http://www.avvocato-penalista-cirolla.blogspot.com/google4dd38cced8fb75ed.html Avvocato penalista ...: febbraio 2013

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giovedì 28 febbraio 2013

Avvocato penalista - Se il furto in appartamento si verifica grazie ai ponteggi, non sempre si può pretendere di essere risarciti, ma solo se e quando si prova di avere custodito in modo diligente e prudente i preziosi rubati.

Avvocato penalista - Se il furto in appartamento si verifica grazie ai ponteggi, non sempre si può pretendere di essere risarciti, ma solo se e quando si prova di avere custodito in modo diligente e prudente i preziosi rubati.
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Avvocato penalista - Se il furto in appartamento si verifica grazie ai ponteggi, non sempre si può pretendere di essere risarciti, ma solo se e quando si prova di avere custodito in modo diligente e prudente i preziosi rubati.
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""" Furto nell’appartamento grazie ai ponteggi: responsabile anche il proprietario.
 
Dei furti avvenuti grazie ai ponteggi installati per la ristrutturazione non rispondono sempre il condominio e la ditta esecutrice dei lavori.
 
I ponteggi, installati per la ristrutturazione dell’immobile, possono essere un valido aiuto per i ladri che vogliano infiltrarsi negli appartamenti.

In caso di furto, però, il proprietario dell’abitazione può chiedere il risarcimento sia alla ditta che ha effettuato i lavori, sia al condominio.
Non sempre.

In alcuni casi, vale invece il principio secondo cui “chi è causa del suo mal pianga se stesso”.

La Cassazione, infatti, in una recente sentenza [1], ha respinto la richiesta di indennizzo avanzata da un condomino che era stato derubato.

Egli, in assemblea condominiale, si era opposto all’installazione di allarmi sui ponteggi, benché fossero stati consigliati dalla ditta appaltatrice.

Questa scelta è stata valutata dalla Corte come poco prudente, avendo determinato un inevitabile aumento delle probabilità di accesso in casa da parte dei ladri.
Non solo.

Per poter essere risarcito, il condomino deve anche dimostrare di aver custodito in modo diligente i preziosi rubati.

Nel caso di specie, invece, il proprietario aveva nascosto i gioielli in una scatola all’interno dell’armadio e non in una cassaforte.
 
Insomma, per chiedere il risarcimento del danno bisogna dimostrare di aver tenuto una condotta volta ad evitare che il danno stesso si possa verificare: una condotta quindi diligente e prudente.

[1] Cass. sent. n. 1890/2013. """

Fonte La legge per tutti.it.

http://www.laleggepertutti.it/24922_furto-nellappartamento-grazie-ai-ponteggi-responsabile-anche-il-proprietario
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Avvocato penalista - Se il furto in appartamento si verifica grazie ai ponteggi, non sempre si può pretendere di essere risarciti, ma solo se e quando si prova di avere custodito in modo diligente e prudente i preziosi rubati.
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mercoledì 27 febbraio 2013

Avvocato penalista - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 del Codice Penale).

Avvocato penalista - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 del Codice Penale).
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L'art. 659 del Codice Penale prevede che:
 
Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 309.
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Si applica l'ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità.
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Avvocato penalista - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 del Codice Penale).
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E' una sentenza da rispettare - come tutte le sentenze  - sebbene per nulla condivisibile o di pregio.

I rumori molesti, infatti, in un condominio od altrove, sono idonei, di per se, a disturbare sia le occupazioni, che il riposo, tanto di una persona, quanto di più persone o di più famiglie, soprattutto se la/e persona/e o la/e famiglia/e vive/ono in un condominio od in prossimità dei rumori o delle molestie.
 
Alla medesima maniera di chi esercita una professione o un mestiere rumoroso, contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità.

La norma in esame non richiede una pluralità di soggetti lesi o di parti offese, ma solo che i rumori molesti, gli schiamazzi ovvero l'abuso di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero il suscitare o il non impedire gli strepiti di animali, disturbino le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero ancora che disturbino gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici.

La locuzione "disturba le occupazioni o il riposo delle persone" non va intesa - a mio sommesso parere - nel senso che occorra una pluralità di soggetti offesi perché si possa configurare la specifica figura di reato, ma nel senso della individuazione dei soggetti tutelati dalla norma di cui all'art. 659 c.p., in ossequio ai criteri basilari di formulazione generale ed astratta delle norme giuridiche, anche in materia penale.
 
E le persone disturbate nelle loro occupazioni o nel loro riposo, dunque, possono, indifferentemente ed ai sensi di legge, essere una o più di una.

Tutto dipende dall'intensità dei rumori o delle molestie che si arrecano, all'una od alle altre.
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""" Rumori in condominio: spostare i mobili la mattina presto non è reato.
 
Rumori in condominio: solo se la molestia è percepita da tante persone può scattare la tutela penale; altrimenti non resta che agire per il solo risarcimento del danno.
 
Scatta il reato di disturbo della quiete pubblica [1] quando i rumori prodotti dal condomino, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano l’attitudine a propagarsi, a diffondersi, in modo da disturbare una pluralità indeterminata di persone e non solo i vicini del piano di sotto o di sopra.
 
Infatti, la norma tutela la quiete “pubblica” e non solo quella di singoli soggetti che denuncino la rumorosità altrui.
 
Sulla base di questo principio, la Cassazione [2] ha ritenuto non colpevole una persona accusata di spostare puntualmente i propri mobili in primissima mattina.
 
L’attività del disturbatore, infatti, per essere considerata penalmente illecita, deve:
 
- essere superiore alla normale tollerabilità;
- deve turbare la quiete di una parte notevole degli abitanti dell’edificio o di quelli degli stabili vicini.
 
Solo in tali casi può dirsi turbata la quiete pubblica.
 
Se invece la molestia è solo nei confronti dei condomini degli appartamenti superiori o inferiori, questi ultimi potranno far valere le loro ragioni solo con la normale azione civile per ottenere il risarcimento del danno (se sussistente), ma non con l’azione penale.
 
[1] Art. 659 cod. pen.
[2] Cass. sent. n. 6546 del 11.02.2013. """

Fonte La legge per tutti.it.

http://www.laleggepertutti.it/24962_rumori-in-condominio-spostare-i-mobili-la-mattina-presto-non-e-reato
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Avvocato penalista - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659 del Codice Penale).
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martedì 26 febbraio 2013

Avvocato penalista - Interferenze illecite nella vita privata (Articolo 615-bis del Codice Penale).

Avvocato penalista - Interferenze illecite nella vita privata (Articolo 615-bis del Codice Penale).

L'articolo 615-bis del Codice Penale, intitolato alle Interferenze illecite nella vita privata, prevede che:
 
Chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
 
Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, le notizie o le immagini ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo.
 
I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d`ufficio e la pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
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Avvocato penalista - Interferenze illecite nella vita privata (Articolo 615-bis del Codice Penale).
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""" Vietato registrare e spiare la moglie o il marito anche se convivente.

Nascondere in casa un registratore per spiare quello che il partner dice al telefono può comportare una condanna penale per interferenze illecite nella vita privata.

Non importa se si tratti di coniuge o di convivente che non abita stabilmente in casa: registrare, di nascosto, le conversazioni di quest’ultimo è un illecito e comporta una condanna per il reato di interferenze nella vita privata.
 
Lo ha detto la Cassazione in una recente pronuncia [1].

Spiare una persona all’interno del domicilio è sempre illecito. E ciò vale sia nel caso in cui si tratti di coniuge, sia di convivente stabile, sia occasionale.
 
Ciò che infatti viene tutelato dalla norma del codice penale [2] è che la vittima della obliqua condotta, proprio perché si trova in un luogo ove si svolgono episodi significativi della propria priva privata (tale è la casa di abitazione, anche se occasionale), è di regola fiduciosa che in tale posto sia tutelata la propria privacy.

Essa infatti confida che, all’interno delle quattro mura domestiche (anche se non di sua proprietà), possa godere di riservatezza: pertanto è maggiormente esposta e vulnerabile nei confronti di un comportamento subdolo e sleale da parte della persona cui è affettivamente legata. 

In pratica

La tutela contro registrazioni e interferenze effettuate dal partner all’interno dell’abitazione si estende non solo ai coniugi o ai conviventi stabili, ma anche a quelli occasionali.

[1] Cass. sent. n. 8762 del 22.02.2013.
[2] Art. 615 bis cod. pen. """

Fonte la Legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/24747_vietato-registrare-e-spiare-la-moglie-o-il-marito-anche-se-convivente
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Avvocato penalista - Interferenze illecite nella vita privata (Articolo 615-bis del Codice Penale).
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lunedì 25 febbraio 2013

Avvocato penalista - Le ispezioni, gli accessi e le verifiche della Guardia di Finanza, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, sono soggette alle regole dettate tassativamente dall'art. 33 del D.P.R. n°. 600 del 29.9.1973.

Avvocato penalista - Le ispezioni, gli accessi e le verifiche della Guardia di Finanza, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, sono soggette alle regole dettate tassativamente dall'art. 33 del D.P.R. n°. 600 del 29.9.1973.
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Avvocato penalista - Le ispezioni, gli accessi e le verifiche della Guardia di Finanza, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, sono soggette alle regole dettate tassativamente dall'art. 33 del D.P.R. n°. 600 del 29.9.1973. 
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L'art. 33 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 29 settembre 1973, n. 600, recante
Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.  (GU n. 268 del 16-10-1973 - Suppl. Ordinario ), intitolato agli Accessi, ispezioni e verifiche, prevede che:

Per  l'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

Gli uffici delle imposte hanno facoltà di disporre l'accesso di propri impiegati muniti di apposita  autorizzazione  presso  le pubbliche  amministrazioni  e gli enti indicati al n. 5 dell'art. 32 allo  scopo  di rilevare direttamente i dati e le notizie di cui allo stesso articolo.

La  guardia  di  finanza  coopera  con gli uffici delle imposte per l'acquisizione e il reperimento  degli  elementi  utili  ai  fini dell'accertamento  dei  redditi e per la repressione delle violazioni delle leggi sulle imposte dirette, procedendo di propria iniziativa o su  richiesta degli uffici, secondo le norme e con le facoltà di cui all'art. 32.

Ai  fini  del necessario coordinamento dell'azione della guardia di finanza  con  quella  degli  uffici finanziari saranno presi accordi, periodicamente  e  nei  casi  in  cui  si debba procedere ad indagini sistematiche, tra la direzione generale delle imposte dirette e il comando  generale  della  guardia  di  finanza e, nell'ambito delle singole circoscrizioni, fra i capi degli ispettorati e degli uffici e i comandi territoriali.

Gli  uffici  finanziari  e  i comandi della guardia di finanza, per evitare  la  reiterazione  di accessi presso gli stessi contribuenti, devono  darsi reciprocamente tempestiva comunicazione delle ispezioni e verifiche intraprese.

L'ufficio o il comando che riceve la comunicazione può richiedere all'organo che sta eseguendo l'ispezione o la verifica l'esecuzione di determinati controlli e l'acquisizione di determinati    elementi utili ai fini dell'accertamento.

Nell'art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sono aggiunti i seguenti commi:

"In deroga  alle disposizioni del settimo comma gli impiegati che procedono all'accesso nei locali di soggetti che si avvalgono di sistemi meccanografici, elettronici e simili, hanno facoltà di provvedere con mezzi propri all'elaborazione dei supporti fuori dei locali stessi qualora il contribuente non consenta l'utilizzazione dei propri impianti e del proprio personale.

Se il contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse  si  trovano presso altri soggetti deve esibire una attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso.  Se l'attestazione non è esibita e se il soggetto che l'ha rilasciata  si  oppone all'accesso o non esibisce in tutto o in parte le scritture si applicano le disposizioni del quinto comma".
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""" Ispezioni della Finanza in studio o azienda: autorizzazione della Procura?

La Cassazione interviene sulla lotta all’evasione: necessaria l’autorizzazione della Procura della Repubblica per gli accessi del fisco in studio o azienda solo se comunicante con l’abitazione. Regime diverso, invece, per gli accessi in casa.

Sempre più spesso la Finanza bussa in azienda, in studio o in casa, per effettuare controlli volti al contrasto dell’evasione. In alcuni casi – ma non in tutti – se manca l’autorizzazione del magistrato tali controlli sono nulli e non possono essere utilizzati per i successivi accertamenti.

Una recente sentenza della Cassazione, intervenuta sul punto, ci consente di riepilogare l’attuale regime [1] che val la pena di schematizzare qui di seguito.

1) Nei locali destinati ad attività commerciali, agricole, artistiche o negli studi professionali:

- Non c’è bisogno di autorizzazione del Pm. La Finanza può, quindi, “bussare alla porta” in completa autonomia, accedere ai locali, effettuare ispezioni documentali, verifiche e ricerche.

Tutto ciò di cui gli agenti devono essere muniti è un’autorizzazione del capo ufficio da cui dipendono (in genere, il comandante del reparto o un ufficiale delegato).
 
Tuttavia, nel solo caso di locali destinati all’esercizio di arti o negli studi professionali è necessario che sia presente il titolare dello studio o un suo delegato. Senza di questi, la Finanza non può effettuare l’accesso.

2) Nei locali usati in modo promiscuo (ossia, tanto per lo svolgimento dell’attività, quanto per abitarvi), oppure nel caso di locali comunicanti (cioè quando i locali per lo svolgimento dell’attività comunichino con altri locali adibiti per l’abitazione, anche se separati e diversi):

- c'è bisogno dell’autorizzazione della Procura della Repubblica, altrimenti l’accertamento è nullo [2].

Si ritiene, tuttavia, che tale autorizzazione abbia carattere amministrativo e che, pertanto, sia quasi un atto dovuto da parte del Pm (egli deve solo verificare che il controllo fiscale venga fatto in un luogo ad uso promiscuo).

3) Nei luoghi privati (abitazione del contribuente, dei suoi familiari, dell’amministratore della società, dei dipendenti, dei soci, ecc.):
 
- È sempre necessaria l’autorizzazione della Procura. Non solo. Tale autorizzazione può essere concessa solo se sussistono gravi indizi di violazioni delle norme tributarie. Se mancano tali due condizioni (autorizzazione e gravi indizi), il controllo è nullo e, con esso, anche il successivo atto di accertamento.
 
[1] Per il riferimento normativo, cfr. art. 33 DPR 600/1973.
[2] Cass. sent. n. 4140/2013. """

Fonte La legge per tutti.it.

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Avvocato penalista - Le ispezioni, gli accessi e le verifiche della Guardia di Finanza, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, sono soggette alle regole dettate tassativamente dall'art. 33 del D.P.R. n°. 600 del 29.9.1973. 
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domenica 24 febbraio 2013

Avvocato penalista - Costituisce reato di Abbandono di animali (Art. 727 del codice penale) lasciare o trasportare il cane nel bagagliaio della propria auto in condizioni ad esso inadatte.

Avvocato penalista - Costituisce reato di Abbandono di animali (Art. 727 del codice penale) lasciare o trasportare il cane nel bagagliaio della propria auto in condizioni ad esso inadatte.
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L'art. 727 del codice penale, intitolato all'Abbandono di animali, infatti, prevede che:

Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto  fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 euro a 10.000 euro.

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.

Tale norma è stata collocata nel Capo II, Sezione I, dedicati alle contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi, a differenza degli altri articoli, introdotti dalla legge n°. 189/04, che sono stati, invece, inseriti nel Titolo IX bis, dedicato ai Delitti contro il sentimento degli animali.

La norma relativa all'abbandono di animali è applicabile a tutti gli animali, non solo a quelli di affezione, bensì anche a quelli esotici o selvatici, che abbiano perso l'attitudine alla sopravvivenza in condizioni di totale libertà, poiché nati, cresciuti e/o vissuti in regime di cattività.

Relativamente al secondo comma dell'art. 727 del codice penale, è d'uopo precisare che tale condotta è punita, sia a titolo di dolo, che a titolo di colpa, ritenendosi perseguibili anche tutte quelle condotte connotate da negligenza ed incuria in danno dell'animale.
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Avvocato penalista - Costituisce reato di Abbandono di animali (Art. 727 del codice penale) lasciare o trasportare il cane nel bagagliaio della propria auto in condizioni ad esso inadatte.
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""" Trasportare il cane nel bagagliaio è reato.

Affrontare lunghi viaggi, tenendo il cane in spazi angusti, come il baule dell’autovettura, può costituire un reato per l’automobilista: necessario garantire abitacoli comodi anche agli animali.

Rischia fino ad un anno di reclusione e 10.000 euro di ammenda chi trasporta quadrupedi in un bagagliaio che non sia collegato con l’abitacolo dell’automobile.

Lo ha stabilito di recente la Corte di Cassazione [1], sostenendo che ricorre l’ipotesi di maltrattamento sugli animali [2] ogni qualvolta l’animale è detenuto in condizioni incompatibili con la sua natura.

Nel caso in questione, l’automobilista aveva trasportato, per una tratta di circa 1000 km, tre cuccioli di Labrador in un bagagliaio che impediva qualsiasi movimento. Per i giudici, la condotta è stata idonea a causare rilevanti sofferenze alle bestiole; pertanto ha condannato lo scriteriato conducente.

Senza dubbio, la sentenza costituisce un importante precedente tanto per i proprietari di animali, chiamati a prestare più attenzione, quanto per gli amici a quattro zampe, finalmente vincitori di un’importante battaglia legale.

In pratica

Per evitare che l’animale soffra, è necessario che il vano bagagli in cui è alloggiato l’animale sia ampio e comunque disponga di aperture.

Generalmente queste accortezze vengono garantite dalla predisposizione di un unico abitacolo (bagagliaio e resto della vettura), sebbene i due spazi potrebbero essere separati da una rete.

[1] Cass. sent. n. 5979/13.
[2] Art. 727 cod. pen. """

Fonte La legge per tutti.it.

http://www.laleggepertutti.it/24403_trasportare-il-cane-nel-bagagliaio-e-reato
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Avvocato penalista - Costituisce reato di Abbandono di animali (Art. 727 del codice penale) lasciare o trasportare il cane nel bagagliaio della propria auto in condizioni ad esso inadatte.
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sabato 23 febbraio 2013

Avvocato penalista - Il reato di Atti persecutori (art. 612 bis del codice penale), noto come stalking nel lessico comune, si applica anche ai condomini, secondo il P.M. ed il G.I.P. di Padova.

Avvocato penalista - Il reato di Atti persecutori (art. 612 bis del codice penale), noto come stalking nel lessico comune, si applica anche ai condomini, secondo il P.M. ed il G.I.P. di Padova.
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Le decisioni giudiziali vanno rispettate, anche se e quando non sono accettabili o condivisibili.

O almeno così ci è stato "insegnato" dal sistema della giustizia che abbiamo saputo darci.

Ma il sistema della giustizia che abbiamo saputo darci ci ha insegnato pure che o un determinato comportamento integra la figura criminosa per esso prevista, in ognuno dei suoi elementi costitutivi, o integra altre figure criminose, pure previste per certe azioni o certi comportamenti analoghi ma non eguali, o non integra alcuna figura criminosa e, dunque, non costituisce un fatto costituente reato.

E questo in base ai principi costituzionali della determinatezza e tassatività delle norme penali.

Per cui si può ben configurare il reato di atti persecutori a carico di un condomino, che abbia commesso il reato di atti persecutori nei confronti di uno o più condomini, solo se e quando la sua azione integri appieno tutti gli elementi costitutivi di cui al reato di Atti persecutori, previsto dall'art. 612 bis del codice penale, sebbene mal formulati o strutturati dal legislatore.

Se diversamente, si applicano e si devono applicare altre norme - quali e per esempio - quelle di cui agli artt. 610, 612, 659 e 660 del codice penale, in ossequio ai suddetti principi costituzionali della determinatezza e della tassatività delle norme penali.

Nel campo del diritto penale non vi è alcuna norma che preveda l'estensione dei reati per analogia.    
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Avvocato penalista - Il reato di Atti persecutori (art. 612 bis del codice penale), noto come stalking nel lessico comune, si applica anche ai condomini, secondo il P.M. ed il G.I.P. di Padova.    
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""" Legge sullo stalking per allontanare condomini rumorosi 21 febbraio 2013.

Volume della radio troppo alta, odori molesti, parolacce e offese: la legge nata per tutelare gli ex partner dallo stalking viene ora applicata anche per difendersi dai vicini di casa rumorosi.

Durante l’anno, le controversie all’interno dei condomini sono più di due milioni, molte delle quali dovute alla maleducazione dei vicini. Niente paura: da oggi è possibile usare le sanzioni previste per lo stalking anche nel caso di coinquilini persecutori.

L’ultimo caso arriva da Padova, dove il giudice per le indagini preliminari ha costretto [1] un uomo di mezza età ad abbandonare il proprio appartamento e a mantenersi a una distanza di almeno 500 metri dagli ex vicini di casa. Tra le condotte a lui incriminate, oltre alla radio ad alto volume e vari lanci di oggetti contro le pareti, figuravano anche “performance amorose infuocate tra le lenzuola”.
 
L’inquilino aveva ricevuto svariate diffide, servite tuttavia solo a risvegliare il suo risentimento.

L’uomo, infatti, per tutta risposta, aveva replicato con minacce e insulti.

Il Gip ha accolto quindi la richiesta del pubblico ministero e ha costretto l’inquilino a lasciare il condominio dove risiedeva. Per lui ora l’obbligo è quello di non avvicinarsi entro i 500 metri dalla struttura condominiale che ha vessato per lungo tempo.

Le legge sullo stalking, introdotta nel 2009, può essere applicata in tutti quei casi in cui vi sia “un’attività persecutoria” in grado di generare inquietudine in chi la subisce e di procurare cambiamenti nello stile di vita o stati di ansia. """
 
Fonte La legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/24569_legge-sullo-stalking-per-allontanare-gli-inquilini-rumorosi
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Avvocato penalista - Il reato di Atti persecutori (art. 612 bis del codice penale), noto come stalking nel lessico comune, si applica anche ai condomini, secondo il P.M. ed il G.I.P. di Padova.

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venerdì 22 febbraio 2013

Avvocato penalista - Il reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) non si configura quando l'offesa alla reputazione altrui sia arrecata tramite e-mail diretta ad un solo destinatario.

Avvocato penalista - Il reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) non si configura quando l'offesa alla reputazione altrui sia arrecata tramite e-mail diretta ad un solo destinatario.
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Lo ha stabilito una recente - e condivisibile - sentenza della nostra Corte Suprema di Cassazione.

Ed è una statuizione corretta e conforme ai principi più elementari del diritto penale italiano.

L'Art. 595 del nostro Codice Penale, intitolato alla Diffamazione, infatti stabilisce che:
 
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (ossia nell'Art. 594 del codice penale, che prevede il reato di Ingiuria ovvero il reato commesso da chi offende la reputazione di una persona presente al momento della sua offesa) comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
 
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
 
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.
 
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
 
E' evidente che la norma di cui all'articolo 595 del Codice Penale, esaminata dalla nostra Suprema Corte di Cassazione, nel caso specifico, richiede - tra i suoi elementi costitutivi - non solo che l'offesa all'altrui reputazione (intesa nel senso di offesa all'altrui onore o decoro) sia davvero tale, ma che sia percepita da più persone e non da una persona soltanto.
 
Poiché, se così - come nel caso vagliato e deciso - difettando di uno dei suoi più essenziali elementi costitutivi (la pluralità dei destinatari dell'offesa dell'altrui reputazione), non costituisce reato.

Il parlare comunque male di qualcuno costituisce un fatto molto disdicevole sul piano etico o morale - e su questo non ci piove - ma, non in ogni caso, integra il reato di diffamazione.    
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Avvocato penalista - Il reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) non si configura quando l'offesa alla reputazione altrui sia arrecata tramite e-mail diretta ad un solo destinatario.
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""" Offese per email: nessuna diffamazione.

Un messaggio di posta elettronica con offese nei confronti di un’altra persona non integra la diffamazione nei confronti di quest’ultima.
 
Mandare un messaggio di posta elettronica a una persona, con un contenuto offensivo nei confronti di un’altra, non è diffamazione.
 
Perché si possa parlare di diffamazione attraverso email, infatti, è necessario che il messaggio denigratorio raggiunga una pluralità di soggetti. Tale potrebbe essere l’ipotesi, per esempio, di una
live chat, di una mailing list, di un forum.

Invece, qualora il messaggio incriminato sia stato indirizzato a una sola persona, che a sua volta lo abbia poi comunicato al soggetto offeso, non si commette alcun reato.
 
È quanto emerge da una recente sentenza della Cassazione.
 
Il ragionamento della Corte è facilmente comprensibile. Infatti, il reato di diffamazione è volto a tutelare l’onore di una persona e la stima di cui essa gode all’interno della collettività e dell’ambiente in cui vive.
 
Pertanto, se l’offesa non viene percepita dalla collettività stessa, non si può dire che vi sia stata alcuna lesione all’onore. """
 
Fonte La legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/24574_offese-per-email-nessuna-diffamazione
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Avvocato penalista - Il reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) non si configura quando l'offesa alla reputazione altrui sia arrecata tramite e-mail diretta ad un solo destinatario.
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giovedì 21 febbraio 2013

Avvocato penalista - Non è reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) - nel caso, nei confronti di un politico - l'offesa diretta verso la sua incapacità od inettitudine rispetto alla funzione od al ruolo che ricopre.

Avvocato penalista - Non è reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) - nel caso, nei confronti di un politico - l'offesa diretta verso la sua incapacità od inettitudine rispetto alla funzione od al ruolo che ricopre. 
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Avvocato penalista - Non è reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) - nel caso, nei confronti di un politico - l'offesa diretta verso la sua incapacità od inettitudine rispetto alla funzione od al ruolo che ricopre.
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Lo ha stabilito una recente - e condivisibile - sentenza della nostra Corte Suprema di Cassazione.
 
Ed è una statuizione corretta e conforme ai principi basilari del diritto penale italiano.
 
L'Art. 595 del nostro Codice Penale, intitolato alla Diffamazione, infatti stabilisce che:

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (ossia nell'Art. 594 del codice penale, che prevede il reato di Ingiuria ovvero il reato commesso da chi offende la reputazione di una persona presente al momento della sua offesa) comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.

Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.

Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.

Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

E' evidente che la norma di cui all'articolo 595 del Codice Penale, esaminata dalla nostra Suprema Corte di Cassazione nel caso specifico, richiede - tra i suoi elementi costitutivi - che l'offesa sia diretta all'altrui reputazione, intesa nel senso di offesa al suo onore e/o al suo decoro (come ha precisato più volte la stessa Corte di Cassazione); e, dunque, un'offesa che non intacca né l'onore, né il decoro del soggetto passivo del reato, non può costituire diffamazione.
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""" Offendere un politico non (sempre) è reato.

Chi offende un politico non commette diffamazione se le espressioni si riferiscono non alla dignità personale, ma alla incapacità professionale dell’uomo.
 
È tempo di elezioni. Le promesse dei politici si sprecano; la corsa alle poltrone a volte premia chi “la spara” più grossa degli altri. Ma, dopo le votazioni, i vincitori dimenticano i proclami e le promesse vengono puntualmente disattese. Alzi la mano chi non ha mai avuto voglia di muovere una critica severa e furente nei confronti di chi amministra la cosa pubblica. Beh, …in realtà pare si possa fare molto più di questo!
 
Si perché, secondo la Cassazione, apostrofare un politico come “dilettante allo sbaraglio, turista della politica, giocoliere della politica” non è un’offesa.
 
La Suprema Corte, in una recente sentenza [1], ha infatti precisato che tali espressioni, seppur sferzanti, sono del tutto lecite poiché non rappresentano un attacco alla dignità personale, ma mettono in discussione la professionalità nell’esercizio di un ruolo politico.
 
Per questi motivi, la Cassazione ha assolto un sindaco e un consigliere provinciale dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa, derivante da alcune pungenti critiche sull’operato di un consigliere regionale.
 
Secondo la Cassazione, infatti, le parole utilizzate non rappresentano un attacco alla sfera morale, ma rientrano nella critica politica, cui un amministratore della cosa pubblica è legittimamente sottoposto.
 
[1] Cass. sent. n. 7421 del 14.02.2013. """

Fonte La legge per tutti.it

http://www.laleggepertutti.it/24506_offendere-un-politico-non-sempre-e-reato
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Avvocato penalista - Non è reato di diffamazione (Articolo 595 del Codice Penale) - nel caso, nei confronti di un politico - l'offesa diretta verso la sua incapacità od inettitudine rispetto alla funzione od al ruolo che ricopre.
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mercoledì 20 febbraio 2013

Avvocato penalista - I reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e di diffamazione (art. 595 c.p.) non impongono la condanna, se è quando costituiscono la reazione ad un comportamento ingiusto della parte offesa o se e quando sono l'effetto diretto, immediato e ritorsivo verso una sua provocazione.

Avvocato penalista - I reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e di diffamazione (art. 595 c.p.) non impongono comunque la condanna, se è quando costituiscono la reazione ad un comportamento ingiusto della parte offesa o se e quando sono l'effetto diretto, immediato e ritorsivo verso una sua provocazione.
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Lo ha stabilito - ancora una volta - una recente sentenza della Corte di Cassazione, la quale conferma un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato e costante nel tempo.
      
E' lecito reagire ad una scorrettezza con un’offesa, purché quest’ultima sia stata detta nello stato d’ira determinato dall'altrui comportamento illecito ed a patto che l’offesa sia la conseguenza proporzionata, diretta ed immediata rispetto al fatto illecito altrui, sia esso offensivo o provocatorio.

La decisione, infatti, è alquanto condivisibile, poiché conforme, sia agli innumerevoli precedenti enunciati della stessa Corte di Cassazione, sia alla ratio che informa la norma di cui all'art. 599 c.p.

L'articolo 599 del codice penale, intitolato alla Ritorsione e provocazione, prevede quanto segue:

Nei casi preveduti dall’articolo 594, se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori.
 
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.
 
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche all’offensore che non abbia proposto querela per le offese ricevute.
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Avvocato penalista - I reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e di diffamazione (art. 595 c.p.) non impongono la condanna, se è quando costituiscono la reazione ad un comportamento ingiusto della parte offesa o se e quando sono l'effetto diretto, immediato e ritorsivo verso una sua provocazione.
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""" L’offesa come reazione a un comportamento ingiusto è lecita.

Lecito reagire ad una scorrettezza con un’offesa purché quest’ultima sia stata detta in stato d’ira.

Sdoganato dai giudici il vaff… se è la conseguenza di un torto ingiusto subìto.

La Cassazione, con una recente sentenza, ha sancito il diritto alla reazione.

È lecito, dunque, offendere qualcuno purché l’offesa sia la conseguenza “proporzionata” e diretta di un precedente avvenimento illecito.
 
È necessario, a tal fine, capire la natura delle offese per valutare la loro valenza penale:
 
- sono lecite le offese che sono il frutto diretto di un precedente comportamento dell’offeso se – e solo se – la reazione dell’offensore è proporzionata all’azione precedentemente subita;

- configurano, invece, il delitto di ingiuria o di diffamazione [1] se sono delle offese c.d. “gratuite” o non giustificate.
 
La Suprema Corte [2] ha riconosciuto come lecito il comportamento di una condomina la quale ha inviato – all’amministratore e, per conoscenza, a tutti i condomini – una lettera offensiva della professionalità e dell’operato dell’amministratore.

Quest’ultimo, in precedenza, aveva tenuto dei comportamenti contrari al vivere civile e alle regole fondamentali della civile convivenza, provocando lo stato d’ira della signora.
 
Quindi, le offese fatte non sono punibili se sono la conseguenza diretta di uno stato d’ira precedentemente provocato dal soggetto offeso; è necessario, però, che la reazione sia proporzionata all’azione precedentemente subita dall’offensore.
 
In pratica

Per offendere “lecitamente” qualcuno è necessario che la reazione diffamatoria o ingiuriosa sia il frutto proporzionato di un comportamento scorretto da parte della persona offesa.
 
[1] Rispettivamente artt. 594 e 595 c.p.
[2] Cass. sent. n. 8336 del 20.02.2013. """

Fonte La legge per tutti.it

http://www.laleggepertutti.it/26320_loffesa-come-reazione-a-un-comportamento-ingiusto-e-lecita
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Avvocato penalista - I reati di ingiuria (art. 594 c.p.) e di diffamazione (art. 595 c.p.) non impongono la condanna, se è quando costituiscono la reazione ad un comportamento ingiusto della parte offesa o se e quando sono l'effetto diretto, immediato e ritorsivo verso una sua provocazione.
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martedì 19 febbraio 2013

Avvocato penalista - Situazione carceraria, carceri a numero chiuso e Tribunali di Sorveglianza.

Avvocato penalista - Situazione carceraria, carceri a numero chiuso e Tribunali di Sorveglianza.
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Avvocato penalista - Situazione carceraria, carceri a numero chiuso e Tribunali di Sorveglianza. 
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""" Carceri a numero chiuso: ordinanza senza precedenti.

La Corte Costituzionale potrebbe autorizzare i giudici a sospendere l’esecuzione delle pene qualora in carcere non vi sia posto per il detenuto: avremo dunque le “carceri a numero chiuso”?

Per ricondurre nell’orbita della legalità costituzionale l’esecuzione della pena spuntano le carceri a numero chiuso.

Oggi nelle patrie galere ci sono 66mila detenuti su 47mila posti disponibili. Il legislatore latita, i partiti tacciono nonostante gli appelli del Capo dello Stato e le inascoltate denunce dei radicali.

Così, con un’ordinanza senza precedenti, il Tribunale di sorveglianza di Padova ha sollevato d’ufficio una questione di incostituzionalità. In particolare, nel provvedimento si chiede alla Corte Costituzionale di emettere una sentenza “additiva”, che dia cioè ai giudici la facoltà di sospendere e rinviare l’esecuzione in carcere della pena di un detenuto non solo quando essa potrebbe determinare una “grave infermità fisica”, ma anche in casi in cui verrebbe scontata in condizioni intollerabili di sovraffollamento e dunque si risolverebbe in “trattamenti disumani e degradanti”.

Proprio questa, infatti, era stata, poche settimane fa, l’accusa mossa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nei confronti del nostro Paese, condannato così a risarcire il danno a 500 detenuti stipati in condizioni disumane ed igienicamente fatiscenti (leggi l’articolo “Celle troppo piccole: detenuti risarciti per trattamento inumano e degradante”).

La beffa potrebbe essere che il nostro Stato, oltre a pagare un grosso prezzo per mantenere le carceri, sia anche costretto a risarcire i detenuti!

Attualmente la legge prevede la possibilità di rinviare la pena solo nei seguenti casi:
 
- se il condannato si trovi in condizioni di grave infermità fisica;

- se la pena deve essere eseguita nei confronti di una madre con prole di età inferiore a tre anni;

- se la pena deve essere eseguita contro una donna che ha partorito da poco e non vi è modo di affidare il figlio ad altri.

Servizio offerto da METAPING
Articolo di L. Ferrarella, Corriere della Sera del 19.02.13, pag. 20. """

Fonte La legge per tutti.it.

http://www.laleggepertutti.it/24470_carceri-a-numero-chiuso-ordinanza-senza-precedenti
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Avvocato penalista - Situazione carceraria, carceri a numero chiuso e Tribunali di Sorveglianza. 
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lunedì 18 febbraio 2013

Avvocato penalista - Non è reato di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale) timbrare il cartellino del proprio collega di lavoro, ma costituisce soltanto un illecito disciplinare.

Avvocato penalista - Non è reato di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale) timbrare il cartellino del proprio collega di lavoro, ma costituisce soltanto un illecito disciplinare.

Lo ha stabilito la nostra Corte di Cassazione in una sua recente sentenza del 31 gennaio scorso.
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Avvocato penalista - Non è reato di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale) timbrare il cartellino del proprio collega di lavoro, ma costituisce soltanto un illecito disciplinare.
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Concordo totalmente con la nostra Corte di Cassazione circa il fatto che il comportamento dalla stessa vagliato nel caso di specie non integri la fattispecie criminosa di cui all'art. 494 del codice penale, ovvero il reato di Sostituzione di persona, atteso che l'azione di chi timbra il cartellino al posto del suo collega di lavoro - assente - non si sostituisce illegittimamente alla persona del collega, né si attribuisce il nome del collega od altro falso nome, né si da una qualità nel senso voluto dall'art. 494 c.p.

Infatti, l'Art. 494 del codice penale, intitolato al reato di Sostituzione di persona, prevede che:

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica con la reclusione fino a un anno.
 
Ma non concordo con la nostra Corte di Cassazione circa la sua considerazione che il comportamento di chi timbra il cartellino di presenza sul lavoro altrui costituisca solo un illecito disciplinare. 
 
L'Art. 640 del codice penale, intitolato al reato di Truffa, dal canto suo, stabilisce che:

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.
 
La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:

1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;

2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'autorità;

2 bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5). (1)

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal capoverso precedente o un'altra circostanza aggravante.
 
(1) Numero aggiunto dall’art. 3, comma 28, della L. 15 luglio 2009, n. 94.

Poiché - ed a mio modesto avviso - un siffatto comportamento integra pienamente tutti gli elementi costitutivi di cui agli Artt. 110 e 640 del codice penale ossia del reato di Truffa in concorso, ai danni del proprio datore di lavoro od ai danni dello Stato o di altro ente pubblico, a seconda dello specifico rapporto di lavoro in essere, atteso che non può certo revocarsi in dubbio il fatto che il timbrare il cartellino di presenza sul posto di lavoro, per un collega assente sul posto di lavoro, non configuri pienamente gli artifizi od i raggiri, idonei ad indurre in errore il proprio datore di lavoro, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui (del datore di lavoro) danno.
 
Il diritto di percepire il proprio stipendio alla fine del mese - che comprende tutti i giorni lavorativi del mese - presuppone che si sia adempiuto il proprio dovere, non solo di essere presenti sul posto di lavoro in ognuno dei giorni lavorativi del mese (salvo i vari casi di legittimo impedimento previsti dalla legge), ma anche di lavorare proficuamente in ognuno dei giorni lavorativi del mese.

Farsi timbrare il cartellino di presenza da un collega di lavoro, compiacente e complice, equivale a commettere il reato di truffa in concorso.
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""" Timbrare il cartellino del collega: non è sostituzione di persona.

Farsi timbrare il cartellino dal collega non comporta il reato di sostituzione di persona, ma solo un procedimento disciplinare a carico del lavoratore.

La Cassazione è recentemente intervenuta su quei consueti, ma illeciti, “scambi di favore” che avvengono tra colleghi, quando si deve timbrare il cartellino di presenza. Secondo i giudici in tale condotta non sono ravvisabili gli estremi del reato di sostituzione di persona.

Si parla di reato di sostituzione di persona quando un soggetto, per ottenere un vantaggio, fa cadere qualcuno in errore, sostituendosi ad altri, attribuendo a sé o ad altri un falso nome o una falsa qualità.

Ad esempio si ha sostituzione di persona quando:

- ci si attribuisca il nome di persona immaginaria;

- si crei e utilizzi un “account” e una casella di posta elettronica servendosi dei dati anagrafici di un diverso soggetto, inconsapevole, con il fine di far ricadere su quest’ultimo l’acquisto di beni mediante la partecipazione ad aste in rete.

Secondo i giudici della Corte timbrare il cartellino del collega, per farlo risultare presente, non rientra in questi casi. Infatti, seppur è vero che il datore di lavoro è caduto in errore, è anche vero che il collega non ha assunto l’identità del dipendente assente, limitandosi a timbrarne soltanto il cartellino.
 
Nel caso di specie, il lavoratore furbetto si è limitato a simulare un fatto inesistente (la presenza del dipendente assente sul posto di lavoro), attraverso l’utilizzazione della scheda magnetica del compagno.

Il fatto però che tale comportamento non costituisca reato di sostituzione di persona, non significa che esso non sia un illecito comunque punito. Infatti, oltre ad essere un illecito disciplinare, potrebbe ricorrere la truffa.
 
Dipendente avvisato… """

Fonte La legge per tutti.it .

http://www.laleggepertutti.it/24501_timbrare-il-cartellino-del-collega-non-e-sostituzione-di-persona
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Avvocato penalista - Non è reato di Sostituzione di persona (Art. 494 del Codice Penale) timbrare il cartellino del proprio collega di lavoro, ma costituisce soltanto un illecito disciplinare.
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