in esame – l’essere stato lo S. al termine di una giornata di lavoro da muratore passata sotto il sole di agosto – non depongono univocamente per l’ipotesi del malore, che peraltro nella motivazione della sentenza impugnata non viene investigata alla luce di quanto manifestato dallo S. subito dopo il sinistro.

Mancando tale univocità, ed essendo gli indici evidenziati dal decidente compatibili con l’ipotesi del colpo di sonno, il Giudice di pace avrebbe dovuto approfondire l’accertamento istruttorio onde fugare ogni dubbio al riguardo oppure prendere atto della ricorrenza di elementi idonei a far ritenere che la perdita di controllo del veicolo fosse stata determinata da altro fattore non imprevedibile appunto l’improvviso colpo di sonno e pervenire alle conseguenti decisioni.

6. Si impone pertanto l’accoglimento del ricorso e di conseguenza l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Lovere, che dovrà uniformarsi ai principi qui richiamati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Giudice di pace di Lovere per nuovo esame. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/colpo-di-sonno-omicidio-colposo-le-osservazioni-della-cassazione/
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Avvocato penalista - In tema di omicidio colposo a seguito di incidente stradale, il colpo di sonno rientra nell'ambito dei fattori incidenti sulla capacità di intendere e di volere e non del caso fortuito.
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lunedì 27 aprile 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di Truffa (Art. 640 c. p.), e non il reato di Insolvenza fraudolenta (Art. 641 c. p.), il pagamento effettuato tramite un assegno tratto su conto corrente bancario non più esistente.

Avvocato penalista - Integra il reato di Truffa (Art. 640 c. p.), e non il reato di Insolvenza fraudolenta (Art. 641 c. p.), il pagamento effettuato tramite un assegno tratto su conto corrente bancario non più esistente.
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Avvocato penalista - Integra il reato di Truffa (Art. 640 c. p.), e non il reato di Insolvenza fraudolenta (Art. 641 c. p.), il pagamento effettuato tramite un assegno tratto su conto corrente bancario non più esistente.
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"" Cassazione, è una truffa pagare con un assegno di un conto inesistente

Cassazione, è una truffa pagare con un assegno di un conto inesistente

Corte di Cassazione Penale – Sentenza n. 3169/2013

Cosa aspettarsi da una donna che fa shopping?

Non è facile rispondere a questa domanda.

L’unica risposta azzardabile (ironicamente parlando) potrebbe essere: pensa all’inimmaginabile e vai oltre.

Ecco perché:

Molti films hanno rappresentato la stretta relazione tra la donna e lo shopping al punto di pensare che sia del tutto normale (per una donna da film) portare il conto in rosso se ci sono i saldi nel negozio più cool della città.

In poche parole, secondo le rappresentazioni cinematografiche, le donne (ma diciamo la verità anche molti uomini) vivono (o vorrebbero vivere) lo shopping in un modo del tutto libero e spensierato, senza badare al prezzo o alle finanze del conto corrente che diminuiscono.

Da tutto ciò deduciamo che quando le donne fanno shopping c’è da aspettarsi di tutto perchè se è vero che il cinema ci ha proposto delle scene incredibili è anche vero che la realtà ha sempre superato la fantasia; ecco perchè ipotizzare qualsiasi cosa appare un’impresa ardua.

Anche questa volta la realtà è andata oltre.

Nel caso di specie, il problema di spendere più di quanto è stato depositato nel conto corrente non è stato affatto un problema, se non altro perchè il conto a cui doveva attingere il commerciante per scambiare l’assegno (lasciato da una donna in preda allo shopping) era inesistente.

La Suprema Corte quindi ha dovuto affrontare il tema degli acquisti effettuati con assegni di conti correnti inesistenti e, senza troppi giri di parole (non che ce ne fosse comunque bisogno) gli ermellini hanno inquadrato la vicenda oggetto d’analisi dentro la fattispecie del reato di truffa.

Il pagamento effettuato tramite assegno è carta straccia se il conto corrente non esiste è questo quello che ha scoperto il commerciante, truffato in questo modo da una donna, condannata in primo e secondo grado a 8 mesi di reclusione e 400 euro di multa.

Nel terzo grado di giudizio la Cassazione, con la sentenza n. 3169/2013, ha osservato che la donna «non pagò con un assegno tratto su un conto corrente esistente ma privo di fondi, bensì con un titolo relativo ad un conto inesistente» e «in precedenza intestato a una società fallita».

Secondo Piazza Cavour questa situazione ha permesso di contestare «un ulteriore raggiro» nella condotta della donna che «non era, in realtà, nemmeno titolare di un conto corrente bancario».

La donna così facendo ha «contribuito ad ingannare la vittima, inducendola a ritenere esistente la disponibilità di effettive risorse economiche».

In conclusione e stando così le cose, per i giudici della Corte è da escludere, dunque, l’ipotesi di «mera insolvenza fraudolenta» mentre appare del tutto configurabile il «reato di truffa» nel caso in cui avvenga il «rilascio di un assegno, in pagamento della merce acquistata, che si riveli successivamente inesigibile». ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-e-una-truffa-pagare-con-un-assegno-di-un-conto-inesistente/
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Avvocato penalista - Integra il reato di Truffa (Art. 640 c. p.), e non il reato di Insolvenza fraudolenta (Art. 641 c. p.), il pagamento effettuato tramite un assegno tratto su conto corrente bancario non più esistente.
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domenica 26 aprile 2015

Avvocato penalista - La notifica, a mezzo posta, se non effettuata a mani dell’interessato, non può essere, di per se, ritenuta prova della reale conoscenza dell’atto da parte del destinatario, specie se quest’ultimo affermi di non averla ricevuta, deducendo a sostegno motivi idonei.

Avvocato penalista - La notifica, a mezzo posta, se non effettuata a mani dell’interessato, non può essere, di per se, ritenuta prova della reale conoscenza dell’atto da parte del destinatario, specie se quest’ultimo affermi di non averla ricevuta, deducendo a sostegno motivi idonei.
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Avvocato penalista - La notifica, a mezzo posta, se non effettuata a mani dell’interessato, non può essere, di per se, ritenuta prova della reale conoscenza dell’atto da parte del destinatario, specie se quest’ultimo affermi di non averla ricevuta, deducendo a sostegno motivi idonei.
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"" Cassazione, la sola formale regolarità della notifica non prova l’effettivo conoscimento da parte dell’interessato

Cassazione, la sola formale regolarità della notifica non prova l’effettivo conoscimento da parte dell’interessato

Corte di Cassazione Sesta Sezione Penale – Sentenza del 25.1.2013, n. 4115.

Con una recente sentenza la Suprema Corte ha stabilito che l’illegittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di restituzione nel termine per proporre opposizione a decreto penale di condanna ove sia fondato sul mero rilievo della regolarità formale della notificazione dell’atto.

Nel caso esaminato dagli ermellini si presentava una situazione particolare in cui la notifica, avvenuta mediante posta, se non viene effettuata a mani dell’interessato, non può essere, di per sè, ritenuta prova dell’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, specie se quest’ultimo affermi di non averla ricevuta, deducendo a sostegno motivi idonei.

Di seguito si riportano le parti più interessanti della sentenza.

Corte di Cassazione Sesta Sezione Penale – Sentenza del 25.1.2013, n. 4115.

Svolgimento del processo

M.V. ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe, con cui è stata rigettata l’Istanza dal medesimo proposta per essere restituito nel termine per proporre opposizione a decreto penale emesso nei suoi confronti dal Gip del Tribunale di Cassino.

Il ricorrente nell’istanza adduceva di avere avuto tardiva conoscenza dell’emissione del decreto penale in ragione di una sua prolungata assenza dall’Italia in occasione delle ferie, onde della notificazione dell’atto avvenuta mediante servizio postale aveva avuto cognizione solo al rientro in Italia allorquando si era recato presso l’Ufficio postale ove l’atto era stato depositato.

Il giudice aveva rigettato la richiesta limitandosi a evidenziare la regolarità della notificazione e a valorizzare la volontaria assenza dall’Italia del prevenuto, che asseritamente ostava alla restituzione in termini.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e va accolto in linea con gli argomenti sviluppati dal Procuratore generale nella requisitoria scritta.

E’ corretto il richiamo alla giurisprudenza di questa Sezione, in forza della quale deve ritenersi illegittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza di restituzione nel termine per proporre opposizione a decreto penale di condanna fondato sul mero rilievo della regolarità formale della notificazione dell’atto – nella specie avvenuta mediante servizio postale – in quanto detta notifica, se non effettuata a mani dell’interessato, non può essere, di per sè sola, ritenuta prova dell’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, tanto più ove quest’ultimo affermi di non averla ricevuta, deducendo a sostegno motivi idonei.

Pertanto, in tal caso, il giudice non può arrestarsi all’esame della, pur ritenuta, ritualità formale della notifica ma deve esaminare la prospettazione relativa alla mancanza di effettiva conoscenza dell’atto, considerato che l’art. 175 c.p.p., comma 2, – come modificato dal D.L. n. 17 del 2005, conv. con modif. nella L. n. 60 del 2005 – ha sostituito alla prova della non conoscenza del procedimento – che in passato doveva essere fornita dall’interessato – una sorta di presunzione “iuris tantum” di non conoscenza, ponendo, in tal modo, a carico del giudice l’onere di reperire agli atti l’eventuale prova positiva e, più in generale, di accertare se l’interessato abbia avuto effettivamente conoscenza del provvedimento e abbia volontariamente e consapevolmente rinunciato a proporre opposizione (Sezione 4^, 12 gennaio 2012, Amendola, rv. 252669).

La ordinanza impugnata ha pertanto disatteso i canoni di valutazione imposti dall’art. 175 c.p.p. e deve, quindi, essere annullata con rinvio al Gip del Tribunale di Cassino.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Cassino. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-la-sola-formale-regolarita-della-notifica-non-prova-leffettivo-conoscimento-da-parte-dellinteressato/
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Avvocato penalista - La notifica, a mezzo posta, se non effettuata a mani dell’interessato, non può essere, di per se, ritenuta prova della reale conoscenza dell’atto da parte del destinatario, specie se quest’ultimo affermi di non averla ricevuta, deducendo a sostegno motivi idonei.
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sabato 25 aprile 2015

Avvocato penalista - Il medico reperibile, che rifiuta di recarsi in ospedale nei casi urgenti, è responsabile per mancato intervento in una situazione di emergenza e viola sia l’art. 328 del c. p., che l’art. 17 del C.C.N.L. dei dirigenti medici.

Avvocato penalista - Il medico reperibile, che rifiuta di recarsi in ospedale nei casi urgenti, è responsabile per mancato intervento in una situazione di emergenza e viola sia l’art. 328 del c. p., che l’art. 17 del C.C.N.L. dei dirigenti medici.
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Avvocato penalista - Il medico reperibile, che rifiuta di recarsi in ospedale nei casi urgenti, è responsabile per mancato intervento in una situazione di emergenza e viola sia l’art. 328 del c. p., che l’art. 17 del C.C.N.L. dei dirigenti medici.
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"" Cassazione, il medico reperibile deve sempre recarsi in ospedale per i casi urgenti

Cassazione, il medico reperibile deve sempre recarsi in ospedale per i casi urgenti

Corte di Cassazione Sesta Sezione Penale – Sentenza n. 12376/2013

I casi di malasanità sono sempre quelli più difficili da raccontare ed è facile comprendere il motivo.

Dal Tribunale di Perugia fino alla Corte di Cassazione per mettere fine ad una triste vicenda che, causa la negligenza medica, ha portato la morte di un minorenne.

I Supremi giudici della sesta sezione penale della Corte di Cassazione hanno considerato una negligenza meritevole di condanna il comportamento del medico chirurgo che si rifiuta di intervenire in un caso di emergenza.

La sentenza n. 12376/2013 ha quindi permesso agli ermellini di poter chiarire alcuni aspetti relativi alla responsabilità medica per mancato intervento in una situazione di urgenza e la violazione dell’art. 328 c.p. e l’art. 17 del C.C.N.L. dei dirigenti medici.

Nel caso di specie, il Tribunale di Perugia aveva condannato l’imputato, un dirigente medico di primo livello presso la struttura complessa di cardiochirurgia dell’ospedale di S. Maria della Misericordia di Perugia, anche incaricato del servizio di reperibilità esterna, perchè dopo numerosi solleciti telefonici, si era rifiutato di intervenire non reputandolo necessario.

La sentenza di condanna veniva confermata dalla corte d’appello di Perugia e, pertanto, al mendico non restava che ricorrere alla Corte di Cassazione dove ha cercato di rappresentare ai giudici che il mancato intervento trovava giustificazione nel fatto che aveva lasciato un collega ad occuparsi del caso.

Il collega però non era specializzato in cardiochirurgia come l’imputato e, l’intervento che è stato effettuato sul paziente, richiedeva la sua competenza specialistica.

La Cassazione ha precisato che la “Corte territoriale avrebbe dovuto accordare nella specie all’imputato il margine discrezionale di natura tecnica in ordine alla necessità ed urgenza del suo intervento, in conformità all’orientamento della Corte di legittimità che lo esclude solo se esso esuli dal criterio di ragionevolezza tecnica ricavabile dal contesto e dal protocolli medici.

In realtà, conclude sul punto il ricorrente, la Corte territoriale nega al sanitario il riconoscimento della discrezionalità tecnica legando l’obbligo non alla effettività della situazione ma a fattori esterni.”

Gli ermellini continuano affermando che “secondo il ricorrente le norme di legge invocate, invece, nulla dicono al riguardo dell’obbligo del sanitario rimandando alla disciplina interna dell’Ente.”

Al punto che “la Corte territoriale ha ritenuto integrata la condotta materiale del delitto contestato ritenendo infondata la versione difensiva secondo la quale l’omesso intervento dell’imputato in ospedale fosse giustificato da una precisa scelta clinica, dovuta all’inutilità di procedere sul minore che non si sarebbe salvato.“

La Corte ha quindi concluso confermando la sentenza di condanna inflitta al medico precisando che “è orientamento di legittimità consolidato quello secondo il quale il servizio di pronta disponibilità previsto dal d.P.R. 25 giugno 1983 n. 348 è finalizzato ad assicurare una più efficace assistenza sanitaria nelle strutture ospedaliere ed in tal senso è integrativo e non sostitutivo del turno cosiddetto di guardia.

Ne consegue che esso presuppone, da un lato, la concreta e permanente reperibilità del sanitario e, dall’altro, l’immediato intervento del medico presso il reparto entro i tempi tecnici concordati e prefissati, una volta che dalla Sede ospedaliera ne sia stata comunque sollecitata la presenza.“

Condivisibile quanto hanno deciso i giudici della Cassazione.

Certo, questa sentenza non riporterà in vita il giovane ragazzo nè potrà mai consolare i familiari per la perdita subita però potrà ridare orgoglio alla medicina italiana, che non vedrà questa decisione come una sconfitta anzi, sarà il mezzo per differenziare i camici bianchi, mettendo da un lato chi abbandona il paziente per fare altro e chi invece lavora seriamente e onestamente, sacrificando famiglia e tempo libero e, soprattutto, senza guardare l’orologio mentre sta visitando un paziente.

La medicina in Italia non è il massimo.

Passiamo dall’eccellenza al degrado sia riguardo alle strutture che riguardo ai medici.

Purtroppo, spesso il degrado e l’incompetenza la scopriamo solo con le sentenze. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-reperibilita-medico/
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Avvocato penalista - Il medico reperibile, che rifiuta di recarsi in ospedale nei casi urgenti, è responsabile per mancato intervento in una situazione di emergenza e viola sia l’art. 328 del c. p., che l’art. 17 del C.C.N.L. dei dirigenti medici.
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venerdì 24 aprile 2015

Avvocato penalista - Il termine per le indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito e, pertanto, non è consentito al giudice di stabilire una decorrenza diversa.

Avvocato penalista - Il termine per le indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito e, pertanto, non è consentito al giudice di stabilire una decorrenza diversa.
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Avvocato penalista - Il termine per le indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito e, pertanto, non è consentito al giudice di stabilire una decorrenza diversa.
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""  Da quando decorre il termine per le indagini preliminari? Ecco la risposta della Cassazione

Da quando decorre il termine per le indagini preliminari? Ecco la risposta della Cassazione

Cassazione penale, sezione sesta, sentenza del 30.11.2012, n. 46391

La sentenza che abbiamo voluto riproporvi in questo articolo riguarda il termine per le indagini preliminari, in particolare, la Corte ha chiarito a riguardo che detto termine decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito e, pertanto, non è consentito al giudice di stabilire una decorrenza diversa. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-penale-termine-indagini-preliminari/
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Avvocato penalista - Il termine per le indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha provveduto ad iscrivere, nel registro delle notizie di reato, il nominativo della persona alla quale il reato è attribuito e, pertanto, non è consentito al giudice di stabilire una decorrenza diversa.

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giovedì 23 aprile 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di violenza sessuale (o stupro), Art. 609 bis del Codice Penale, la condotta di chi prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, prima prestato, venga poi meno, quale che ne sia la ragione.

Avvocato penalista - Integra il reato di violenza sessuale (o stupro), Art. 609 bis del Codice Penale, la condotta di chi prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, prima prestato, venga poi meno, quale che ne sia la ragione.
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Avvocato penalista - Integra il reato di violenza sessuale (o stupro), Art. 609 bis del Codice Penale, la condotta di chi prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, prima prestato, venga poi meno, quale che ne sia la ragione.
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"" Cassazione penale, se viene meno il consenso è stupro

Cassazione penale, se viene meno il consenso è stupro

Corte di Cassazione Penale Terza Sezione

La Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire un principio importante in materia di stupro definendo i limiti tra il lecito e l’illecito ovvero quando fermarsi se qualcuno ci ripensa.

Proprio così.

Secondo quanto ha stabilito la Cassazione, «integra il reato di violenza sessuale la condotta di chi prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento o della non condivisione della modalità di consumazione del rapporto».

Secondo i Supremi giudici infatti «il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità».

Il caso analizzato dalla Corte riguardava la vicenda di un 23enne di Novara che non solo aveva perseguitato la ex fidanzata ma l’aveva anche minacciata e costretta con violenza ad intrattenere con lui rapporti sessuali «estremamente violenti» imponendo alla ragazzina (all’epoca minorenne) delle pratiche sadiche minacciandola di diffondere le foto che la ritraevano mentre compiva atti sessuali.

In pratica, il caso di cui si è occupata la Cassazione racchiude un po’ di tutto, dalla minaccia allo stalking, dalle molestie alla violenza sessuale e chi più ne ha più ne metta.

La vicenda non poteva che concludersi con una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato che è stato condannato (a 3 anni e sei mesi) anche nella fase di merito sia dal Tribunale di Novara che dalla Corte d’Appello di Torino.

La difesa ha cercato in ogni modo di avvalorare la tesi che «trattandosi di un rapporto sadomaso, non si potrebbe ritenere che in ogni momento l’imputato avesse l’obbligo di verificare la persistenza del consenso».

In poche parole, la difesa ha tentato di riportare i fatti del processo dentro lo schema di un “normale rapporto sadomaso”, e quindi consenziente ma è stato tutto inutile.

La terza sezione penale non ha preso in considerazione questa tesi difensiva bocciando il ricorso dell’imputato e precisando che anche se la ragazza «pur avendo prestato il proprio consenso ad alcuni rapporti, ha manifestato un esplicito dissenso alla successive pratiche estreme poste in essere dall’imputato.

Di conseguenza la responsabilità dell’imputato è stata correttamente ritenuta sussistente».

A tal proposito meritano di essere ricordati alcuni precedenti della Cassazione casi che sul punto hanno creato non poca confusione:

Nel 2006 la Cassazione trattando un caso simile aveva stabilito che non è sempre configurabile come reato di violenza sessuale un rapporto iniziato con l’assenso di entrambi i partner, ma non interrotto su richiesta di uno degli amanti ma sempre sull’argomento, gli ermellini, anche per evitare che alcune situazioni restassero impunite, con la sentenza n. 36073/2011 e la n. 37916/2012 hanno avuto modo di fare chiarezza e di differenziare (e trattare) i rapporti (consenzienti e non) anche all’interno della coppia. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-penale-consenso-stupro/
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Avvocato penalista - Integra il reato di violenza sessuale (o stupro), Art. 609 bis del Codice Penale, la condotta di chi prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, prima prestato, venga poi meno, quale che ne sia la ragione.
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mercoledì 22 aprile 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di Abusivo esercizio di una professione, Articolo 348 del Codice Penale, dare consigli di alimentazione senza essere medico.

Avvocato penalista - Integra il reato di Abusivo esercizio di una professione, Articolo 348 del Codice Penale, dare consigli di alimentazione senza essere medico.
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Avvocato penalista - Integra il reato di Abusivo esercizio di una professione, Articolo 348 del Codice Penale, dare consigli di alimentazione senza essere medico.
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"" Cassazione, esercizio abusivo della professione dare consigli di alimentazione senza essere medico

Cassazione, esercizio abusivo della professione dare consigli di alimentazione senza essere medico

Corte di Cassazione Penale – Sesta Sezione Sentenza n. 15006 del 2 aprile 2013

Spesso la Cassazione si è occupata dei casi di esercizio abusivo della professione e questa volta lo fa rivolgendosi a coloro che, senza essere medici, danno consigli in materia di diete ed alimentazione.

La primavera è la stagione delle diete.

Tutti cercano di raggiungere il peso forma per prepararsi all’estate che si avvicina e alla cd. prova costume.

In questo caso, il mese di aprile ha portato invece una sentenza molto interessante che parla di diete e di falsi dietologi.

La sesta sezione penale, con la sentenza n. 15006 del 2 aprile 2013, ha confermato la condanna per esercizio abusivo della professione medica nei confronti di una coppia di coniugi che gestivano un centro dimagrante a dir poco miracoloso stando al nome “Dimagrire Mangiando”.

I due gestori, un commercialista “naturopata” e una psicologa sottoponevano i clienti a vari controlli interpretando loro stessi gli esiti e fornendo consigli di natura alimentare.

La Cassazione, ha confermato la penale responsabilità per i coniugi poiché svolgevano in maniera continuativa la suddetta attività che si concretizzava nel controllo delle intolleranze alimentari, la verifica dei bisogni nutritivi e della corretta assunzione di alimenti ovvero facevano attività “tipiche del medico chirurgo specializzato in scienze dell’alimentazione”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-esercizio-abusivo-della-professione-alimentazione-senza-essere-medico/
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Avvocato penalista - Integra il reato di Abusivo esercizio di una professione, Articolo 348 del Codice Penale, dare consigli di alimentazione senza essere medico.
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martedì 21 aprile 2015

Avvocato penalista - Rubare nel cortile condominiale è come rubare in casa altrui e integra il reato di cui all'Art. 624 bis del Codice Penale, ossia il Furto in abitazione e furto con strappo.

Avvocato penalista - Rubare nel cortile condominiale è come rubare in casa altrui e integra il reato di cui all'Art. 624 bis del Codice Penale, ossia il Furto in abitazione e furto con strappo.
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Avvocato penalista - Rubare nel cortile condominiale è come rubare in casa altrui e integra il reato di cui all'Art. 624 bis del Codice Penale, ossia il Furto in abitazione e furto con strappo.
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"" Cassazione penale, rubare nel cortile del condominio è come il furto in abitazione

Cassazione penale, rubare nel cortile del condominio è come il furto in abitazione

Corte di Cassazione Sentenza n. 4215/13

Rubare il navigatore dell’auto è come commettere il reato di furto in abitazione, se l’automobile è parcheggiata nel cortile del condominio.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 4215/2013, con cui gli ermellini, rigettando l’appello dell’imputato, hanno confermato la sentenza d’appello emessa nei suoi confronti perchè ritenuto colpevole di aver rubato due navigatori satellitari da due vetture che si trovavano parcheggiate nel cortile condominiale.

In Cassazione l’imputato lamentava principalmente la qualificazione del fatto contestatogli in quanto non si trattava di furto in abitazione poichè il reato si sarebbe consumato all’interno di un’area privata sulla quale vi era addirittura una servitù pubblica di passaggio pedonale.

Secondo i giudici di Piazza Cavour, è giusta l’equiparazione del reato al furto in abitazione in quanto l’attuale formulazione della norma in questione prevede la condotta dell’impossessamento mediante introduzione in un luogo destinato a privata dimora o nelle sue pertinenze e, pertanto, la fattispecie oggetto d’esame rientrava perfettamente nell’ambito di quella astrattamente ipotizzata dalla norma di riferimento.

L’area in cui erano parcheggiate le auto, a parer della difesa, non rientra nella pertinenza dell’abitazione proprio per il fatto che sulla stessa gravava la succitata servitù oltre che per la mancanza dell’esclusività del luogo stesso in quanto parte del condominio.

La Suprema Corte conclude chiarendo che la nozione di pertinenza valevole ai fini dell’art. 624 bis c.p. non coincide con quella civilistica, non richiedendo l’uso esclusivo del bene da parte di un solo proprietario.

Per i giudici del Palazzaccio, infatti, ciò che caratterizza il bene in questione non è tanto l’esclusività dello stesso ma piuttosto quello della sua strumentalità a un’esigenza di vita domestica del proprietario.

Ciò coincide con il ricovero e la tenuta a disposizione delle autovetture parcheggiate a cui l’imputato ha rubato il navigatore e, sulla base di queste considerazioni, la Cassazione ha respinto il ricorso. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-penale-rubare-nel-cortile-del-condominio-e-come-il-furto-in-abitazione/
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Avvocato penalista - Rubare nel cortile condominiale è come rubare in casa altrui e integra il reato di cui all'Art. 624 bis del Codice Penale, ossia il Furto in abitazione e furto con strappo.
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lunedì 20 aprile 2015

Avvocato penalista - Se l'ufficio è privo di misure idonee a prevenire azioni criminose, deve essere risarcito il danno biologico da invalidità permanente al dipendente che, in caso di rapina, riporti danni fisici.

Avvocato penalista - Se l'ufficio è privo di misure idonee a prevenire azioni criminose, deve essere risarcito il danno biologico da invalidità permanente al dipendente che, in caso di rapina, riporti danni fisici.
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Avvocato penalista - Se l'ufficio è privo di misure idonee a prevenire azioni criminose, deve essere risarcito il danno biologico da invalidità permanente al dipendente che, in caso di rapina, riporti danni fisici.
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"" Cassazione, deve essere risarcito il dipendente postale infortunatosi durante una rapina

Cassazione, deve essere risarcito il dipendente postale infortunatosi durante una rapina

Corte di Cassazione Sentenza n. 8486/2013

La Corte di Cassazione ha stabilito che, se un ufficio è privo delle misure “idonee a prevenire atti criminosi“, deve essere pagato il danno biologico da invalidità permanente al dipendente che, durante una rapina, riporta dei danni fisici.

Il caso analizzato dalla Cassazione riguardava un dipendente delle Poste Italiane che in occasione di una rapina avvenuta all’interno dell’ufficio postale ha subito dei danni fisici e ne ha chiesto il risarcimento alle Poste.

Secondo quando viene deciso dagli ermellini nella sentenza n. 8486/2013, Poste Italiane deve risarcire il dipendente “a titolo di danno biologico da invalidità permanente” (del 15%).

In pratica, la Corte ha rigettato il ricorso presentato dalle Poste italiane confermando il risarcimento di 22,500 euro stabilito dalla Corte territoriale di Bari.

I giudici hanno inoltre osservato che “se è vero che la responsabilità del datore non può essere dilatata fino a comprendere ogni ipotesi di danno”, “le misure e le cautele da adottarsi devono prevenire sia i rischi insiti in quell’ambiente, sia i rischi derivanti dall’azione di fattori ad esso esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova“.

Secondo Piazza Cavour, l’imprenditore deve “valutare se l’attività della sua azienda presenti rischi extra-lavorativi” e adottare le misure “più consone e più aggiornate” per far operare il lavoratore “in assoluta sicurezza”, come dettato dall’art. 2087 del codice civile in materia di tutela delle condizioni di lavoro. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-risarcito-dipendente-postale-rapina-danno-biologico/
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Avvocato penalista - Se l'ufficio è privo di misure idonee a prevenire azioni criminose, deve essere risarcito il danno biologico da invalidità permanente al dipendente che, in caso di rapina, riporti danni fisici.
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domenica 19 aprile 2015

Avvocato penalista - Nel processo penale, l’onere probatorio su domanda civile incombe su chi chieda un risarcimento da illecito aquiliano; per cui, deve provare, ex art. 2043 c.c., il danno ingiusto e il suo autore.

Avvocato penalista - Nel processo penale, l’onere probatorio su domanda civile incombe su chi chieda un risarcimento da illecito aquiliano; per cui, deve provare, ex art. 2043 c.c., il danno ingiusto e il suo autore.
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Avvocato penalista - Nel processo penale, l’onere probatorio su domanda civile incombe su chi chieda un risarcimento da illecito aquiliano; per cui, deve provare, ex art. 2043 c.c., il danno ingiusto e il suo autore.
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"" Spetta a chi chiede il risarcimento dimostrare il danno ingiusto

Spetta a chi chiede il risarcimento dimostrare il danno ingiusto

Corte di Cassazione Sentenza n. 4789/2013

Gli incidenti stradali sono sempre una seccatura.

Raramente si viene risarciti nei termini previsti dalla legge e, nella maggior parte dei casi, il risarcimento avviene dopo aver esercitato l’azione giudiziaria con la sentenza del giudice.

Sull’argomento segnaliamo una interessante sentenza della Corte di cassazione che ha trattato una caso molto curioso che riguardava un incidente stradale tra due vetture, una delle quali era condotta da un uomo facilmente irritabile.

Chiaramente stiamo parlando di un sinistro e quindi rientriamo nell’ambito del risarcimento del danno subito in conseguenza di un incidente stradale solo che, in alcuni casi, non è facile individuare il colpevole.

Di solito si parte dal concorso di colpa, principio base su questa materia, per poi giungere eventualmente ad un addebito esclusivo della causazione dell’incidente ma una cosa è dirlo altro è applicare (tra conducenti) questo principio senza che gli animi si scaldino troppo.

Nel caso di specie, ciò che rende questa vicenda curiosa sta nel fatto che il conducente di uno dei due veicoli coinvolti è sceso dalla macchina ed ha iniziato a prendere a calci l’altra vettura.

Una classica scena di film d’altri tempi era quella in cui uno dei conducenti scendeva dall’alto col crick in mano e tutto finivacon un semplice sguardo ma in questo caso la situazione è stata molto diversa.

Infatti, se un conducente ha presentato la domanda di risarcimento del danno l’altro ha invece sporto querela per danneggiamento.

Inevitabilmente tutto si trasferisce dentro le aule del Tribunale dove l’imputato veniva assolto “perchè il fatto non sussiste”.

In appello, ai soli fini civilistici, la sentenza è stata rifomata dai giudici territoriali condannando l’imputato al risarcimento del danno.

Ecco dunque che il caso giunge al Palazzaccio dove la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’imputato sulla base del fatto che i giudici di secondo grado si sono limitati a fondare la riforma della precedente decisione, «sull’asserita insussistenza di una prova evidente dell’assoluta estraneità» dell’imputato ai fatti, ribaltando così l’onere probatorio.

La Corte, nella sentenza n. 4789/2013, ha spiegato che nel processo penale, l’onere probatorio su domanda civile corrisponde alla sede processuale, che peraltro è uguale ai criteri civilistici, secondo cui incombe «su chi chieda un risarcimento da illecito aquiliano dimostrare ex art. 2043 c.c. il danno ingiusto e il suo autore».

In poche parole, in sede d’appello dovevano delinearsi le linee del ragionamento innovativo preso in considerazione dai giudici, il percorso logico che ha portato a quella determinata decisione ma, nel caso in oggetto, di questo ragionamento non vi è traccia.

Al di là di tutte le altre valutazioni effettuate dagli ermellini sulle precedenti decisioni, i giudici concludono annullando la sentenza e rinviando tutto affinchè si proceda con un nuovo giudizio ribadendo, nelle motivazioni, che spetta a chi chiede il risarcimento dimostrare il danno ingiusto.

Secondo gli ermellini, anche con riferimento alle dichiarazioni del querelante (considerate inattendibili già dal Tribunale, sia per la data successiva al momento in cui è stata avviata la procedura di risarcimento dall’altra parte, sia per il fatto che prima si contestava una ammaccatura mentre successivamente un graffio e, comunque, tutto non coincideva con quanto riportavano le fotografie allegate) la corte d’appello si è limitata, «a meglio circostanziarle, senza però motivare il maggior credito attribuito alla prospettazione accusatoria rispetto alle contrarie dichiarazioni» del querelato e della moglie. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/risarcimento-danno-ingiusto-incidente-stradale/
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Avvocato penalista - Nel processo penale, l’onere probatorio su domanda civile incombe su chi chieda un risarcimento da illecito aquiliano; per cui, deve provare, ex art. 2043 c.c., il danno ingiusto e il suo autore.
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sabato 18 aprile 2015

Avvocato penalista - Ricorre l'esimente della reciprocità delle offese, se si chiude la porta in faccia al vicino, che ritiene, a torto, di avere ragione.

Avvocato penalista - Ricorre l'esimente della reciprocità delle offese, se si chiude la porta in faccia al vicino, che ritiene, a torto, di avere ragione.
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Avvocato penalista - Ricorre l'esimente della reciprocità delle offese, se si chiude la porta in faccia al vicino, che ritiene, a torto, di avere ragione.
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"" Cassazione, C’è reciprocità di offese se si chiude la porta in faccia al vicino
 
Cassazione, C’è reciprocità di offese se si chiude la porta in faccia al vicino
 
Corte di Cassazione Penale – Sentenza n. 4691/2013
 
In materia di condominio la Cassazione ci ha regalato sentenze davvero uniche e questo perchè, come sempre, la realtà supera di molto l’immaginazione soprattutto tra persone che vivono sotto lo stesso tetto o dentro lo stesso condominio.
 
Viver insieme ad altra gente non è per niente facile eppure per l’uomo, da sempre definito come un “animale sociale”, le cose dovrebbero essere al contrario.
 
Se le situazioni più strane si verificano sempre in famiglia o tra vicini di casa, quindi tra le persone che si conoscono e frequentano meglio, forse il vero problema dell’uomo è quello di socializzare troppo?
 
Nella vicenda oggetto della sentenza esaminata dalla Cassazione parliamo di porte chiuse in faccia e di insulti reciproci ovviamente tra condomini.
 
A scatenare la lite tra vicivi è stato il parcheggio.
 
Una macchina parcheggiata in maniera poco ordinata ha dato vita a una vera e propria “guerra” tra condomini.
 
Una banale discussione ha acceso tanto gli animi dei partecipanti al punto di trasferire tutta la vicenda dapprima dentro le aule dei Tribunali e infine dentro il Palazzaccio, dove i giudici hanno definitivamente chiuso la questione.
 
Sono volate parole grosse durante la lite ma l’uomo accusato di aver ingiuriato la propria vicina è stato assolto perchè la sua è stata una reazione all’offesa costituita dall’essersi visto sbattere la porta in faccia dalla donna che, così facendo ha rifiutato il dialogo.
 
La Cassazione, con la sentenza n. 4691/2013, ha stabilito che questo comportamento di rifiuto costituisce una vera e propria offesa.
 
L’imputato si era recato presso l’abitazione della donna «per chiedere di spostare un’autovettura mal parcheggiata che impediva il transito in prossimità del garage» ma invece di risolvere tutto in maniera educata, nasceva un diverbio con i vicini che lo accusavano di aver rivolto «minacce gravi» e «ingiurie non giustificate» nei confronti della donna.
 
Secondo i giudici territoriali però non vi è prova delle minacce e le ingiurie sono da considerare come una reazione all’atteggiamento offensivo tenuto proprio dalla vicina.
 
Anche Piazza Cavour però è dello stesso parere poichè i modi inurbani della vicina e dell’uomo si annullano reciprocamente anche perchè «sono state proferite da soggetto, portatore di una giusta richiesta (di spostare l’auto che gli impediva l’accesso al garage), cui due volte era stata chiusa la porta in faccia».
 
Questo comportamento deve essere considerato al pari di un’ «offesa (non verbale)», cui è seguita la reazione dell’uomo pertanto, vista la reciprocità delle offese, anche la Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione dell’uomo dal reato di ingiuria. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
 
Avvocato penalista - Ricorre l'esimente della reciprocità delle offese, se si chiude la porta in faccia al vicino, che ritiene, a torto, di avere ragione.
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venerdì 17 aprile 2015

Avvocato penalista - Costituisce Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, Art. 600 c. p., costringere taluno a fare il mimo o l'accattone per strada.

Avvocato penalista - Costituisce Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, Art. 600 c. p., costringere taluno a fare il mimo o l'accattone per strada.
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Avvocato penalista - Costituisce Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, Art. 600 c. p., costringere taluno a fare il mimo o l'accattone per strada.
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"" Accattonaggio e riduzione in schiavitù

Costretti a fare i “mimi” per strada.

Per la Cassazione è accattonaggio e riduzione in schiavitù

Corte di Cassazione – Sentenza n. 16313/2013

La Cassazione con la sentenza n.16313/2013 che di seguito si riporta in pdf, ha trattato un tema molto importante che riguarda l’art. 600 c. p.

Art. 600 c.p. Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù

Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento, è punito con la reclusione da otto a venti anni.

La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti di cui al primo comma sono commessi in danno di minore degli anni diciotto o sono diretti allo sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di organi.

La Corte ha ritenuto colpevoli del reato di cui all’articolo appena citato due rumeni perché costringevano delle loro connazionali all’accattonaggio tramite spettacoli da mimo.

Secondo gli ermellini infatti, i due uomini obbligati a fare imitazioni per strada sarebbero stati privati della loro libertà individuale con minacce e non avrebbero potuto sottrarsi alla “prestazione per così dire lavorativa”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-accattonaggio-schiavitu/
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Avvocato penalista - Costituisce Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, Art. 600 c. p., costringere taluno a fare il mimo o l'accattone per strada .
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giovedì 16 aprile 2015

Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Articolo 674 del Codice Penale, Getto pericoloso di cose, buttare giù dal balcone i mozziconi delle sigarette.

Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Articolo 674 del Codice Penale, Getto pericoloso di cose, buttare giù dal balcone i mozziconi delle sigarette.

A prescindere dalla ovvia considerazione che certe azioni sono previste e vietate dalla buona educazione e dal senso di civiltà, prima che dal Codice Penale.
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Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Articolo 674 del Codice Penale, Getto pericoloso di cose, buttare giù dal balcone i mozziconi delle sigarette.
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"" Cassazione, è reato gettare sigarette dal balcone

Cassazione, è reato gettare sigarette dal balcone

Corte di Cassazione Civile – Sentenza n. 16459 dell’11 aprile 2013

I rapporti tra condomini spesso sono resi incandescenti proprio da alcune piccole abitudini di cui non si riesce a farne a meno.

Gli esempi che si possono fare sono veramente tanti, fra tutti quello di mettersi a fumare dalla finestra di casa senza pensare che la cenere (e spesso anche il mozzicone) finisce tutta sul balcone dell’inquilino del piano di sotto (che magari aveva appena messo ad asciugare il bucato).

Fumare sul balcone, annaffiare le piante, sbattere i tappeti, pulire la tovaglia del pranzo e altre cose di questo genere (ripetute nel tempo) possono davvero far innervosire chi abita nell’appartamento sottostante.

E’ una questione di educazione e, pertanto, se non si presta la dovuta attenzione alle proprie azioni è facile che una sigaretta possa accendere una lite difficilmente risolvibile se non dopo tre gradi di giudizio.

Il caso che trattato dagli ermellini con la sentenza n. 16459 dell’11 aprile 2013, riguarda proprio una lite originata dalla cenere delle sigarette.

La Suprema Corte, condividendo la decisione dei giudici territoriali, ha ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 674 c.p. una donna accusata per aver gettato nel piano sottostante al suo appartamento rifiuti, quali cenere e cicche di sigarette, nonché detersivi corrosivi, quale candeggina.

Art. 674 Codice Penale

Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/reato-gettare-sigarette-dal-balcone/
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Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Articolo 674 del Codice Penale, Getto pericoloso di cose, buttare giù dal balcone i mozziconi delle sigarette.
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mercoledì 15 aprile 2015

Avvocato penalista - In tema di concorrenza sleale, brevetti e contraffazione, il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento, occorrendo di volta in volta stabilire se gli imprenditori offrono prodotti idonei a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela.

Avvocato penalista - In tema di concorrenza sleale, brevetti e contraffazione, il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento, occorrendo di volta in volta stabilire se gli imprenditori offrono prodotti idonei a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela.
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Avvocato penalista - In tema di concorrenza sleale, brevetti e contraffazione, il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento, occorrendo di volta in volta stabilire se gli imprenditori offrono prodotti idonei a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela.
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"" Brevetti, concorrenza e contraffazione. La decisione della Cassazione

Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621

Con una sentenza recente (Cassazione I civile del 11 gennaio 2013, n. 621) la Corte di Cassazione, in materia di contraffazione e brevetti ha affermato che “il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento ovvero rilevante, occorrendo dunque di volta in volta stabilire nelle singole vicende se gli imprenditori in conflitto offrono prodotti destinati a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela (Cass. N. 3040 del 2005, in fattispecie di preuso nella quale dunque l’accertamento della sussistenza del rapporto di concorrenza era fondamentale). ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/brevetti-concorrenza-contraffazione-cassazione/
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Avvocato penalista - In tema di concorrenza sleale, brevetti e contraffazione, il carattere contraffattorio va accertato riguardo al mercato di riferimento, occorrendo di volta in volta stabilire se gli imprenditori offrono prodotti idonei a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela.
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martedì 14 aprile 2015

Avvocato penalista - Impone il collocamento in una comunità il contegno del minore, anche se incensurato, quando denota l'elevata capacità criminale e il concreto pericolo di reiterazione di analoghi o diversi reati.

Avvocato penalista - Impone il collocamento in una comunità il contegno del minore, anche se incensurato, quando denota l'elevata capacità criminale e il concreto pericolo di reiterazione di analoghi o diversi reati.
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Avvocato penalista - Impone il collocamento in una comunità il contegno del minore, anche se incensurato, quando denota l'elevata capacità criminale e il concreto pericolo di reiterazione di analoghi o diversi reati.
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"" Collocamento presso la comunità se il ragazzo “vivace” può reiterare gravi reati

Collocamento presso la comunità se il ragazzo “vivace” può reiterare gravi reati

Corte di Cassazione – Sentenza n. 5686/2013

Il caso trattato dalla Suprema Corte riguardava un ragazzo che aveva commesso violenze e minacce nei confronti di un suo coetaneo e che, già nella fase di merito, era stato definito più che vivace ravvisando il serio pericolo della reiterazione della condotta.

Questa decisione era stata presa dai giudici sulla base della pessima condotta del ragazzo, quindi hanno basato la propria decisione prendendo in considerazione il curriculum scolastico del minore, indagato per gravi atti di violenza.

Il ragazzo aveva infatti picchiato un suo coetaneo ma gli aveva anche sottratto il cellulare e lo aveva costretto a bere un liquido contenente delle sostanze stupefacenti.

A parere dei giudici questi sono atti gravissimi e questa aggressività potrebbe concretizzarsi nuovamente e per questo il ragazzo è stato collocato presso una comunità.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 5686/2013 che ha respinto la richiesta di riesame dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare del collocamento in comunità emessa nei confronti del minore.

Secondo gli ermellini, la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile solo in alcuni specifici casi: nel caso in cui la motivazione sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, e rendere incomprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito; ovvero quando risulta essere priva dei necessari passaggi logici compromettendo le ragioni che giustificano l’applicazione della misura.

Secondo Piazza Cavour il fatto di essere incensurato non dimostra nulla riguardo alla possibile pericolosità dell’indagato e, nel caso di specie, una misura meno afflittiva non sarebbe idonea a impedire la commissione di fatti analoghi. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/collocamento-comunit-ragazzo-vivace/
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Avvocato penalista - Impone il collocamento in una comunità il contegno del minore, anche se incensurato, quando denota l'elevata capacità criminale e il concreto pericolo di reiterazione di analoghi o diversi reati.
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lunedì 13 aprile 2015

Avvocato penalista - Il ricatto o la violenza sessuale sui minori via internet non hanno alcuna attenuante.

Avvocato penalista - Il ricatto o la violenza sessuale sui minori via internet non hanno alcuna attenuante.
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Avvocato penalista - Il ricatto o la violenza sessuale sui minori via internet non hanno alcuna attenuante.
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"" Cassazione, nessun attenuante per i ricatti sessuali online

Cassazione, nessun attenuante per i ricatti sessuali online

Cassazione Sentenza n. 19033/2013

La Cassazione ha trattato un argomento molto delicato e che dovrebbe interessare tutti, specialmente coloro che hanno figli minori che quotidianamente navigano da un sito all’altro, da una chat ad un social network.

Forse dovremmo stare più attenti all’uso che i nostri figli fanno del web perché dentro questo “oceano” senza fine non si sa mai dove e con chi si interagisce.

Con la sentenza in esame la Cassazione ha affermato che la violenza sessuale sui minori via internet non può trovare attenuanti e, sulla base di questa considerazione ha confermato la condanna che la Corte d’Appello di Roma ha inflitto ad un uomo perché era stato giudicato colpevole per aver dapprima adescato online due ragazzine minori di 14 anni e poi, ricattato queste ultime di diffondere le foto/video che le ritraevano nude e in pose oscene.

La difesa dell’uomo ha cercato in ogni modo di far “passare” la propria tesi, per cui le minacce perpetrate in assenza di contatto fisico non avrebbero nessun effetto intimidatorio.

La Cassazione però non è stata dello stesso parere, infatti, i Supremi Giudici, confermando la condanna dell’imputato, hanno spiegato che “è sufficiente che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo” e, inoltre, si legge nella sentenza, “per l’applicazione dell’attenuante in questione, non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra l’autore del reato e la vittima”. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/cassazione-attenuante-ricatto-sessuale-online/
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Avvocato penalista - Il ricatto o la violenza sessuale sui minori via internet non hanno alcuna attenuante.
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