http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: novembre 2014

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domenica 30 novembre 2014

Avvocato penalista - Integra il reato di Oltraggio a magistrato in udienza (Articolo 343 del Codice Penale) offendere un giudice nel corso dell'udienza.

Avvocato penalista - Integra il reato di Oltraggio a magistrato in udienza (Articolo 343 del Codice Penale) offendere un giudice nel corso dell'udienza.
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Avvocato penalista - Integra il reato di Oltraggio a magistrato in udienza (Articolo 343 del Codice Penale) offendere un giudice nel corso dell'udienza. 
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"" E’ oltraggio a magistrato se l’avvocato offende un giudice
 
E’ oltraggio a magistrato se l’avvocato offende un giudice
 
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 18 settembre – 1 ottobre 2014, n. 40596
Presidente Di Virginio – Relatore Rotundo
 
Tra magistrati ed avvocati non sempre corre buon sangue, ma arrivare agli insulti potrebbe costar caro infatti, con la sentenza che di seguito si riporta, la Cassazione ha riformato una sentenza d’Appello che assolveva un avvocato (condannato a 8 mesi in primo grado) per aver detto in udienza, rivolgendosi al giudice una frase lesiva dell’onore e del prestigio di quest’ultimo.
 
Per la Cassazione è chiaramente oltraggio a magistrato e, pertanto, deve ritenersi fondato il ricorso presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Lecce che chiedeva l’annullamento della sentenza d’appello per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
 
In effetti, precisa la Corte di Piazza Cavour, “è di tutta evidenza la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata”, infatti, proseguono i giudici, “la Corte di merito ha ritenuto che, contrariamente a quanto affermato dall’imputato, l’espressione “questa è pazza” era stata effettivamente pronunciata dall’avv. G. ed era stata da lui indirizzata al Giudice P. a motivo delle sue decisioni sulle richieste del medesimo legale e prima che avesse termine la redazione del verbale.
 
La Corte di Appello ha, però, assolto l’imputato sul presupposto che egli non si sarebbe accorto che, nella foga, stava parlando a voce non adeguatamente bassa, in quanto le sue parole sarebbero state diverse se egli avesse voluto farsi sentire dal magistrato.
 
Si tratta di conclusioni palesemente illogiche e contraddittorie, posto che in primo luogo lo stesso G. ha in realtà sempre negato di essersi rivolto al Giudice sostenendo di avere detto la frase “questo è pazzo” riferendosi al suo cliente Ippolito, e, in secondo luogo, tutte le risultanze processuali hanno dimostrato che il prevenuto, subito dopo avere detto “questa è pazza”, aveva battuto un colpo col pugno sul tavolo e si era allontanato dall’aula, in segno evidente di fastidio e dissenso, prima che il Giudice terminasse la verbalizzazione“.
 
La Cassazione comunque ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
 
Articolo 343 Codice Penale Oltraggio a un magistrato in udienza
 
Chiunque offende l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza  è punito con la reclusione fino a tre anni.
 
La pena è della reclusione da due a cinque anni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato [594 3].
 
Le pene sono aumentate [64] se il fatto è commesso con violenza o minaccia. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Integra il reato di Oltraggio a magistrato in udienza (Articolo 343 del Codice Penale) offendere un giudice nel corso dell'udienza. 
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sabato 29 novembre 2014

Avvocato penalista - Integra i reati di Abuso d’ufficio (Articolo 323 del Codice Penale) e Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (Articolo 479 del Codice Penale) il contegno del Carabiniere che suggerisca un avvocato agli arrestati.

Avvocato penalista - Integra i reati di Abuso d’ufficio (Articolo 323 del Codice Penale) e Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (Articolo 479 del Codice Penale) il contegno del Carabiniere che suggerisca un avvocato agli arrestati.
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Avvocato penalista - Integra i reati di Abuso d’ufficio (Articolo 323 del Codice Penale) e Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (Articolo 479 del Codice Penale) il contegno del Carabiniere che suggerisca un avvocato agli arrestati.
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"" Commette abuso d’ufficio il Carabiniere che suggerisce un avvocato agli arrestati

Commette abuso d’ufficio il Carabiniere che suggerisce un avvocato agli arrestati

Corte di Cassazione Sezione V Penale
Sentenza 16 luglio – 3 ottobre 2014, n. 41191
Presidente Palla – Relatore Zaza

Con la sentenza che di seguito si riporta, la Cassazione ha esaminato il caso in cui un carabiniere che suggeriva agli arrestati il nominativi di un avvocato per la loro difesa.

La Corte ne ha dunque approfittato per chiarire meglio tutti i principi di diritto connessi con le questioni sollevate anche nei motivi del ricorso riguardanti il reato di abuso d’ufficio e l’elemento psicologico del reato oltre a delineare anche gli aspetti relativi alla responsabilità per il reato di falso ideologico e all’attendibilità (e rilevanza) delle dichiarazioni rese dagli arrestati ai quali veniva consigliato quel determinato avvocato, non presente nelle liste dei difensori d’ufficio.

Articolo 323 Codice Penale Abuso d’ufficio

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.

Articolo 479 Codice Penale Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici

Il pubblico ufficiale, che ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell’art. 476 [487, 493] ""

Fonte sentenze-cassazione.com. qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/commette-abuso-dufficio-carabiniere-suggerisce-avvocato-agli-arrestati/
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Avvocato penalista - Integra i reati di Abuso d’ufficio (Articolo 323 del Codice Penale) e Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (Articolo 479 del Codice Penale) il contegno del Carabiniere che suggerisca un avvocato agli arrestati.
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venerdì 28 novembre 2014

Avvocato penalista - Il giudice che fonda la colpevolezza dell’imputato sulla base di una prova dichiarativa deve spiegarne l’attendibilità, a pena di annullamento della sentenza.

Avvocato penalista - Il giudice che fonda la colpevolezza dell’imputato sulla base di una prova dichiarativa deve spiegarne l’attendibilità, a pena di annullamento della sentenza.
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Avvocato penalista - Il giudice che fonda la colpevolezza dell’imputato sulla base di una prova dichiarativa deve spiegarne l’attendibilità, a pena di annullamento della sentenza.
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"" Colpevolezza imputato e attendibilità della prova dichiarativa
 
Colpevolezza imputato e attendibilità della prova dichiarativa
 
Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 12 giugno – 30 ottobre 2014, n. 45061
Presidente Garribba – Relatore Leo
 
La Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, trattando un caso di concussione, ne ha approfittato per chiarire alcuni aspetti riguardanti le prove assunte nel processo penale.
 
In particolare, la Cassazione si è soffermata nel ribadire un importante principio di diritto secondo il quale il giudice che fonda la colpevolezza dell’imputato sulla base di una prova dichiarativa deve, a pena di annullamento della sentenza, spiegarne l’attendibilità.
 
Si legge in sentenza “sono obiettivamente peculiari i “doveri” di argomentazione che gravano sul giudice d’appello quando lo stesso decide di ribaltare un deliberato di assoluzione: “non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio“
 
La regola assume connotazione particolare quando la “rivisitazione” concerna una prova dichiarativa, e risulta determinante, nell’economia delle decisioni di assoluzione e di condanna, il giudizio sulla idoneità dimostrativa della medesima a sorreggere l’enunciato accusatorio.
 
Continuano i giudici affermando che “l’eventuale incompletezza del ragionamento assolutorio, e perfino la scarsa sua persuasività, non legittimano una successiva decisione di condanna a meno che la stessa non ricostruisca in piena autonomia, con motivazione di particolare completezza ed incisività, i fatti rilevanti della causa.
 
L’atteggiamento assunto dalla Corte territoriale ha implicato che fossero lasciate senza apprezzamento le considerazioni critiche della difesa, più o meno attendibili, ma certo pertinenti, riguardo alla prova risultata decisiva per l’accusa“. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Il giudice che fonda la colpevolezza dell’imputato sulla base di una prova dichiarativa deve spiegarne l’attendibilità, a pena di annullamento della sentenza.
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giovedì 27 novembre 2014

Avvocato penalista - E’ tentato omicidio (Articoli 56 e 575 del Codice Penale) usare una mazza da baseball nel corso di una lite; lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza che segue.

Avvocato penalista -  E’ tentato omicidio (Articoli 56 e 575 del Codice Penale)  usare una mazza da baseball nel corso di una lite; lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza che segue.
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Avvocato penalista -  E’ tentato omicidio (Articoli 56 e 575 del Codice Penale)  usare una mazza da baseball nel corso di una lite; lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza che segue.
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Sicuramente si sarà trattato di tentato omicidio nel caso vagliato dalla nostra Corte di Cassazione, ma non sempre è così, poiché - come la Corte di Cassazione ammonisce da sempre - non è nella tipologia del mezzo usato per arrecare offesa alla vittima del reato la chiave di lettura delle vere intenzioni del soggetto agente, ma nelle concrete estrinsecazioni della sua azione o condotta criminale, la quale ed a seconda dei casi si può concretare anche e soltanto nei reati di lesioni personali lievi, gravi o gravissime che siano...

"" E’ tentato omicidio usare una mazza da baseball in una lite

E’ tentato omicidio usare una mazza da baseball in una lite
Corte di Cassazione Sezione Feriale Penale
Sentenza 27 maggio – 1 ottobre 2014 n. 40642

Non esiste film americano che si rispetti dove nel bel mezzo di una lite uno dei partecipanti si avvicina alla propria auto e prende in mano una mazza da baseball.

Un italiano, almeno fino a qualche tempo fa, piuttosto che una mazza avrebbe preso il cric che oltre ad essere un attrezzo utile (anzi indispensabile) per la sostituzione di una ruota all’occorrenza avrebbe potuto anche essere utilizzato, diciamo così, per altre “funzioni”.

Forse a causa del nuovo formato dei cric (sempre più piccoli) o per il fatto che ormai la maggior parte dei produttori di veicoli forniscono al guidatore un “pratico” (per chi lo sa usare) kit di riparazione, ma di liti col cric non se ne parla più e, anche l’Italia, come spesso accade, vuoi per la moda vuoi per colpa della globalizzazione o dei troppi films di importazione d’oltre oceano, si è americanizzata ed è passata alle mazze da baseball.

A questo punto un nostalgico avrebbe sicuramente detto … “non ci sono più i cric di una volta…”

Ecco dunque che anche dalle nostre parti si iniziano ad usare mazze da baseball anche se sono ancora pochi quelli che poi le usano per giocarci, meglio tenerla in macchina, metti che improvvisamente venisse voglia di farsi una partitella fra amici.

Nonostante l’ironica introduzione (o almeno il tentativo di farlo), l’argomento trattato dalla sentenza che riportiamo al link in fondo all’articolo è molto serio e dovrebbe far riflettere visto l’aumento nel nostro Paese dei casi di micro-criminalità.

In particolare, dovrebbe far capire a far capire a chi fa un uso improprio di una mazza da baseball, di un bastone e altri oggetti simili che il rischio è alto e che basta poco per trasformare una piccola lite in una grande tragedia.

I fatti riportati nella sentenza in commento parlano di una lite tra donne degenerata anche per la partecipazione di altre persone, che sono intervenute e una delle quali, l’imputato, avrebbe agito usando una mazza da baseball (per colpire violentemente un uomo che gravemente ferito, cadeva sanguinante a terra prima di essere ricoverato in prognosi riservata presso il reparto di neurochirurgia dell’ospedale).

La vittima riportava gravi lesioni al capo e ad altre parti del corpo, consistenti in un’emorragia cerebrale e fratture varie.

Il reato contestato all’aggressore è stato quello di tentato omicidio in quanto gli atti dell’agente sono da considerarsi ex ante “dotati di oggettiva idoneità a offendere e mettere in concreto pericolo il bene della vita, protetto dalla norma incriminatrice, e rivelino l’intenzione di commettere il delitto di cui all’art. 575 cod. pen.“

Articolo 575 Codice Penale Omicidio

Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno [276, 295, 579; c. nav. 1150]. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/tentato-omicidio-usare-mazza-baseball-in-lite/
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Avvocato penalista -  E’ tentato omicidio (Articoli 56 e 575 del Codice Penale)  usare una mazza da baseball nel corso di una lite; lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza che segue.
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mercoledì 26 novembre 2014

Avvocato penalista - Integra il reato di Falso ideologico (Articolo 483 del Codice Penale) anche il contegno di chi renda al pubblico ufficiale attestazioni incomplete od omissive circa i fatti dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità.

Avvocato penalista - Integra il reato di Falso ideologico (Articolo 483 del Codice Penale) anche il contegno di chi renda al pubblico ufficiale attestazioni incomplete od omissive circa i fatti dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità.
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Avvocato penalista - Integra il reato di Falso ideologico (Articolo 483 del Codice Penale) anche il contegno di chi renda al pubblico ufficiale attestazioni incomplete od omissive circa i fatti dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità.
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"" Falso ideologico anche in caso di attestazione incompleta

Falso ideologico anche in caso di attestazione incompleta

Corte di Cassazione, sez. V Penale
sentenza 15 maggio – 2 ottobre 2014, n. 40982
Presidente Ferrua – Relatore Micheli

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha fatto alcune precisazioni sul reato di cui all’articolo 483 del codice penale.

Infatti, il processo penale si avviava per colpa di una presunta falsa attestazione circa l’assenza di pendenze penali a carico dell’imputato, il quale la produceva in allegato a una domanda di partecipazione ad un concorso per la copertura di due posti di dirigente presso l’amministrazione comunale del capoluogo lombardo.

Nel bando infatti, tra i requisiti per l’ammissione al concorso, vi era anche che i candidati non avessero riportato condanne tali da impedire che un rapporto di pubblico impiego venisse incardinato o mantenuto; nel contempo, i partecipanti erano chiamati a sottoscrivere dichiarazioni circa gli eventuali carichi pendenti, pena l’esclusione dal concorso medesimo.

L’imputato però dichiarava “di non avere riportato condanne penali né di avere procedimenti penali in corso che impediscano la costituzione del rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche“.

Per i giudici, nel comportamento tenuto dall’imputato “deve ritenersi ravvisabile un falso per omissione, a nulla rilevando la circostanza della più o meno immediata esclusione dell’imputato dal concorso giacché il delitto in rubrica ha evidente natura di reato di pericolo: l’imputato era tenuto a comunicare tutti i carichi pendenti e – aggiungendo, alla attestazione di non averne, una specificazione non richiesta – realizzò il risultato di dire di non avere pendenze con determinate caratteristiche, omettendo di rappresentare (come gli era invece imposto di fare, ed essendosi obbligato in tal senso sottoscrivendo un modello che richiamava le previsioni in tema di dichiarazioni sostitutive di atti notori) che ne aveva invece di altre“.

La giurisprudenza di questa Corte, continuano i giudici, “ha già più volte affermato che “la falsità ideologica può essere consumata anche mediante un’attestazione incompleta, ogniqualvolta il contenuto espositivo dell’atto sia, comunque, tale da far assumere all’omissione dell’informazione, relativa ad un determinato fatto, il significato di negazione della sua esistenza” (Cass., Sez. V, n. 6244 del 14/01/2004, Bongioanni, Rv 228077; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. V, n. 18191 del 09/01/2009, De Donno).

In una fattispecie concreta relativa ad una pratica per l’erogazione di contributi post-terremoto, dove era stata attestata la pendenza di un’ordinanza di sgombero di un immobile, senza aggiungere che la stessa era già stata revocata, si è affermato che “integra il reato di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che, formando un’attestazione, tace dati la cui omissione, non ultronea nell’economia dell’atto, produca il risultato di una documentazione incompleta e comunque contraria, anche se parzialmente, ai vero” (Cass., Sez. VI, n. 21969 del 14/12/2012, Bardi, Rv 256544).

Ancor più di recente, è stato precisato che “la falsità In atto pubblico può integrare il falso per omissione allorché l’attestazione incompleta – perché priva dell’informazione su un determinato fatto – attribuisca al tenore dell’atto un senso diverso, cosi che l’enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario ai vero” (Cass., Sez. V, n. 45118 del 23/04/2013, Di Fatta, Rv 257549)“.

In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso poichè nel caso esaminato “solo in apparenza si registra – piuttosto che l’omissione di una informazione idonea a dare completezza all’atto – (Inserimento di una informazione ulteriore, non conferente: come detto, dichiarando di non avere “procedimenti penali in corso che Impediscano la costituzione dei rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche”, l’imputato omise di attestare di avere un carico pendente per abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti, quando invece avrebbe avuto l’obbligo di darne contezza“.

Articolo 483 del Codice Penale Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico

Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale [c.p. 357], in un atto pubblico [c.c. 2699; c.p. 492, 495], fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità [c.p. 567], è punito con la reclusione fino a due anni [c.p. 491].

Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile [c.c. 449; c.p. 495], la reclusione non può essere inferiore a tre mesi. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/falso-ideologico-in-caso-attestazione-incompleta/
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Avvocato penalista - Integra il reato di Falso ideologico (Articolo 483 del Codice Penale) anche il contegno di chi renda al pubblico ufficiale attestazioni incomplete od omissive circa i fatti dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità.
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martedì 25 novembre 2014

Avvocato penalista - Le Avances o i palpeggiamenti tra colleghi integrano sempre il reato di Violenza sessuale (Articolo 609 bis del Codice Penale), ma le frasi scurrili che spesso li accompagnano non sempre integrano anche il reato di Ingiuria (Articolo 594 del Codice Penale).

Avvocato penalista - Le Avances o i palpeggiamenti tra colleghi integrano sempre il reato di Violenza sessuale (Articolo 609 bis del Codice Penale), ma le frasi scurrili che spesso li accompagnano non sempre integrano anche il reato di Ingiuria (Articolo 594 del Codice Penale).
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Avvocato penalista - Le Avances o i palpeggiamenti tra colleghi integrano sempre il reato di Violenza sessuale (Articolo 609 bis del Codice Penale), ma le frasi scurrili che spesso li accompagnano non sempre integrano anche il reato di Ingiuria (Articolo 594 del Codice Penale).
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"" Avances tra colleghi, frasi scurrili e palpeggiamenti
 
Avances tra colleghi, frasi scurrili e palpeggiamenti
 
Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 30 settembre – 16 ottobre 2014, n. 43314
Presidente Squassoni – Relatore Andreazza
 
I rapporti tra colleghi non sono sempre “rose e fiori” spesso vivere a stretto contatto porta a lasciarsi andare ma la troppa confidenza e leggerezza potrebbe non essere gradita e, in questi casi, basta poco per giungere in Tribunale e beccarsi una condanna.
 
La questione trattata dalla Corte di Cassazione verte proprio sul difficile rapporto tra colleghi e, più nello specifico, un caso in cui una impiegata è stata costretta a subire contro la propria volontà un atto sessuale e per averne leso l’onore e il decoro pronunciando una frase ingiuriosa.
 
La Cassazione ha concluso condannando il ricorrente per il “toccamento” ma lo ha assolto per la frase scurrile pronunciata.
 
Si legge in sentenza, “la Corte di merito ha disatteso la doglianza difensiva in ordine alla mancanza, nella frase pronunciata, di illiceità alcuna affermando che la portata ingiuriosa della stessa sarebbe indiscutibile “dal momento che proprio la stessa ha integrato il primo approccio di carattere sessuale verso la parte offesa”.
 
Tale conclusione appare tuttavia fondata sull”illogico presupposto per cui il solo fatto del collegamento all’approccio sessuale, successivamente posto in essere dall’imputato, avrebbe dovuto conferire alla frase una valenza di per sé necessariamente ingiuriosa; al contrario la Corte, senza arrestarsi a considerare il solo aspetto del reato sessuale, quasi facendolo coincidere con quello della lesione verbale dell’altrui onore, avrebbe dovuto anzitutto analizzare il contenuto oggettivo della frase e verificare se esso, per le parole pronunciate, esprimesse appunto, come necessario per l’integrazione del reato, offesa dell’altrui onore e decoro.
 
Sennonché, così facendo, e pur essendo indubbia la terminologia volgare e ineducata delle specifiche parole ricomprese nella frase contestata, e su cui si è evidentemente appuntata l’attenzione dei giudici atteso appunto il termine usato (“…Giuseppì…stasera ho un xxxxx …”), avrebbe dovuto concludersi, stante l’inequivoco riferimento dell’imputato non già alla interlocutrice, bensì a se stesso, per l’assenza di offesa alla dignità altrui e, dunque, per la non integrazione del reato contestato“.
 
Articolo 609 bis Codice Penale Violenza sessuale
 
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
 
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
 
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
 
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
 
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
 
Articolo 594 Codice Penale Ingiuria
 
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.
 
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
 
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
 
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone [595-599]. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com. qui:
 
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Avvocato penalista - Le Avances o i palpeggiamenti tra colleghi integrano sempre il reato di Violenza sessuale (Articolo 609 bis del Codice Penale), ma le frasi scurrili che spesso li accompagnano non sempre integrano anche il reato di Ingiuria (Articolo 594 del Codice Penale).
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lunedì 24 novembre 2014

Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Art. 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose) il contegno di chi usi troppa candeggina e ammoniaca per fare le proprie pulizie.

Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Art. 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose) il contegno di chi usi troppa candeggina e ammoniaca per fare le proprie pulizie.
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Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Art. 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose) il contegno di chi usi troppa candeggina e ammoniaca per fare le proprie pulizie.
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"" Getto pericoloso di cose, condannata per aver usato troppa candeggina
 
Getto pericoloso di cose, donna condannata per eccessivo uso di candeggina e ammoniaca
 
Corte di Cassazione Penale
Sentenza 7 ottobre 2014, n. 41726
 
La troppa pulizia non ha mai fatto male a qualcuno o forse no?
 
Risponde a questa domanda la Cassazione che, esaminando il caso di una donna padovana, condannata per il reato di cui all’articolo 674 del codice penale, perchè “usando in spazi condominiali ad uso pubblico in modo eccessivo ammoniaca e candeggina, molestava condomini ed estranei con emissioni di gas e vapori tossici”
 
Articolo 674 Codice Penale Getto pericoloso di cose
 
Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro.
 
La Cassazione ha osservato che “Con motivazione logica e coerente, il Tribunale ha rilevato, infatti, che i testimoni indotti della parte civile e gli accertamenti fotografici circa la coloritura del pavimento dovuta all’uso dei detergenti hanno dimostrato con certezza la colpevolezza dell’imputato; i testi hanno specificato, in particolare, la presenza di odori forti e di lacrimazione degli occhi, oltre che, per alcuni di essi, problemi respiratori.
 
Per contro – prosegue il Tribunale – la differente versione resa dei testi della difesa non inficia tali conclusioni, perché essi sono soggetti che abitualmente lavorano fuori tutto il giorno o che non hanno utilizzato gli spazi antistanti all’abitazione dell’imputata dove avvenivano le emissioni nocive.
 
Parimenti  logico e coerente è l’iter motivazionale seguito dal Tribunale quanto al trattamento sanzionatorio e alla determinazione dei risarcimento del danno, perché esso ha correttamente valorizzato il dato della permanenza della condotta molesta, attuata ben conoscendo il disagio della persona offesa e la durata pluriennale dell’esposizione di quest’ultima alle emissioni“.
 
Segue testo della sentenza
 
Corte di Cassazione Penale, sentenza 7 ottobre 2014, n. 41726
 
Ritenuto in fatto
 
1. – Con sentenza del 5 dicembre 2013, il Tribunale di Padova ha – per quanto qui rileva – condannato l’imputata alla pena dell’ammenda, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, per il reato di cui all’art. 674 cod. pen., perché, usando in spazi condominiali ad uso pubblico in modo eccessivo ammoniaca e candeggina, molestava condomini ed estranei con emissioni di gas e vapori tossici (reato ritenuto permanente fino al 28 gennaio 2009).
 
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, atto d’impugnazione qualificato come appello, deducendo: 1) l’erronea valutazione delle emergenze processuali, perché non si sarebbe considerato che la vicina di casa querelante aveva una soglia di tollerabilità delle emissioni ben inferiore rispetto a quella dell’uomo comune, né si sarebbe considerato che i testi indotti della difesa avevano dichiarato di non essere stati molestati dalle esalazioni e che non erano stati effettuati accertamenti in ordine alla intollerabilità da parte di organi tecnici; 2) l’erronea valutazione delle emergenze processuali quanto alla pena e alle circostanze attenuanti e al risarcimento del danno, perché non si sarebbe tenuto conto della saltuarietà dell’uso di detergenti.
 
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza davanti a questa Corte, la difesa sostiene l’ammissibilità dell’impugnazione, da riqualificarsi come ricorso per cassazione, insiste di doglianze già proposte ed eccepisce la prescrizione del reato.
 
Considerato in diritto
 
3. – Preliminarmente l’impugnazione – trasmessa a questa Corte dalla Corte d’appello di Venezia con ordinanza del 21 maggio 2014 – deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non appellabile, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in quanto recante condanna alla sola pena dell’ammenda.
Il ricorso è inammissibile.
 
Esso consiste, infatti, in generiche critiche alla motivazione della sentenza impugnata, dalle quali non emergono, neanche in via di semplice prospettazione, vizi rilevabili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 cod. proce. pen.
 
Si chiede, in sostanza, sia ai fini della responsabilità penale, sia ai fini del trattamento sanzionatorio e della determinazione del risarcimento del danno, una rivalutazione del compendio probatorio già ampiamente analizzato dal giudice di merito.
 
Con motivazione logica e coerente, il Tribunale ha rilevato, infatti, che i testimoni indotti della parte civile e gli accertamenti fotografici circa la coloritura del pavimento dovuta all’uso dei detergenti hanno dimostrato con certezza la colpevolezza dell’imputato; i testi hanno specificato, in particolare, la presenza di odori forti e di lacrimazione degli occhi, oltre che, per alcuni di essi, problemi respiratori.
 
Per contro – prosegue il Tribunale – la differente versione resa dei testi della difesa non inficia tali conclusioni, perché essi sono soggetti che abitualmente lavorano fuori tutto il giorno o che non hanno utilizzato gli spazi antistanti all’abitazione dell’imputata dove avvenivano le emissioni nocive.
 
Parimenti logico e coerente è l’iter motivazionale seguito dal Tribunale quanto al trattamento sanzionatorio e alla determinazione dei risarcimento del danno, perché esso ha correttamente valorizzato il dato della permanenza della condotta molesta, attuata ben conoscendo il disagio della persona offesa e la durata pluriennale dell’esposizione di quest’ultima alle emissioni.
 
Quanto alla prescrizione, premesso che la difesa non ha contestato la ricostruzione dei reato sostanzialmente operata dai Tribunale in termini di permanenza (fino al 28 gennaio 2009), deve rilevarsi che il relativo termine non è decorso, perché andrà a scadere, in presenza di una sospensione per 169 giorni, il 14 luglio 2014.
 
In ogni caso, a fronte di un ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
 
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese dei procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 1.000,00.
P.Q.M.
 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Integra il reato di cui all'Art. 674 del Codice Penale (Getto pericoloso di cose) il contegno di chi usi troppa candeggina e ammoniaca per fare le proprie pulizie.
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domenica 23 novembre 2014

Avvocato penalista - La Violenza privata, il danneggiamento e la provocazione. Il reato di Violenza privata si concreta anche nel caso in cui il soggetto agente impedisca ad altri di proseguire il proprio cammino lungo una determinata strada, costringendo le vittime con violenza a cambiare percorso.

Avvocato penalista - La Violenza privata, il danneggiamento e la provocazione. Il reato di Violenza privata si concreta anche nel caso  in cui il soggetto agente impedisca ad altri di proseguire il proprio cammino lungo una determinata strada, costringendo le vittime con violenza a cambiare percorso.
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Avvocato penalista - La Violenza privata, il danneggiamento e la provocazione. Il reato di Violenza privata si concreta anche nel caso  in cui il soggetto agente impedisca ad altri di proseguire il proprio cammino lungo una determinata strada, costringendo le vittime con violenza a cambiare percorso.
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L'Articolo 610 del Codice Penale, intitolato alla Violenza privata, prevede e stabilisce che:

Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.

La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
 
"" Violenza privata, danneggiamento e provocazione
 
Violenza privata, danneggiamento e provocazione
 
Suprema Corte di Cassazione V Sezione Penale
Sentenza 27 giugno – 6 ottobre 2014, n. 41642
Presidente Bruno – Relatore Settembre
 
La Cassazione, con la sentenza che si commenta e che si riporta al link in fondo all’articolo, ha dettato ulteriori chiarimenti in materia di violenza privata.
 
Questa figura di reato, che già tante volte ha impegnato i giudici di Piazza Cavour, può configurarsi anche nei casi in cui si impedisce ad altri di proseguire il proprio cammino lungo una determinata strada costringendo le vittime, con violenza, a cambiare percorso.
 
Nel caso di specie, stando alla ricostruzione risultante dalla sentenza di primo grado, richiamata e condivisa anche dai giudici d’appello, la vittima fu costretta a fermarsi e, per sottrarsi alla furia dell’imputato, dovette fare marcia indietro ed avvertire i carabinieri.
 
Dunque anche una situazione di questo genere, originata dal semplice impantanamento di un veicolo in una stretta strada di campagna, può integrare il reato di violenza privata e i giudici della Cassazione precisano che nel caso esaminato, in cui è stato usato anche un bastone per danneggiare il veicolo della vittima, deve escludersi la presenza di una provocazione poichè l’imputato non stava reagendo ad un fatto ingiusto.
 
Piazza Cavour spiega che la provocazione “presuppone un comportamento antigiuridico o anche solo una violazione di norme sociali o di costume, idonea a suscitare una “commotio animi” capace di alterare la funzionalità dei freni inibitori, mentre, nella specie, può esservi stata, al massimo, una distrazione del conducente dell’altro veicolo interessato, che gli impedì di accorgersi dell’inconveniente occorso all’altro automobilista“.
 
Inoltre, continuano gli ermellini, “per potersi parlare di provocazione, sono necessari fatti e comportamenti concretamente apprezzabili e reali, dovendosi escludere l’operatività della provocazione nella forma putativa, per l’espressa esclusione della putatività contenuta nel comma 3 dell’art. 59 c.p., anche dopo la modifica apportata dall’art. 1 I. 7 febbraio 1990, n. 19, in relazione alle circostanze attenuanti e aggravanti (in questo senso, Cass., n. 29075 del 23/5/2012, in motivazione; Cassazione penale, sez. V, 16/10/1986; Cassazione penale, sez. I, 28/02/1985; Cassazione penale, sez. V, 28/09/1984)“.
 
Infine, conclude il Collegio, “per giurisprudenza costante, anche un bastone costituisce arma impropria, perché trattasi di strumento che può essere utilizzato per l’offesa alla persona. Il fatto che il danneggiamento sia stato eseguito con un bastone – portato fuori dell’abitazione senza che l’imputato abbia giustificato le ragioni della condotta – costituisce prova evidente della sussistenza del reato“. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - La Violenza privata, il danneggiamento e la provocazione. Il reato di Violenza privata si concreta anche nel caso  in cui il soggetto agente impedisca ad altri di proseguire il proprio cammino lungo una determinata strada, costringendo le vittime con violenza a cambiare percorso.
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sabato 22 novembre 2014

Avvocato penalista - La mera locazione di un appartamento a una prostituta non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione in capo al locatore, pur nella sua consapevolezza che costei se ne servirà per il meretricio, purché non le fornisca altre prestazioni accessorie, del tipo di quelle indicate in sentenza.

Avvocato penalista - La mera locazione di un appartamento a una prostituta non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione in capo al locatore, pur nella sua consapevolezza che costei se ne servirà per il meretricio, purché non le fornisca altre prestazioni accessorie, del tipo di quelle indicate in sentenza.
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Avvocato penalista - La mera locazione di un appartamento a una prostituta non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione in capo al locatore, pur nella sua consapevolezza che costei se ne servirà per il meretricio, purché non le fornisca altre prestazioni accessorie, del tipo di quelle indicate in sentenza.
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"" Locazione e favoreggiamento della prostituzione

Locazione e favoreggiamento della prostituzione

Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 7 ottobre – 18 novembre 2014, n. 47387
Presidente Teresi – Relatore Graziosi

La Cassazione ha esaminato un ricorso presentato avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello dell’Aquila che condannava l’imputato alla pena di 4 anni di reclusione e 10 mila euro di multa per aver affittato degli immobili utilizzati per esercitare il meretricio.

La difesa denunciava la violazione degli articoli 43 c.p., 3 e 8 I. 75/1958 e vizio motivazionale in particolare faceva presente che la sentenza impugnata si sarebbe fondata sulla consapevolezza dell’imputato di cosa veniva “esercitato” negli immobili dati in affitto, cosa, per la difesa, non provata o comunque non sufficiente ad integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione.

Per la Corte il ricorso è comunque infondato poichè, osservano gli ermellini “l’unico motivo si fonda sulla ormai consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte – l’ultima pronuncia massimata contraria è ormai tutt’altro che recente (Cass. sez. III, 23 maggio 2007 n. 35373, che ritiene favoreggiamento la mera messa a disposizione della prostituta, anche a titolo di locazione, di un appartamento perché ciò procura favorevoli condizioni per la pratica dei meretricio) – per cui concedere in locazione un appartamento a prezzo di mercato a una prostituta, pur nella consapevolezza che questa lo utilizzerà per il meretricio, non giunge ad integrare il reato di favoreggiamento della prostituzione (così, nettamente, Cass. sez. III, 20 marzo 2013 n. 28754: “Non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la cessione in locazione, a prezzo di mercato, di un appartamento ad una prostituta, anche se il locatore sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione in via del tutto autonoma e per proprio conto, atteso che la stipulazione del contratto non rappresenta un effettivo ausilio per il meretricio”), in difetto di un quid pluris che agevoli specificamente la prostituzione stessa (da ultimo in questo senso Cass. sez. III, 4 febbraio 2014 n. 7338 – che in un caso di sublocazione afferma che la mera stipula del contratto di per sè non integra la fattispecie criminosa, in quanto l’atto negoziale, in assenza di altre prestazioni accessorie, come ad esempio l’esecuzione di inserzioni pubblicitarie, la fornitura di profilattici o la ricezione dei clienti, riguarda la persona e le sue esigenze abitative, e non costituisce diretto ausilio all’attività di prostituzione – e Cass. sez. III, 19 febbraio 2013 n. 33160 – per cui “non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la cessione in locazione, a prezzo di mercato, di un appartamento ad una prostituta anche se il locatore sia consapevole che la conduttrice vi eserciterà la prostituzione a meno che, oltre al godimento dell’immobile, vengano fornite prestazioni accessorie che esulino dalla stipulazione del contratto ed in concreto agevolino il meretricio (come nel caso di esecuzione di inserzioni pubblicitarie, fornitura di profilattici, ricezione di clienti o altro)“ ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/locazione-favoreggiamento-prostituzione/
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Avvocato penalista - La mera locazione di un appartamento a una prostituta non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione in capo al locatore, pur nella sua consapevolezza che costei se ne servirà per il meretricio, purché non le fornisca altre prestazioni accessorie, del tipo di quelle indicate in sentenza.
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venerdì 21 novembre 2014

Avvocato penalista - Il possesso e l'uso di un Pass per invalidi falso è Ricettazione ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 648 del Codice Penale.

Avvocato penalista - Il possesso e l'uso di un Pass per invalidi falso è Ricettazione ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 648 del Codice Penale.
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Avvocato penalista - Il possesso e l'uso di un Pass per invalidi falso è Ricettazione ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 648 del Codice Penale. 
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"" Pass invalidi falso. Condannato per ricettazione
 
Pass invalidi falso. Condannato per ricettazione
Corte di Cassazione II Sezione Penale
Sentenza 6 – 14 novembre 2014, n. 47129
Presidente Gentile – Relatore Alma
 
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un particolare caso di ricettazione. Veniva infatti aperto un procedimento nei confronti dell’imputato perchè ritenuto colpevole di aver circolato alla guida di un’autovettura munita di un falso certificato di autorizzazione al transito ed al parcheggio libero nelle aree riservate agli invalidi emesso dal Comune di Napoli a favore di altro soggetto già da tempo deceduto.
 
Assolto dalla Corte d’Appello di Napoli per uno dei capi di imputazione (quello relativo al reato di tentata truffa aggravata) perché il fatto non sussiste, i giudici territoriali si limitavano soltanto a rideteminare la pena per l’altro capo d’imputazione, appunto la ricettazione.
 
Avverso la predetta sentenza veniva presentato ricorso per cassazione dal difensore dell’imputato lamentando la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. nel punto in cui è stata affermata la penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di ricettazione ascrittogli.
 
Per la difesa la motivazione della sentenza della Corte di Appello appare fondata esclusivamente su di un argomento di natura logica legato al fatto della consapevolezza da parte dell’imputato della falsità del documento di cui trattasi desunta dal fatto che detto documento era intestato a persona diversa dall’imputato e non più in uso a quest’ultimo perché deceduto.
 
In altre parole, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della censura difensiva relativa al fatto che non sono stati acquisiti elementi sufficienti ed idonei a dimostrare la falsità del documento stesso, falsità che costituisce il delitto presupposto a quello di ricettazione ciò anche perché, dall’istruttoria dibattimentale era emerso che il tagliando rinvenuto in possesso dell’imputato non era altro che la copia fotostatica dell’originale, priva di alterazione rispetto al documento autentico.
 
Il comportamento di colui che fa uso improprio della fotocopia del documento originale potrebbe al più essere ritenuto responsabile del reato di truffa ma in relazione a tale reato l’imputato era stato oramai assolto dalla stessa Corte di Appello.
 
Per la Corte di legittimità il ricorso è infondato e osserva che “integra il reato di falsità materiale del privato in autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 cod. pen.) la riproduzione fotostatica del permesso di parcheggio riservato agli invalidi, a nulla rilevando l’assenza del timbro a secco e, comunque, dell’attestazione di autenticità, la quale non incide sulla rilevanza penale del falso allorché, come nella specie, il documento abbia l’apparenza e sia utilizzato come originale, considerata anche la notevole sofisticazione raggiunta dai macchinari utilizzati, capaci di formare copie fedeli all’originale, come tali idonee a consentire un uso atto a trarre in inganno la pubblica fede” (Cass. Sez. 5, sent. n. 14308 del 19/03/2008, dep. 04/04/2008, Rv. 239490), va detto subito che nella sentenza impugnata si è dato congruamente atto delle caratteristiche del documento trovato in possesso dell’imputato e delle modalità di rinvenimento dello stesso e che il ricorrente non ha addotto alcun elemento contrario circa le fattezze del documento che vada al di là del fatto che si tratta di una mera fotocopia dell’originale.
 
D’altro canto a nulla rileva la circostanza che non siano stati effettuati accertamenti sulla proprietà dell’autovettura sulla quale era stato apposto il documento provento da delitto o su chi abbia prodotto il documento stesso (eventualmente anche lo stesso imputato), in quanto la Corte di Appello in assenza di giustificazioni addotte sul punto dall’imputato stesso e sul presupposto (provato) che l’imputato è stato trovato in possesso di documento falso formalmente intestato a diverso soggetto e non più in uso alla stesso in quanto deceduto, ha fatto buon governo del principio giurisprudenziale in base al quale “ai fini della configurabilità dei delitto di ricettazione, la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza” (Cass. Sez. 2, sent. n. 41423 del 27/10/2010, dep. 23/11/2010, Rv. 248718)“
 
Articolo 648 Codice Penale Ricettazione
 
Fuori dei casi di concorso nel reato [110], chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da cinquecentosedici euro a diecimilatrecentoventinove euro [709, 712].
 
La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis).
 
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a cinquecentosedici euro, se il fatto è di particolare tenuità [62 n. 4, 133].
 
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile [85] o non è punibile [379, 649, 712] ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - Il possesso e l'uso di un Pass per invalidi falso è Ricettazione ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 648 del Codice Penale. 
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giovedì 20 novembre 2014

Avvocato penalista - Non è reato fare pipì sul portone di un’abitazione, ci insegna la Cassazione, in quanto questa azione non integra né il reato di cui all’Articolo 726 del Codice Penale (Atti contrari alla pubblica decenza), né il reato di cui all'Articolo 527 del Codice Penale (Atti osceni).

Avvocato penalista - Non è reato fare pipì sul portone di un’abitazione, ci insegna la Cassazione, in quanto questa azione non integra né il reato di cui all’Articolo 726 del Codice Penale (Atti contrari alla pubblica decenza), né il reato di cui all'Articolo 527 del Codice Penale (Atti osceni).
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Avvocato penalista - Non è reato fare pipì sul portone di un’abitazione, ci insegna la Cassazione, in quanto questa azione non integra né il reato di cui all’Articolo 726 del Codice Penale (Atti contrari alla pubblica decenza), né il reato di cui all'Articolo 527 del Codice Penale (Atti osceni).
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A nessuno è passato per la mente che - per esempio e, previa seria verifica dell'elemento teleologico in capo al soggetto agente - potrebbe trattarsi, tra gli altri, del reato di cui  all'Articolo 639 del Codice Penale, intitolato al Deturpamento e imbrattamento di cose altrui, il quale prevede e stabilisce che:

Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a centotre euro.

Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro.

Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro.

Nei casi previsti dal secondo comma si procede d'ufficio.

E non si può certo negare che il dare sfogo ai propri e vili bisogni corporali a danno delle abitazioni altrui non sia da considerare un Deturpamento o un imbrattamento delle cose altrui...

"" Non è reato far pipì sul portone di un’abitazione

Non è reato far pipì sul portone di un’abitazione
Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza 27 maggio – 17 novembre 2014, n. 47244
Presidente Teresi – Relatore Gentili

Con la sentenza che si riporta, la Cassazione ha esaminato il caso di una persona che si è trovata ad essere imputata in un processo penale per il reato di cui all’art. 726 cod. pen., per avere compiuto atti contrari alla pubblica decenza, consistenti nell’avere orinato vicino all’ingresso di una abitazione sita in Bergamo.

Il caso giunge fino alla Suprema Corte dove i giudici hanno ricordato che, per costante giurisprudenza, “sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l’urinare in luogo pubblico.

Né la norma dell’art. 726 cod. pen., esige che l’atto abbia effettivamente offeso in qualcuno la pubblica decenza e neppure che sia stato percepito da alcuno, quando si sia verificata la condizione di luogo, cioè la possibilità che qualcuno potesse percepire l’atto” (cfr. ex multis: Corte di cassazione, Sezione V penale, 28 aprile 1986, n. 3254; idem Sezione III penale, 25 ottobre 2005 n. 45284; più di recente: idem Sezione III penale, 25 marzo 2010 n. 15678; nonché, da ultimo: idem Sezione III penale, 16 settembre 2013, n. 37823).

Il reato in questione poi si differenzia da quello di cui all’art. 527 cod. pen., in quanto la distinzione tra gli atti osceni e gli atti contrari alla pubblica decenza va individuata nel fatto che i primi offendono, in modo intenso e grave il pudore sessuale, suscitando nell’osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici, mentre i secondi ledono in via esclusiva il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 marzo 1985, n. 2447).

Ciò posto osserva il Collegio che, secondo quanto risulta dal tenore della impugnazione proposta dal PG, questi si duole dei fatto che il Giudice di pace, dopo avere affermato che, alla luce delle risultanze istruttorie e della documentazione acquisita, era emerso che, tenuto conto delle modalità dell’accadimento, il fatto non costituiva reato, abbia poi provveduto ad assolvere l’imputato per non aver commesso il fatto.

Invero, rileva la Corte, al netto di una certa imprecisione terminologica di cui è sicuramente vittima l’estensore della sentenza impugnata, è ben chiaro che l’apparente antinomia fra motivazione e dispositivo della sentenza è risolvibile ritenendo che la formula utilizzata nel dispositivo (peraltro non riportata fedelmente nel suo ricorso neppure dal Pg), secondo la quale l’imputato deve essere mandato assolto dal reato di cui all’art. 726 cod. pen. “perché non lo ha commesso”, va intesa non, certamente, nel senso che il reato è stato commesso da altri, ma nel senso che la condotta dell’imputato non integra gli estremi del reato, cioè, essa non costituisce reato, così come riportato in sentenza.

D’altra parte il riferimento alle modalità dell’accadimento presente nella sentenza offre più di un elemento per ritenere che il Giudice di pace di Bergamo abbia ritenuto carente dell’elemento soggettivo, anche con riferimento al profilo della sola colpa, la condotta (l’accadimento) pur realizzata dall’imputato“. ""

Fonte sentenze-cassazione.com, qui:

http://www.sentenze-cassazione.com/non-reato-far-pipi-portone-unabitazione/
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Avvocato penalista - Non è reato fare pipì sul portone di un’abitazione, ci insegna la Cassazione, in quanto questa azione non integra né il reato di cui all’Articolo 726 del Codice Penale (Atti contrari alla pubblica decenza), né il reato di cui all'Articolo 527 del Codice Penale (Atti osceni).
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mercoledì 19 novembre 2014

Avvocato penalista - I reati di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale) e di Falsità in scrittura privata (Art. 485 del Codice Penale) possono anche concorrere nel medesimo fatto criminoso.

Avvocato penalista - I reati di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale)  e di Falsità in scrittura privata (Art. 485 del Codice Penale) possono anche concorrere nel medesimo fatto criminoso.
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Avvocato penalista - I reati di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale)  e di Falsità in scrittura privata (Art. 485 del Codice Penale) possono anche concorrere nel medesimo fatto criminoso.
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"" Sostituzione di persona e falsità in scrittura privata
 
Sostituzione di persona e falsità in scrittura privata
Corte di Cassazione, V Sezione Penale
Sentenza 2 luglio – 11 novembre 2014, n. 46505
Presidente Marasca – Relatore Oldi
 
La Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo alla pagina, ha esaminato il caso di una donna che, fingendosi avvocato, ha indotto un uomo ad aprire un conto corrente postale “procurandosi poi i relativi assegni e la carta Postamat attraverso la consegna dei relativi moduli di richiesta recanti la firma contraffatta del correntista“.
 
L’imputata veniva condannata, anche al risarcimento del danno per le parti civili costituite nel giudizio, perchè ritenuta responsabile dei delitti di sostituzione di persona e falso materiale in scrittura privata.
 
Per la Cassazione “irrilevante è stabilire se la qualifica di avvocato falsamente attribuitasi dall’imputata abbia, o meno, contribuito a condizionare l’uomo nella decisione di aprire i conti correnti bancari sui quali l’imputata ha poi illecitamente operato.
 
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha ripetutamente enunciato il principio, che va qui ribadito, a tenore del quale basta la falsa attribuzione della qualità di esercente una professione a integrare il reato di sostituzione di persona, atteso che la legge ricollega a detta qualità gli effetti giuridici tipici della corrispondente professione intellettuale; né si richiede che il fatto tenda all’illegale esercizio della professione, essendo sufficiente che venga coscientemente voluto e sia idoneo a trarre in inganno la fede pubblica”
 
Inoltre, continua la Corte, con riferimento al reato di falso materiale in assegni, “a nulla giova sostenere che la contraffazione commessa non abbia recato alcun vantaggio- concreto: all’autrice del reato.
 
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che, in tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto «falso innocuo» nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso materiale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto“
 
Articolo 494 Codice Penale Sostituzione di persona
 
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.
 
Articolo 485 Codice Penale Falsità in scrittura privata
 
Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni [490].
 
Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata [491, 493bis]. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - I reati di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale)  e di Falsità in scrittura privata (Art. 485 del Codice Penale) possono anche concorrere nel medesimo fatto criminoso.
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martedì 18 novembre 2014

Avvocato penalista - E' Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale) dire “Sei una cosa inutile” a una persona, altro che non è reato; sebbene, nei casi preveduti dall'Art. 599 del Codice Penale, non sia un reato punibile.

Avvocato penalista - E' Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale) dire “Sei una cosa inutile” a una persona, altro che non è reato; sebbene, nei casi preveduti dall'Art. 599 del Codice Penale, non sia un reato punibile.
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Avvocato penalista - E' Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale) dire “Sei una cosa inutile” a una persona, altro che non è reato; sebbene, nei casi preveduti dall'Art. 599 del Codice Penale, non sia un reato punibile.
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"" Ingiuria, dire “Sei una cosa inutile” non è reato
 
Ingiuria, dire “Sei una cosa inutile” non è reato

Corte di Cassazione, V Sezione Penale
Sentenza 18 marzo – 13 novembre 2014, n. 47043
Presidente Bruno – Relatore Pezzullo
 
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato il caso di un uomo, assolto nella fase di merito dal delitto di cui all’art. 594, commi primo e quarto, c.p., per aver profferito all’indirizzo di un’altra persona, le seguenti frasi: “poi per te ci penso io, sei una cosa inutile“, perché il fatto non costituisce reato.
 
Il Tribunale procedeva con l’assoluzione perchè riteneva sussistente la causa di giustificazione di cui all’art. 599, secondo comma, c.p.
 
Dello stesso parere anche i giudici di Piazza Cavour che hanno affermato “Correttamente il giudice d’appello, senza incorrere in violazione di legge od in vizi di motivazione ha ritenuto sussistente, nel caso di specie, l’esimente di cui alla art. 599, secondo comma, c.p.”
 
Si legge in sentenza “corrette si presentano le valutazioni del giudice d’appello circa la portata offensiva dell’espressione profferita dall’imputato nei confronti della parte offesa alla vista di quest’ultimo “…sei una cosa inutile” e nel contempo la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all’art. 599, comma secondo, c.p., in considerazione del comportamento indubbiamente provocatorio serbato dal medesimo“.
 
Inoltre, continuano i giudici, “Ai fini dell’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 599 c.p., comma secondo, c.p. è sufficiente che la reazione sia determinata dal fatto ingiusto altrui e l’ingiustizia non deve essere valutata con criteri restrittivi, cioè limitatamente ad un fatto che abbia un’intrinseca illegittimità, ma con criteri più ampi (Sez. V, 11 marzo 2009, n. 21455), anche cioè quando esso si traduca nell’inosservanza di norme sociali o di costume regolanti l’ordinaria, civile convivenza, per cui possono rientrarvi, oltre ai comportamenti sprezzanti o costituenti manifestazione di iattanza, anche quelli sconvenienti o, nelle particolari circostanze, inappropriati“
 
Articolo 594 Codice Penale Ingiuria
 
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a cinquecentosedici euro.
 
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
 
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
 
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone [595-599]
 
(Importi incrementati a norma dell’art. 113, c. 1, l. n. 689/1981. Qualora proceda il giudice di pace si applicano le sanzioni previste ex art. 52, c. 2, lett. a), d.lgs. 28-8-2000, n. 274.)
 
Articolo 599 Codice Penale Ritorsione e provocazione
 
Nei casi preveduti dall’articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.
 
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.
 
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all’offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui
 
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Avvocato penalista - E' Ingiuria (Art. 594 del Codice Penale) dire “Sei una cosa inutile” a una persona, altro che non è reato; sebbene, nei casi preveduti dall'Art. 599 del Codice Penale, non sia un reato punibile.
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lunedì 17 novembre 2014

Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza (Guida sotto l'influenza dell'alcool ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 186 del Codice della Strada) e la confisca del veicolo.

Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza (Guida sotto l'influenza dell'alcool  ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 186 del Codice della Strada) e la confisca del veicolo.
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Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza (Guida sotto l'influenza dell'alcool  ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 186 del Codice della Strada) e la confisca del veicolo.
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""Guida in stato di ebbrezza e confisca del veicolo
 
Guida in stato di ebbrezza e confisca del veicolo
 
Corte di Cassazione, sezione IV Penale
Sentenza 25 settembre – 13 novembre 2014, n. 47024
Presidente Brusco – Relatore Zoso
 
La Corte di Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo all’articolo, ha trattato il caso della confisca del veicolo in comproprietà per la guida in stato di ebbrezza del conducente.
 
Gli ermellini hanno ribadito alcuni principi di diritto già espressi sulla materia, in particolare quello secondo cui “È ammissibile la confiscabilità parziale di un compendio sequestrato allorché una sola parte di esso sia di proprietà del condannato e la confisca dell’intero verrebbe a sacrificare i diritti di terzi estranei al reato, quali sono gli eredi dell’imputato prosciolto da esso per morte.
 
Al riguardo non va confusa l’applicabilità della misura di sicurezza che trova la sua disciplina nell’art. 240 cod. pen. con le modalità di esecuzione di essa quando un compendio di beni sia indivisibile o indiviso e possa comportare una incidentale comunione tra lo stato ed altri soggetti rispettivamente nella parte (o nella quota) soggetta alla misura ed altra cui essa non è estensibile” (Sez. III 17.10.1984 n.1650 rv. 167059).
 
Principio ribadito da questa stessa sezione sez IV 27.1.2011n. 2819; IV 3.7.2009 n.41870 rv 245439; massime precedenti conformi: N. 2887 dei 2008 Rv. 238592, N. 28189 del 2009 Rv. 244690).
 
Ciò posto, da un lato il tribunale ha affermato che il veicolo, secondo quanto risulta dal PRA, è cointestato all’imputato, dall’altro ha ritenuto che dal fatto che la polizia giudiziaria non aveva proceduto al sequestro si doveva dedurre la prova dell’insussistenza della comproprietà.
 
Sennonché, come affermato da questa corte di legittimità ( Sez. 3 civ. n. 9314 del 20/04/2010, Rv. 612775) l’iscrizione nel pubblico registro automobilistico (p.r.a.) del trasferimento di proprietà di un’autovettura, prevista dall’art. 6 dei r.d.l. 15 marzo 1927, n. 436, convertito nella legge 19 febbraio 1928, n. 510, pur essendo volta a dirimere i conflitti tra aventi causa dal medesimo venditore, assume, altresì, valore di prova presuntiva in ordine all’individuazione del proprietario del veicolo“
 
Dunque, nel caso di specie, “la prova contraria dell’insussistenza del diritto di comproprietà del veicolo non può derivare dalla mera constatazione del non avere la polizia giudiziaria proceduto al sequestro del medesimo.
 
Da ciò deriva che il veicolo avrebbe dovuto essere confiscato e la durata della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida non avrebbe dovuto essere raddoppiata“. ""
 
Fonte sentenze-cassazione.com, qui:
 
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Avvocato penalista - La Guida in stato di ebbrezza (Guida sotto l'influenza dell'alcool  ovvero il reato previsto e punito dall'Art. 186 del Codice della Strada) e la confisca del veicolo.
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